Venerdì 12 agosto alle ore 19, presso l’Auditorium di Aliano, si terrà l’inaugurazione della mostra dal titolo “Si specchia ancora nel fiume – Alianello tra foto, arte e poesia”. La mostra resterà aperta presso il palazzo De Leo sino al 24 settembre.
E’ questa una rassegna di fotografie artistiche dell’antico borgo di Alianello, di grande formato e su lastre di zinco, eseguite dal fotografo d’arte finlandese Peter Streber, intercalate tra le fotografie 20 poesie di Nicola D’Imperio dedicate ad Alianello che “commentano” con sensazioni poetiche quanto espresso visivamente dall’arte fotografica di Strebel.
Nicola D’Imperio, nativo di Alianello, medico, scrittore e poeta, dopo una visita fatta lo scorso anno con Strebel al borgo abbandonato e dopo aver visionato le foto che Peter aveva scattato nelle settimane successive, ha avuto l’idea di dedicare a questa straordinaria documentazione una serie di poesie e di organizzare questa mostra.
La manifestazione, patrocinata dal Comune di Aliano, dal Parco Letterario “C. Levi”, dal Circolo culturale “N. Panevino”, fa parte degli eventi illustrati nel dossier che Aliano ha presentato nella sua candidatura a “Capitale italiana della Cultura per il 2018”.
L’inaugurazione della mostra sarà aperta dai saluti di Luigi De Lorenzo, sindaco di Aliano, di Antonio Colaiacovo, presidente del Parco Letterario “C. Levi” e da Pietro Dilenge, presidente del Circolo culturale “N. Panevino”, seguiranno interventi di Nicola Filazzola, Raffaele Nigro, Giovanni Viceconte, Franco Mattatelli, Nicola D’Imperio e Peter Strebel, con intermezzi musicali alla chitarra di Cosimo Maragno.
Si specchia ancora nel fiume Alianello tra foto, arte e poesia.
Fotografie d’arte di Peter Strebel. Poesie di Nicola D’Imperio.
La vita si è fermata.
Questo è stato il mio primo pensiero quando sono entrato in una delle case diroccate di Alianello. Il momento del terremoto era estremamente tangibile in quelle stanze. Riuscivo a percepire il panico degli abitanti e a udirne i passi in fuga mentre cercavano di mettersi al sicuro.
Latmosfera che ho trovato ad Alianello ha involontariamente destato un’enorme quantità di domande: che cosa è successo? Dov’è la gente? Come ha fatto a cavarsela? Com’è sopravvissuta a questo shock? Dove vive oggi? Le tracce di vita lasciate prima del sisma hanno dato spunto alla mia interpretazione personale del luogo.
Vasi per le conserve semivuoti, bottiglie appena aperte, carte da gioco di una partita non terminatasono solo alcuni degli innumerevoli segni del terrore scatenato dalla scossa. Tutto è coperto da uno strato di polvere, quasi a preservarne la conservazione. Il lento e successivo mutamento è visibile ovunque: pareti crollate; pezzi di soffitto caduti su tavoli e sedie; colori stesi a più strati scrostati, che raccontano storie degli inquilini d’un tempo. Quante volte quelle scarpe abbandonate ne hanno portato il padrone al lavoro nei campi, nella Val d’Agri, e nel ritorno verso casa? Le panche della chiesa rimaste sono circondate da ortiche e da altre piante; sotto le macerie ho trovato stralci di tessuti ecclesiastici. Il simbolo della fede cristiana campeggia ancora, nella sua funzione allusiva, sulla porta d’ingresso. Quaderni di scuola e documenti ricoprono il pavimento, a continua testimonianza della vita prima del terremoto. La colomba che ha costruito il suo nido in una casa, prosegue sola la vita di Alianello.
La vita si è fermata il 23 novembre 1980. Lenta e silente è la metamorfosi dell’intero borgo. Centinaia di anni fa, i fondatori di Alianello hanno preso a prestito dalla Natura un pezzo di terra per edificare, con dura fatica, il loro paese. Eppure, come è accaduto più volte, la Natura ha rescisso unilateralmente il contratto, e lentamente si riprende indietro tutto. Durante la mia attività fotografica ad Alianello il monito della Natura mi ha accompagnato costantemente, in modo impressionante. Qui, noi, siamo solo tollerati.
Peter Strebel
Di seguito la fotogallery con le opere di Peter Strebel
Di seguito le poesie di Peter Strebel
SI SPECCHIA ANCORA NEL FIUME
ALIANELLO TRA ARTE, FOTO E POESIA
2. PIETRE DI FIUME
Pietre bianche calcinate dal sole,
pietre lisce bagnate di luce,
pietre grigie consunte dal tempo,
pietre su pietre levigate dal vento.
Pietre di fiume rotolate dai monti
a sorvegliare il corso dell’acqua;
nel silenzio delle secche d’estate,
nel fragore delle piene d’inverno.
Erano ferme da più di mill’anni,
forse ancor prima che l’uomo venisse,
quando due mani callose e grandi
le presero a forza e le miser nei cesti
pendenti di lato sui fianchi dei muli.
Salita e fatica sul lungo cammino,
per colli, crinali e calanchi d’argilla.
Il paese guardava dall’alto e pensava:
le pietre del fiume gli davan la vita.
Le une sull’altre da mastri sapienti
legate tra loro con malta e calcina,
per anni e centenni custodi dell’uomo,
di gioie e tristezze, dolori e fatiche,
e lo protessero dal caldo e dal vento
e dalla tempesta del grigio del cielo,
anche i suoi figli n’ebber rifugio:
e s’ alternarono vicende ed amori.
Infine una sera la terra tremò,
un cupo rimbombo che fece paura,
le pietre di fiume si strinser tra loro,
dovevano insieme creare più forza,
custodia dell’uomo era il loro dovere,
non la rovina oppure la morte.
E resistettero e la casa fu salva,
la gente restò, ma qualcuno da fuori
scrisse sui muri con la vernice
una sentenza di oscuro abbandono.
A valle si fecero baracche di legno
e case fatte con brutti mattoni.
Le pietre di fiume in alto, al paese,
non erano più al bisogno dell’uomo,
perser la forza e crollarono al suolo,
furon coperte da rovi ed erbacce.
Le pietre di fiume son belle e son forti,
il sole e la luna le specchia nell’acqua.
8. IL CACATORIO
La tazza troneggiava in bella mostra
quasi nel centro del nuovo gabinetto,
con un aspetto fiero e forestiero,
veniva da New York, la capitale
ed era stata spedita per via mare.
“Ma come in Italia non ci sono cessi?”
“Si lo so”, disse il figlio americano,
“ma così belli non ne ho mai veduti,
in America son tutti colorati
di giallo, di azzurro, di verde, come questo,
con lo schienale che sembra una poltrona,
due braccioli che ti fan sentire un papa,
una vasca per l’acqua e una catena.
E’ roba americana, è roba buona!
E’ stata comprata nella Quinta Strada!”
Ma il padre la guardava con sospetto
e la chiamava come meritava:
una latrina, un cesso, un gabinetto!
L’osservava con l’aria contrariata,
chissà quanti soldi che è costata,
pensava tra se e se e, per dispetto,
non la degnò neppure di un’occhiata.
Continuò così per tutta la sua vita
a servirsi del cacatoio del paese,
Era un bel posto, rivolto verso valle,
il fiume che scorreva in mezzo ai campi,
in fondo le montagne del Pollino
bianche d’inverno e vivide d’estate
le case di Sant’Arcangelo vicino,
dov’era nato e c’erano i suoi avi.
Alla sera brillavano le stelle,
brillavano le luci del paese
nell’acqua del fiume che scorreva.
Un brivido lo scuoteva per la pelle
al sol pensiero della felicità
che dava lo scambiarsi una parola
con il vicino o con l’amico caro.
Accovacciati insieme il tempo vola!
E si godono i piaceri della vita
e l’anima si purifica col corpo.
E respirare il profumo della terra
smossa d’autunno del suolo lucano,
e quello della legna dei camini,
e il vento con la pioggia dell’inverno
e la fragranza del grano appena colto
che risale d’estate, da lontano.
E farlo insieme a chi ti vuole bene!
E lo portò, bambino, al cacatoio,
gli disse di procedere con cura
per evitare qualche inconveniente.
In fondo c’era in estasi un compare
che salutò col gesto della mano,
Poi si rivolse al bimbo e sussurrò
se avesse voglia di porre un pò di corpo.
Lui gli rispose che non gli scappava.
Chiese al compare se poteva accovacciarsi
vicino a lui, e lui ne fu felice.
Parlarono insieme delle loro cose,
poi parlò al bimbo del valore di quel posto.
“Che gusto hanno i giovani moderni
che in un loculo puzzolente e scuro
si chiudono a chiave senza compagnia
e non godono della vita questa magia?”
Quando andava a far visita a Matera
lui si fermava lì solo per poco,
era senza il mondo suo e il suo bel posto.
Col tempo il cacatoio del paese
diventò più triste e più solingo,
gli amici diventavano più rari
perché scomparsi o, peggio, conquistati
da quegli idoli bianchi e sconsacrati.
E così,nei suoi giorni rimanenti,
continuò a rispettare i suoi principi
finchè fu solo nel piazzale, senza amici,
di fronte al fiume e ai monti del Pollino.
Ma il profumo dell’aria era più fino
e il manto delle stelle più vicino.
15. IL FULMINE
Un giorno di luce e di caldo d’estate,
nuvole grandi venute dai monti,
all’improvviso invasero il cielo,
il vento levò la polvere in alto,
poche le gocce ma grandi e pesanti,
e dopo la grandine, violenta e chiassosa.
Una finestra sbattette lontana,
da sopra un terrazzo una voce di donna
che s’affrettava a raccogliere i panni.
L’oscuro seguì alla luce del sole
e fu squarciato dall’abbaglio di un lampo
e da un rumore vicino e potente
come di porta sbattuta dal vento.
Il bimbo tranquillo sulla sedia di legno,
che rincorreva un fagiolo col dito,
si spaventò, rimase allibito
e infine scoppiò in un pianto dirotto.
La mamma in cucina al fuoco badava
e preparava il pranzo e la cena,
accorse dal bimbo e lo prese nel grembo,
lo baciò a lungo per farlo acquietare,
lo confortò stringendolo al petto.
Il bimbo tacque con gli occhi lucenti,
due perle di lacrime grosse e splendenti
si fermarono in viso, un singhiozzo, un tremore.
S’udiva sommesso il canto materno
che parlava di fiori, di fate e d’amore.
Un altro squarcio di luce abbagliante,
insieme ad un aspro rumore assordante,
invase violento la grande cucina,
dal focolare acceso sul fondo
dove i fagioli bollivano piano.
Si fermò lì quel mostro, indeciso
se entrar pur nella stanza di fianco,
poi si dissolse o scomparve lontano.
La stanza dov’era la mamma e il bambino
fu invasa dal fumo acre e improvviso.
Il bimbo riprese a pianger più forte,
la mamma atterrita, col coraggio nel cuore,
avvolse il figliol nello scialle vicino,
lo strinse a se ancora più stretto,
e corse giù per la ripida scala
senza curarsi di grandine e pioggia.
Le vicine di casa usciron stupite
e chieser tra loro cosa fosse successo.
La mamma per strada, i capelli grondanti
sul volto e le spalle, la veste bagnata,
col bimbo abbracciato, le pupille smarrite,
un sussurro indistinto di parole sognanti:
dalla sua creatura era stata salvata.
Sulla piazzetta la porta di chiesa
fu spalancata dal vento e dal tuono,
vi corse dentro col bimbo in difesa
per ringraziare Maria per quel dono.
18. PALOMBELLA
Dov’era celata una serranda a muro,
una colomba bianca ha fatto il nido;
le pare che quel posto sia sicuro.
Mi avvicino in silenzio, l’osservo, le sorrido.
gli occhi son trepidi, lo sguardo par confuso,
d’istinto fuggirebbe, ma non vola.
Mi vien la sensazione dell’intruso,
fermo il respiro, non dico una parola,
in punta di piedi ritorno sui miei passi,
mi giro quando arrivo sulla porta.
In silenzio cammino sopra i sassi,
e m’ allontano con la mente assorta.
Non è vero che il borgo tra i calanchi
non serva più alla vita, senza speranza;
l’anima sua, tra quei muri stanchi
di palombella bianca ha la sembianza.
20. TRA I CALANCHI
Il sole è dietro le colline,
procedo sul terreno scivoloso,
davanti un orizzonte senza fine
fatto di terra, di nuvole e di cielo,
di quà un cumulo rugoso
di creta scavata dalla pioggia,
di là il vento che mi porta
soave il profumo, un soffio, un velo,
della ginestra gialla ch’è fiorita.
M’inoltro ancora per la stretta via
che risale a fatica e si fa più storta;
attorno a me buchi, coni e castelli
fatti d’argilla antica, un po’ sbiadita,
sorti d’incanto, forse per magia,
e strappi verticali, quasi brandelli,
di cortine e di pizzi ricamati a rete
dall’acqua, dall’aria e da quel vento.
Il sole, or’alto sulle argille,
brucia violento le selvagge crete ,
le rompe in fenditure e con l’argento
le adorna e le arricchisce di scintille.
Questi calanchi son fatti con la luce,
coi colori che abbagliano il mattino
col bianco, il grigio, azzurro e giallo;
continuo la mia strada che conduce
giù verso la valle, verso il cammino
del fiume che risplende di cristallo.