L’autrice e regista materana Antonella Pagano firma il musical “Oltre le virtù, de’ gli otto vizi capitali. Ecco l’intervista rilasciata per SassiLive.
A Martina Franca per scrivere i testi e firmare la regia di un musical. Di cosa si tratta in particolare?
Quanto è sorprendente la vita, direi! Non avrei mai pensato, infatti, di occuparmi di un Musical, di scriverne i testi e soprattutto di curarne la regìa. Invece la vita viene incontro sempre con un cesto colorato di frutta e fiori. Oltretutto mi si è chiesto di scrivere sui 7 vizi capitali. Si spacca il mondo nel travaglio del parto e l’uomo nasce monco d’anima claudicante di sentimenti rauco d’amore. Questi i versi ripescati da una mia antica lirica e divenuti l’incipit del Concept musical andato in scena l’11 giugno nello splendido Teatro “Giuseppe Verdi” di Martina Franca, la città ricamata, come amo definirla. Sei pazza, sei folle! Mi ripetevo giorno e notte, intanto, giorno e notte scrivevo il testo e tentavo di immaginare il contesto, la regia. Una piccola associazione della bella cittadina martinese mi aveva fatto pervenire una diecina di poesie sul tema, pochissimi soci che si ritrovano di tanto in tanto per parlare di poesia….e da quelle pochissime pagine dovevo prendere le mosse per un musical? Pura follìa! Ma la freccia era stata scoccata e il cuore già dettava alla mano; la fabula andava costruendosi nella testa, pareva stessi impastando il pane; lievitava e lievitava intrigandomi sempre di più. Contemporaneamente non smettevo di cercare col lanternino la ragione che mi aveva indotto ad accettare senz’alcuna esitazione. Mano a mano che studiavo, che sfogliavo libri, dottrine e curiosità, vieppiù andavo confermandomi nella piena volontà di aderire con tutta me stessa alla composizione di una bella storia sui 7 vizi capitali. Il tema era riuscito a sollecitare le corde del cuore, le funi della ragione e i cavi dell’anima. Se poi scopri, come scoprii, che l’Oriente ne ha 8, per alcune fonti la Tristezza, per altre l’Amor proprio, allora comprendi come i cavi dell’anima fossero in realtà cavi d’acciaio, che pure dettavano: Quanto morire! Scivola, scivola, scivola il nettare decomposto…che al canto d’un improbabile gallo non sa pulsare di vita! Non pulsa di vita! Ignavia! Annichilita! Continuo a studiare, vado avanti, …leggo, indago, sprofondo tra le pagine cartacee e virtuali e scrivo: cammino da secoli, da secoli taglio ghiaccio, da secoli accarezzo il porcospino, da secoli accarezzo rovi, rovi, roviii!… Lecco sangue! Da secoli districo parole puntute…levigo sostantivi rozzi! Poi mi dicevo, follìa, adesso come traduci in regìa questi sostantivi rozzi? Queste parole puntute?
Erto che lei è una grande comunicatrice, anche affabulatrice, mi sta incuriosendo sempre di più, dunque un lavoro contestuale di studio e di scrittura?
Si, non avevo molto tempo, circa 5 mesi, dunque il lavorio è stato come quello di un’ape in un’arnia; febbricitante. Scopro, anche, che il tema, nella sua assoluta delicatezza e complessità, è come fosse nelle mie vene…notti e giorni a lasciare che fluisse come sangue, linfa che bussava e che pareva attendesse giust’appunto la proposta sollecitazione per esplodere, per farsi parola. Mi chiedevo finanche se non fossi superba a voler scrivere d’una tematica così tanto delicata, ma la mano eseguiva ciò che l’anima ordinava: Superbiaaaa! Famelica d’altrui fragilita’! La mente era tutto un turbinio; scrivevo dapprincipio disordinatamente, pensieri un po’ qui un po’ la’: Maestri d’iniquità, sciacalli i tuoi seguaci: Avarizia! Gazze gracchianti e malandrine le tue ossessioni, nutri futuri rimpianti…tronfio inesausto d’ambizioni, tarli roditori i tuoi monosillabi…inique le tue metamorfosi…solitaria vita, più solitaria sepoltura tessi. Ci si metteva anche il paradosso, sicchè scherzavo con me stessa per diluire la tensione: Antonella , tu hai il vizio della poesia. Avresti dovuto riflettere prima di quel “si”. Ma quell’avere il vizio della poesia non fu frase mai pensata; divenne il mantra, l’eccitante, la meta da perseguire. Compio il primo viaggio verso Martina Franca. Una cittadina della Puglia, terra di Puglia, del sangue degli avi, terra rossa come la mia passione di vivere, terra d’ulivi e mandorli. Fortunata a dover esprimere la mia arte in una cittadina di così rara bellezza! E in quel viaggio mi ritrovo alle manifestazioni in cui Martina era legata a Matera nel Festival della Memoria, proprio io che con la legalità e la memoria ero stata così tanto impegnata in Matera. Un segno! Era un segno forte. Io ponte tra Matera e Martina. In più Dante e la lettura diffusa della Divina Commedia che avevo fatto a Matera e adesso anche a Martina. Il sentire dei miei avi e il mio sentire smerigliato ai Sassi. Matera, Città per la Pace, i Diritti, la Memoria, città Mariana e Martina con la sua storia di assoluta libertà tanto da aver conservato, accanto al nome, l’aggettivo ‘franca’ – mentre Martina per il Santo protettore, San Martino. Insomma anche la storia ci si metteva ad intrigarmi e a rendere ancora più impetuoso il fluire.
Dunque è anche uno scavare in se stessa e in tutta la sua produzione poetica?
Mia cara si. Taglio, cucio, intarsio, ricamo tra i miei versi antichi e quelli che l’eccitazione artistica mi dettava nell’adesso. Faccio mattina, anzi mattine….assisto alle aurore e ai crepuscoli sempre con le dita sulla tastiera…nel magma d’universi sconvolti Rumore è padre androfago…d’Armonia divorata, le chiome di note giacciono immote ed insonore nel fango del mondo ruminato! Tanti anni fa scrissi questi versi, oggi m’accorgevo che erano germogliati per questo lavoro di oggi, nell’oggi in cui scrivo che genera altri versi: tra le pieghe morbide del cuore si conficca grave acuto cattivo ogni angolo di questo mondo. Tra le pieghe morbide del cuore ogni lagrima è una lama, ogni lagrima è una lama, affetta, affetta, affetta, squarciaaaaa! Questi versi intrigheranno la magnifica cantante Sara Nigri che li musicherà sconvolgendomi, nel senso più bello e intenso del termine. Era entrata nel mio mood! Un concept musical non è un gioco da ragazzi. : …e questo sordido connivente buio è imperatore ombroso, consuma sortilegi, signore incontrastato del suo stesso potere. Sotto il grande abbaino, nel mio studio, a diretto contatto con il cielo, mi dico: devo tornare a Martina Franca, in quella casetta nel cuore del centro storico, parte di un hotel diffuso che ha riattato contenitori di vita antica. Di fatto là scrivero’ il verso: scivola, scivola, scivola il nettare decomposto, mentre mi nutro del nettare salubre, nutriente di quella bella cittadina. Per contro o insieme c’è anche il quotidiano, le angosce dei telegiornali infetti che mi angustiano così come sono allineati al tema, scrivo sotto l’effetto d’una vis creativa scatenata….uomini brutti calpestano bambini e aiuole profumate, barbari senza ragione più che senza cuore arso digià sulla pira dell’insolenza….corrono urlanti come demoni sulle vie di lillà e violacciocche miracolosamente scampate all’abominio caustico e annichilente! Nel tardo pomeriggio cammino per le viuzze del centro storico, la vita è sorprendente, mi offre l’opportunità di colloquiare con il Prof. Nicola Blasi dell’Umanesimo della Pietra! Dotto e sensibilissimo. Un’autorità della Storia dell’Uomo. Ne ero destinata, penso ancora fra me e me. Le pietre della terra rossa dei miei avi, candide fra tanto rosso intenso, i sassi di Matera dove ho vissuto e lavorato per 50 anni, le millenarie preziosissime “Pietre” di Roma dove vivo attualmente, insomma una strada lastricata di “Pietre” vive, la mia vita, da Udine, Vittorio Veneto, Milano, Genova alla Sicilia, sempre con la valigia colma di poesie, è un percorrere e un percorrersi, la mia vita è una Via Appia!
E gli artisti? Come li ha trovati, dove lavoravate?
C’era stato un passaparola. La provincia ha questo di meraviglioso. La comunicazione interpersonale ancora in parte r-esiste. Dunque il primo incontro operativo l’ho avuto in Palazzo Ducale, anche sede del Municipio, quel magnifico Palazzo D’Avalos che gronda storia da tutte le sue pareti, che troneggia nella prima piazza subito a ridosso dell’arco che immette nel cuore del centro storico. Incontro molti artisti. Ciascuno ha cuore, anima, volontà di fare sorprendenti. Avrei voluto avere tutti i filmati di quegli incontri. Sono stati, ciascuno come il primo incontro d’un nuovo amore. Scoprire le loro abilità, le loro voci, le abilità compositive musicali, di danza, ma soprattutto quella genuina, primigenia volontà creativa-trice che parla di nobile discendenza…e mi sovviene il verso della Prof.ssa Cordella: impercettibil’atomo m’appari d’orribil fato…contrappasso di quanto qui stava accadendo: qui giuoca un fato benigno e generoso, mi dicevo sottovoce. E mentre il verso della Rosa M. Vinci prorompeva in: Figli dei baccanali son tutti i nostri mali, si era a partorir parole, belle parole, concetti e note che si sarebbero tradotti in uno spettacolo d’artisti realmente amanti dell’arte, vieppiù se si pensa che non v’era produzione. L’ingresso solenne del Tenore Nasti, solenne nella figura, con tutta la potenza della sua voce, petto in fuori, forte, autentico cantante lirico, m’intimidì dapprincipio, poi compresi che lirica e pop dovevano abbracciarsi. Martina Franca è sede riconosciuta al mondo per il Festival della Valle d’Itria, la lirica ne è la nobile protagonista. Allora debbo cercare anche un cantante lirico giovane, così arriva Scialpi, tenore spinto. Giovane, asciutto, insospettabilmente potente, vocalità straordinaria. In due potrebbero infrangere tutti i vetri di Martina Franca, di tanto in tanto divagavo per abbassare il tasso adrenalinico e soprattutto la paura rispetto alla mole dell’impresa. Quale accidia perfida e maligna! Anelo a una nuova Eva e a un nuovo Adamo che rigenerino il genere più bello della terra…oggi d’un nuovo seme abbiam bisogno…e se si conficcherà nel cuore di Dio annichilirà gl’immondi vizi….anneghi gastrimarghia, rinsecchisca porneìa, affondi filarguìa, si dissolva lupe, arda orghè, si sbricioli archedìa, si stracci chenodoxìa, sia schiacciata uperefanìa, bruci filautìa…e intorno a mezzodì entra in sala Sara Nigri, mora, sontuosa, volto chiaro, passionale. Quando prende a cantare non ho alcun dubbio, è dei nostri, mi dico. Santo cielo, quest’avventura non smette di mettere le sue trappole… buone. Mi cattura sempre di più. Tina Carrieri è alla mia sinistra, volto arguto, sprizza intelligenza da tutti i pori, mi scruta, indaga. Fa domande sottili come lame. Poi, nel nostro rapido interloquire ci leggiamo reciprocamente, ed è dei nostri anche lei. Userà tutti i linguaggi del corpo per mimare, sulle sacre tavole del palcoscenico, le parti più dure del mio testo che, confesso, intimorisce non poco. Poi, in una notte in cui di più temevo di non essere in grado di onorare il tema, impaurita scrivo: quando la vita sorseggia albicocche e cicuta e si dona agli anatemi e arde su pire blasfeme a coccolar fiamme e scintille…quando la vita salterella sui tizzi e morde il ghiaccio per placar quell’esser dilaniata sino al midollo e raccogliere i brandelli di muscoli e pelle, di seni dolci e labbra da baci e seta di capelli e vagina, vagina di donna teneramente appollaiata sull’abisso…quando la vita non canta e sventola bandiere di follìa…..su cantatemi dei cavalieri celesti coraggiosamente galoppanti sulle nivee sponde dei cuori e delle anime…Quanto penare! Il giorno dopo ci incontriamo in un palazzo nobiliare del centro storico, Palazzo Recupero. Un salotto d’Ottocento tutto storia, broccati, poltrone, cimelii, un sontuoso organo sulla sinistra ed un pianoforte a destra. Seduto al pianoforte c’è Egidio Cofano, organista della Basilica di San Martino in Martina Franca. Concertista in Italia e all’estero. Ha composto alcuni brani; cantano Nasti, Scialpi e Sara Nigri; e la Nigri mi fa ascoltare anche le sue composizioni musicali, dense! L’atmosfera mi catapulta indietro di 200 anni; qui si canta con la voce, in diretta, si compone con le mani sul pianoforte, si scrivono le musiche sui pentagrammi, nessun sintetizzatore. Qui si fa la Musica e si usano le Ugole, nessun trucco da sala d’incisione con quelle consolles da Tirannosaurus Rex. Qui ci sono uomini d’arte giganti… mi faccio piccola piccola in una delle tante poltrone. Quanto è sorprendente la vita!
E poi immagino quante volte è dovuta venir giù dalla capitale per le prove, le metteva paura il Teatro Verdi?
Tutto mi metteva paura; era il mio primo musical e la mia prima regìa teatrale in un teatro così grande, storico e così bello. Tanti turbamenti, e quel cercare la chiave per uscire dai vizi e far trionfare le virtù….cantino con voce di cielo e di mare gli inni agli altari e gli incensi facciano nuvole dense attorno ai templi…templi di dignità, templi di civiltà, che le voci trovino i toni perfetti e le ali sappiano prendere il volo verso le guglie a raccattar maiuscole di signorìa e nobiltà. Contavo molto sulle musiche dei Divenere, eleganti, dal respiro universale; Modern Star -tratto dal CD “The Snow Out of Her Apartment” – nella mia testa era oramai la colonna sonora, quel sound che ogni spettatore ha portato con sé alla fine dello spettacolo. Il crescendo sonoro che va a spegnersi dolcemente per respirare alto successivamente musicava la resurrezione dopo la caduta, era sintesi potente ed eloquente dell’intera fabula, dell’intero concetto, dunque del musical. Il brano Miracle, tratto da “Cities, Skies, Mountains, Seas and Other Useless Things” compiva il “miracolo laico” e trovava anche l’alto gradimento da parte di tutti gli artisti. Danilo Loprete, front-man del gruppo, nonchè architetto e compositore, oltre che voce del gruppo, nel suo essere schivo, austero, sa trovare sul palcoscenico musicale i colori, le forme, le sapienze del palcoscenico della vita; mentre progetta/compone architetture da vivere, dall’altro lato compone pentagrammi, colonne sonore per quelle architetture da vivere. Ecco allora che il genere Dreampop, Post rock e Shoegaze dei Divenere sposa la virtu’ lirica, la danza, la poesia, abbraccia l’intera arte teatrale. Cominciavo a immaginare visivamente e acusticamente il musical. Mi elettrizzavo. Sarebbero anche arrivare le musiche di Piernicola Dalla Zeta a perfezionare il puzzle musicale, l’armonia. I due brani di Dalla Zeta sembrano usciti da un antico libro biblico, segnano la linea di demarcazione tra la zona sacra e l’incubo del vizio. Cominciavo a respirare più profondamente, scrivo in un mattino di chiara frizzante primavera…..e voi terre di vento e di parole erigete mausolei, piramidi di sogni e musica, erigete mausolei di logica e candidi vessilli ove ciascuno scriva la propria canzone, la propria parola generosa. Nel salotto di Donna Teresa Gentile, in Palazzo Recupero, comincio a sentirmi a mio agio; mi dico: forse ce la farò. Giannico Achico Soleti e Cristian Leuci compiranno il miracolo di farmelo credere ancora di più. Mi piacciono subito. Due artisti che cureranno danze, coreografie, balletti; con loro anche Sara Buccarella e Annamaria Bufano. Le loro coreografie come quelle di Aurelia Semeraro e i loro balletti saranno diamanti incastonati in una corona fatta di bei respiri artistici. Danze potenti, simbolicamente perfette, artisticamente professionali e catturanti. Mi scusi, lei mi chiedeva se il Teatro Verdi mi faceva paura. Certo che mi faceva paura. Ma con due angeli custodi come Francesca Ruggiero e Walter Mirabili molta della paura si è dissolta. La Ruggiero è la scenografa del Festival della Valle d’Itria, vado subito in empatìa con lei. Le sue soluzioni mi mettono i brividi. Grande personalità e professionalità. Il fondale e la gabbia che ha ideato avranno effetti sorprendenti. La vestizione della scena, pur minimale, è superlativa. Il mago delle luci è Walter Mirabili. Mai cognome fu così significante! E’ stato amore a prima vita, parlo di amore scenico. Intuiva istantaneamente le mie richieste. Psicologo del linguaggio e della fisiognomica, non meno di Francesca. Hanno interpretato la carica sentimentale, letteraria, etica, pedagogica, ecumenica di tutta la mia sceneggiatura, il testo nella sostanza intima. Mirabili ha finanche interpretato e trovato la migliore delle soluzioni al mio personalissimo desiderio di essere e non essere sul palcoscenico. Ha stagliato la mia figura per otto metri contro un boccascena di 16 metri. Da non credere. Mi son detta più volte: sogno o son desta? Il Teatro Verdi di Martina Franca è uno dei simboli più forti della cittadina pugliese nel cuore della Valle d’Itria di cui ne è capoluogo, mi faceva paura, ma m’accorgevo di avere tra le mani soluzioni affascinanti.
Avviciniamoci al tempo di andare in scena.
L’avventura è rischiosa come ogni avventura che si rispetti, ma i protagonisti sono generosi. Ciascuno da’ non solo il meglio di sé, anche tutto quello che ha imparato e che sta imparando in questa avventura. Ci ho infilato anche i due danzatori di Taranta, gli archetipi, il cammino dell’Uomo lungo i secoli e nell’energia che emana la proiezione verso il futuro. Vis vitae. Tanta forza vitale colmerà la scena sicchè mentre “Nohra”, la musica di Dalla Zeta, nel prologo, immetterà nell’antro nel quale attrarremo il pubblico; ”Smaja” , Padre nostro in aramaico, con la voce di Giovanni Russo darà il tocco di magia ultraterrena. La scelta del Padre Nostro in aramaico non è stata confessionale; pressochè nessuno lo ha mai sentito recitare sicchè diveniva una trovata forte perché ciascuno attribuisse il significato che voleva a quelle parole incomprensibili, proiettasse il sé in quel testo. E in effetti funzionò. L’impatto fu fortissimo. Io mi sono immaginata, e di fatto così è stato, dietro il telo per tutto il tempo, la voce recitante, la figura alta otto metri che dà voce e parola alla meraviglia, all’indicibile, a volte all’inesprimibile, al racconto, all’anima, al cuore, al gesto bello e brutto, la voce della fabula drammaturgica d’incontrovertibile intensità…uscirò e calpesterò le sacre tavole solo al Trionfo delle virtù laddove musica, parole, voci si fonderanno in una armonia assoluta. Anche i cappelli pungicapo di Simona La Rho Lomurno sono stati azzeccati. Ho dovuto faticare per convincerla, ma alla fine è venuta ed ha scoperto che quei copricapo così strani, pesanti, forti, sono teatrali, il teatro è la loro migliore casa. La mia scelta d’essere presente ed invisibile se non nell’ombra alta ben otto metri è registica, avrei voluto un ologramma ma è troppo costoso sicchè il Mirabili mi ha creato l’effetto che in verità mi ha poi intrigato più dell’ologramma, occorreva una voce femminile “divinizzata” e, a ben pensare, poteva essere una forma evocativa della femminilità di Dio di cui si parla nei documenti del Concilio Vaticano Secondo e rimasta per lo più lontana dalle pratiche. Del Cristo che soffre le pene del parto allorche noi uomini e donne soffriamo, non se ne parla. La scelta non è neppure una rivalsa di genere, è un esserci non esserci per assegnare eloquenza e potenza alla parola poetica cui tengo tanto e per la quale tanto fatico, parole scritte da me e nelle quali credo e che, perciò, avrei proferito con forte pathos nongià interpretazione.
E il dopo l’avventura?
Sa, sin dapprincipio ho desiderato che tutti coloro che lavoravano al Concept Musical avessero un motto ed ho scelto questo mio piccolissimo componimento: Tessete uomini trame d’amore. Non vi sarà tempo abbastanza per goderne appieno prima che la vita voli con ali di piombo. Quanto all’avventura, s’è infittita mano a mano che operavo, mi sentivo una nuova Alice in una Martina Franca delle meraviglie. Ben due istituzioni scolastiche hanno deciso di partecipare operosamente alla realizzazione di quest’incontro di arti e sensibilità. La Prof.ssa Adele Quaranta, dell’ITC e G “Leonardo da Vinci” e la Prof.ssa Roberta Leporati dell’Istituto Comprensivo “A. R. Chiarelli”. E’ quest’ultima che ha realizzato con i bambini il “Telo delle Virtù”. L’ho ideato in una notte di alto pathos, l’ho voluto fortissimamente, l’utopia doveva materializzarsi; imprimere le impronte colorate di 500 manine, mi dicevo mentre alcune lacrime uscivano docili…santo cielo! Nessuna avventura può ritenersi conclusa se non ci ha insegnato alcunchè. Il Telo delle Virtù è lasciare la propria impronta. E’ il dire-fare, l’esserci con l’etica dell’impegno nell’impresa della vita, quella che i miei genitori mi hanno insegnato, anzi, direi mi hanno trasmesso con la consanguineità; è quello che occorre per l’opera d’arte più importante: la Vita, e la Vita è l’opera d’arte per eccellenza, la possibilità di essere artisti è data a tutti. Ogni mano impressa con un colore diverso, come ogni opera umana che, di fatto, concorre nella propria ricca differenza a fare il canto comune, il bene comune, certo anche il male, ma con questa opera di concordia artistica celebriamo il Bene Comune. Il Telo delle Virtù diventerà il mio nuovo vessillo che parte da Martina Franca per andare immagino subito a Matera, poi per il mondo. Sarà il simbolo dell’ inclusione e la fortissima fonte pedagogica delle fasce d’età in cui si va costruendo la personalità, nel caso dei bambini, di riflessione e azione sociale, nel caso degli adulti. Ecco allora che dopo la fase del Trionfo delle Virtù con: vorrei lambire la luna, strusciarmi come gatta sulla sua curva concava, incontrare i mondi con occhi di mandorle e miele raccontarci tutte le meraviglie, vedere i pianeti pioggerellare come coriandoli sull’anima….superò il vento…superò il mare…conquistò il pianeta del fare… ogni canzone volle cantare…superò il vento …superò il mare… abito volle diventare…sull’uscio del cuore sul far dell’amore …superò il vento superò il mare e ci reinsegnò ad amare… tutti gli artisti in scena ed io anche, venuta allo scoperto, abbiam preso un lembo del Telo e siamo usciti nella piazza a cantare superò il vento superò il mare e ci reinsegno’ ad amare. Abbiamo onorato così il Logo Unesco per le intenzioni di pace e inclusione sociale, i loghi istituzionali dalla Regione Puglia, i Comuni di Martina Franca, Cisternino, Alberobello, Locorotondo e Crispiano, il logo Eudonna e soprattutto la Cultura nella sua accezione più alta e bella. A tal punto, mentre la ringrazio, direi: Che magnifico destino!