L’esonero andato male, l’ennesimo. La rabbia per non esser riuscito a studiare bene, la delusione confidata a un amico poco prima, la paura di affrontare i genitori. Così, uscito in cortile, ha impugnato la Beretta calibro 9 che aveva nascosto tra i libri e se l’è puntata alla tempia destra. Maurilio Masi, 26 anni compiuti da due settimane, si è ucciso in mezzo a una folla di studenti come lui. Nel piazzale assolato di quella facoltà, Ingegneria Meccanica, che tanto aveva amato e odiato insieme. L’esame scritto di applicazioni industriali elettriche rappresentava per lui l’ultima possibilità. Passarlo avrebbe significato continuare, resistere, ricominciare. Una bocciatura, al contrario, avrebbe deciso il suo fallimento. Non solo universitario. Così alle 9,30 di ieri il giovane, originario di Potenza ma da anni a Roma per studiare, ha preparato lo zaino con le dispense e gli appunti, si è mosso dal suo appartamento in via Domenico De Dominicis al volante della Ford Fiesta intestata alla madre, ha parcheggiato correttamente e senza fretta, è arrivato all’università Roma Tre di via della Vasca Navale e ha parlato con gli amici. Come sempre, come ogni mattina. «Era arrabbiato, diceva che non riusciva a studiare – racconta Carlos Temo, suo compagno di corso – si lamentava che la facoltà era uno schifo, che ci metteva tre mesi a preparare un esame e poi non lo passava. Io gli ho detto di non preoccuparsi, che avrebbe recuperato alla prossima sessione. Ha anche riso a un certo punto, credevo gli fosse passata e quindi sono andato a mensa. Quando sono uscito mi hanno detto che un ragazzo si era sparato, sono uscito e ho visto il corpo». Maurilio, al secondo anno della triennale, aveva dato solo tre esami dei ventotto ai quali si era iscritto. L’ultimo un anno fa. «Era depresso per l’università – ha raccontato ai poliziotti il fratello Massimiliano, più grande di cinque anni – Vivevamo insieme, i nostri genitori sono a Potenza, ma con me non si confidava». La vittima, che già una volta aveva tentato il suicidio, aveva preso il porto d’armi due anni fa a Roma come collezionista. Di pistole ne aveva tredici, tutte regolarmente denunciate. Tre di queste e una carabina le aveva nell’appartamento a Roma. I poliziotti del commissariato Colombo che indagano sul suicidio non escludono però la pista dell’omosessualità. Il 26enne, che in passato aveva avuto una fidanzata, era «confuso», come avrebbero raccontato gli amici. Con sé ieri aveva 50euro in contanti, la patente, i documenti, le chiavi della macchina e il cellulare che non ha mai smesso di squillare. Ma neanche un biglietto che spiegasse le ragioni di quel gesto già provato e ieri portato a termine davanti a una folla di ragazzi sotto choc. Due in particolare i testimoni sentiti in commissariato. A loro aveva già manifestato l’intenzione di farla finita e ieri, davanti al suo amico Francesco, ha preso la pistola, se l’è puntata alla tempia destra e ha fatto fuoco, ricadendo sopra l’arma a faccia in giù tra le urla dei compagni. Sparito, invece, il bossolo. Il corpo, portato a Tor Vergata per l’’autopsia, è a disposizione del pm Colaiocco.
Silvia Mancinelli
Fabio Dapoto (Italia Unica): cordoglio, dolore, sconcerto per la tragedia del ragazzo potentino suicida
La tragedia di Maurilio continua a provocare grande cordoglio specie tra i giovani potentini, la generazione di studenti universitari fuori sede e comunque tra i ragazzi della sua stessa età. Continuiamo a chiederci come sia maturato il gesto suicida e cosa era possibile fare e non è stato fatto per evitarlo. Lo sconcerto insieme al dolore in queste ore non ci consentono di riflettere a mente lucida, come si dovrebbe, per capire le problematiche riferite alle condizioni di studio e di vita, le aspettative, le ansie per i risultati di studio, le preoccupazioni per il lavoro, le difficoltà di tanti giovani lucani che frequentano l’università lontano da casa, lontano dalle amicizie consolidate e più strette, lontano dalle famiglie. Ci stringiamo intorno alla famiglia per fare sentire il nostro più caloroso affetto e ci impegniamo a stare vicini a tutti i giovani universitari fuori sede perché non si sentano mai soli.