Il Centro sociale occupato autogestito Fucine dell’Eco ha inviato alla nostra redazione una riflessione denominata “Canzone di maggio” per commentare gli ultimi avvenimenti che hanno interessato la città di Matera. Di seguito il testo della “Canzone di maggio”
Primo maggio. Piove. Erano pochi, e sono passati. Passano dagli spifferi le idee pericolose. “Sono ragazzi, in fondo tutti hanno il diritto di manifestare” e a furia di politically correct si finisce di dire si a tutto. Di imbonitori dopotutto siamo pieni, tutto passa. E passa lo “Sblocca (sbrocca!) Italia” con le grandi opere a spazzare le piccole; e passano le trivelle che finché sono altrove il problema non mi tange; e passa la chiusura degli impianti che hanno inquinato ma cui non si presenta il conto, nessuna bonifica per gli scempi, solo operai ed intere famiglie a casa. A loro sì che il conto tocca pagarlo. Che oggi non c’è nulla da festeggiare, che di lavoro questa regione ha fame. Siamo stati abbandonati da tempo e di chiacchiere siamo stanchi tutti ormai. Si svende la terra ed i suoi abitanti, chiedetelo a chi c’è già passato! parlate con gli operai della Val d’Agri cui hanno venduto un miraggio! chiedetelo agli operai dell’Ilva di Taranto. Perché oggi da scegliere abbiamo solo come morire. E una goccia alla volta ci derubano della libertà. E le destre, sempre le stesse, mascherate da brave persone, tornano nelle piazze a gracchiare.
Due maggio. Piove. Il principe sta per arrivare. La gente comune accorre a fischiare, e fischia forte da tutte le parti il malcontento e la rabbia. “Non ci fermerà la piazza” dice il re. E parla di progresso e crescita che suonano come condanne. Il principe che entra dalla porta di servizio sul tappeto rosso dei governanti di questa regione asserviti al soldo e al capitale. Di quale cultura siete portatori se non di una cultura di morte?
Tre maggio. Piove. La rabbia si è espressa ma la piazza è di nuovo vuota, Matera torna ad essere la vetrina per ogni cosa. E sulla rabbia dei giorni passati c’è chi vuol mettere cappelli. Le destre con le loro marce composte da militari, i sindacati che contrattano al ribasso il lavoro, i petrolieri che tanto noi se dite di no ce ne sono altri a dire di si. E questa terra come un tempo piange di una miseria più complessa e nera di quelle passate, e l’impotenza è l’unica cosa che ci fa sentire uguali. Ed è da qui che ripartono i briganti, che di “fate i bravi” ne abbiamo abbastanza! Nelle orecchie la canzone del maggio “la casa è di chi l’abita, infame è chi lo ignora, il tempo dei filosofi, la terra di chi la lavora!”