La Guardia di Finanza ha arrestato Vincenzo Consoli, originario di Miglionico ed ex amministratore delegato di Veneto Banca e ha sequestrato in via preventiva decine di milioni di euro nei confronti di persone legate alla stessa banca. Al banchiere, ora ai domiciliari, sono stati sequestrati 1,8 milioni di euro. I provvedimenti, eseguiti da un centinaio di finanzieri che hanno compiuto anche svariate perquisizioni, sono stati emessi dalla procura di Roma. I reati contestati sono aggiotaggio ed ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. Il periodo al centro dell’indagine riguarda il biennio il 2013/2014.
“Ho appreso la notizia dell’arresto dell’ex amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, e sono meravigliato per la tempistica”. E’ la reazione di Giovanni Schiavon, vice presidente dell’istituto di Montebelluna (Treviso) e fondatore dell’Associazione degli azionisti di Veneto Banca, nonché ex presidente del Tribunale di Treviso. “Arrestare una persona in via preventiva è sempre grave – aggiunge Schiavon – ma farlo dopo un anno, quando evidentemente non c’è più pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato, è qualcosa che non capisco”. Per Schiavon, inoltre, il secondo aspetto macroscopico è che “mentre per Veneto Banca procede la Procura della Repubblica di Roma e scattano gli arresti, per la Banca Popolare di Vicenza la competenza è rimasta a Vicenza e, nonostante la maggiore gravità del quadro di quella banca, verso gli ex amministratori non succede nulla del genere”.
“Giovanni Zonin, ex presidente, si è disfatto nel frattempo di tutti i suoi beni – conclude – e questo di per sè mi pare una coda di paglia non indifferente”.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’attuale amministratore delegato, Cristiano Carrus: “Veneto Banca è la prima a essere interessata a fare totale chiarezza su quanto avvenuto in passato e il nuovo cda, che si insedierà dopo l’assemblea di lunedì 8 agosto, proseguirà senza indugio e con grande determinazione nell’azione di responsabilità nei confronti di chi si è reso responsabile del dissesto delle banca”.
La banca, passata sotto il controllo del fondo Atlante dopo il flop dell’ultimo aumento di capitale, era stato oggetto di perquisizioni oltre un anno fa: pur non essendo quotata, rientrava tra le banche – con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante – che avrebbero dovuto adeguarsi al decreto cosiddetto ‘investment compact del gennaio 2015 che riguardava il progetto di trasformazione in Spa delle banche popolari. Secondo il grave quadro indiziario emerso dall’indagine della Procura di Roma e della Guardia di Finanza, le condotte degli ex vertici di Veneto Banca, con prestiti baciati e parcheggi di titoli, hanno determinato “l’annacquamento” del patrimonio di vigilanza della banca, che, secondo le regole della Banca d’Italia, avrebbe dovuto essere rettificato in modo da evidenziare il suo valore reale, indicando il vero ammontare dei prestiti ancora effettivamente riscuotibili. Invece, nelle segnalazioni periodiche a Bankitalia – si legge in una nota della Gdf – Veneto Banca ha continuato ad indicare un valore del patrimonio di vigilanza sovrastimato rispetto a quello effettivo, mascherandone la reale consistenza.
Le operazioni “baciate” sui titoli e i parcheggi di bond, inoltre, sono state accompagnate dalla concessione di finanziamenti a soggetti in difficoltà economiche, in stato di decozione o comunque non in grado di restituire le somme ricevute, senza un’adeguata verifica della capacità di rimborso da parte dei richiedenti, all’insegna di un diffuso e sostanziale disinteresse del merito creditizio.
In sostanza l’effetto era di offrire, all’esterno, l’immagine di una solidità patrimoniale dell’istituto ben maggiore di quella effettiva, idonea ad ingannare la platea dei risparmiatori e gli altri azionisti, rafforzando così – secondo la ricostruzione, in modo fraudolento – l’immagine della banca e la fiducia nel management.
Quindi, secondo gli elementi acquisiti, mediante queste operazioni, i vertici di Veneto Banca potevano falsamente rappresentare agli organi di vigilanza una consistenza patrimoniale superiore al reale, così da rientrare nei parametri di sicurezza che la legge esige per gli istituti bancari. Infine, la creazione di questa situazione di patrimonio “virtuale” avrebbe consentito di fissare il sovrapprezzo delle azioni su valori assai elevati rispetto allo stato dell’azienda.
Sullo sfondo dell’inchiesta Veneto Banca ci sono due ispezioni condotte da Banca d’Italia nel 2013 che aveva deciso di approfondire la neutralità di alcuni atti dell’istituto e dopo aveva richiesto il cambio della governance. Per i Pm, quindi, si configurerebbe il reato di ostacolo alla vigilanza dovuto al fitto scambio di corrispondenza e di aggiotaggio. A sostegno delle ipotesi c’è un documento della Consob dal quale emerge che nei corsi azionari delle Popolari ci sono stati degli
andamenti “anomali” registrati prima del 16 gennaio 2015, data in cui il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha dato consistenza ai rumors che già circolavano su una possibile riforma del settore.
Vincenzo Consoli è nato a Miglionico, in provincia di Matera, il 21 novembre 1949, è sposato e ha due figli.
Diplomato in ragioneria, inizia la sua carriera al Credito Italiano, diventando funzionario nel 1977. Entra in Veneto Banca nel 1989, ricoprendo il ruolo di capo area. In breve tempo assume posizioni di crescente responsabilità (da Dirigente fino a Vice Direttore Generale) diventando Direttore Generale dell’Istituto nel 1997. Attualmente ricopre la carica di Amministratore Delegato di Veneto Banca Holding.
Nel giugno 2005 Consoli ha ricevuto dalla Facoltà di Economia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia la laurea specialistica in Amministrazione e controllo honoris causa.
(FONTE REPUBBLICA.IT)