La Dc-Libertas Basilicata non ha alcun rapporto con il partito cosiddetto nuova Democrazia Cristiana di cui è segretario Giuseppe Pizza. Lo afferma in una nota il segretario regionale della Dc-Libertas Basilicata Giuseppe Potenza.
Nella nota si ricorda che nel mese di novembre 2014 è stato presentato al Tribunale di Potenza dal Comitato Nazionale degli iscritti della DC 1992-1993 un esposto che chiama direttamente in causa Giuseppe Pizza, Pierferdinando Casini, Rocco Buttiglione, Gerardo Bianco, Angelino Alfano, e tanti altri che continuano ad usare il simbolo storico della DC.
Quel simbolo, lo scudo crociato e la parola «Libertas» sul segmento corto della croce latina, ha vissuto onte e glorie della Dc per cinquant’anni, si è celato nell’era di Tangentopoli, ed è giunto, senza scomparire mai del tutto, fino ai giorni nostri.
Nella vicenda della rappresentanza politica e giuridica della Democrazia Cristiana che si trascina da troppi anni – è scritto nella nota – solo gli ultimi iscritti alla Democrazia Cristiana nel periodo 1992-1993 hanno il diritto di riprendere l’attività politica del partito, interrotta improvvisamente per l’“abbandono“, sia dei rappresentanti degli organi dirigenziali nazionali, che dei parlamentari di Camera e Senato. Sarà il Tribunale di Potenza – che ha già tenuto alcune udienze – a pronunciarsi sull’esposto.
La questione del simbolo – si legge nella nota – non ha nulla di formale in quanto chi ha utilizzato e continua ad utilizzare lo scudo crociato si è allontanato dagli autentici valori dei democratico-cristianiche sono essenzialmente di servizio e non certo di ricerca di postazioni di potere o di azioni illecite.
L’attività del Comitato Nazionale pertanto ha il preciso obiettivo di riorganizzare il Partito, eleggendo gli organi nazionali, regionali, provinciali e locali, applicando fedelmente lo Statuto della D.C., ovviamente senza discostarsi da quanto dettato dalle Sentenze che hanno contraddistinto l’iter giudiziario. Vi è l’esigenza quindi, di tutelare l’interesse pubblico sia nell’esercizio del diritto permanente di partecipazione (art. 49 Costituzione), sia la salvaguardia dei diritti ideali, politici, patrimoniali, degli associati al partito (art. 36 c.c.) che si sono visti privati illegittimamente delle loro prerogative.
L’avv. Rosanna Faraone, che rappresenta il Comitato Nazionale degli iscritti DC 1992-93, ribadisce le motivazioni dell’esposto sottolineando che dalle sentenza del 15/09/2006 n. 19381 del Tribunale di Roma, Terza Sezione Civile (in persona del Giudice Dott. Francesco Manzo), della Corte di Appello di Roma n. 1305/09; e Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 25999/2010; Ordinanza cautelare del 21/03/2013, pronunciata dal Tribunale di Roma Sezione 3° Civile – Giudice Dott. Scerrato (nel procedimento N: 79518/2012 R.G), si evince che nel corso degli anni più persone pur richiamandosi ai valori posti alla base dell’attività politica della Democrazia Cristiana di Sturzo e De Gasperi, ritenendosi, in modo inesatto, erede e tutrice, in verità non avevano la rappresentanza giuridica. Con le stesse sentenze – afferma l’avv. Faraone – si metteva fine alle dispute tra le diverse formazioni politiche, durate per 19 anni, che, come statuito chiaramente dalle sentenze, si richiamavano ai valori e alla formazione politica della D.C., ma non avevano la legittimazione giuridica del simbolo scudo crociato con la scritta Libertas e del nome Democrazia Cristiana. Al Tribunale di Potenza – ha spiegato l’avv. Faraone – chiediamo prioritariamente e quindi prima di entrare nel merito di inibire l’uso del simbolo della Dc e di farlo in tempi rapidissimi.