Riceviamo e pubblichiamo una nota inviata dal consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Gianni Perrino.
La Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, in collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato e la Guardia di Finanza, avrebbe effettuato, nei giorni scorsi, un’ispezione negli stabilimenti del gruppo Scianatico, ILA laterizi di Matera e Scianatico laterizi di Genzano (Potenza). L’ipotesi investigativa sarebbe quella di un coinvolgimento degli stabilimenti nel traffico e nello smaltimento illecito di rifiuti (fanghi industriali) provenienti dall’attività industriale di alcune cartiere toscane. Secondo gli investigatori venivano prodotti laterizi utilizzando gli scarti di cartiera. Insomma, ci troviamo dinanzi ad una vicenda inquietante. Episodi gravissimi che attesterebbero come la Basilicata abbia sempre rappresentato, seconda forse solo alla “terra dei fuochi” campana, una delle mete preferite dei trafficanti di rifiuti pericolosi.
In questa (interminabile) fase di riorganizzazione dell’agenzia regionale di monitoraggio e controllo ambientale, l’A.R.P.A.B., è vitale tenere i riflettori accesi e puntati su tutte le attività industriali che presentano evidenti criticità per quanto attiene la tutela del territorio, della sicurezza sanitaria dei cittadini e della salute pubblica. Il M5S Basilicata continuerà a seguire attentamente la vicenda e non mancherà di attivare tutti gli strumenti a disposizione per prevenire e contrastare i “trafficanti di morte”, oltre che sostenere la Magistratura nella repressione di simili condotte criminali che, purtroppo, appaiono essere tutt’altro che episodiche nella nostra regione.
I PARTICOLARI SULL’INCHIESTA IN TOSCANA
Dopo gli arresti e i controlli nelle aziende agricole delle province di Pisa e Firenze sono stati affidati ai laboratori dell’Arpat di Firenze, e a due laboratori della provincia di Lucca e di Venezia, gli esami sui campioni dei rifiuti sequestrati nell’ambito dell’inchiesta della Procura distrettuale antimafia diretta dal Procuratore capo, Giuseppe Creazzo, che ha portato all’arresto di sei imprenditori, cinque residenti in Toscana e uno in Veneto, titolari di ditte di smaltimento dei rifiuti. Gli accertamenti serviranno tra l’altro a stabilire il livello di tossicità dei fanghi che, per gli inquirenti, sarebbero stati sversati in alcuni terreni della Toscana, poi coltivati a grano.
1) L’inquinamento da idrocarburi. Il punto centrale è proprio quello legato all’inquinamento. L’inchiesta è partita dall’esposto del titolare di un agriturismo di Montaione, stanco delle maleodoranze e preoccupato da quella melma nera stesa sulla terra. E le analisi effettuate sui campioni raccolti sia nei terreni su cui c’era stato lo spandimento che nei luoghi di produzione hanno confermato la presenza di valori di idrocarburi superiori ai limiti di compatibilità con un terreno verde. Le indagini hanno ricondotto a nomi noti nelle inchieste sulle terre dei fanghi.
2) I legami consolidati. Non è solo l’intreccio di rapporti tra aziende specializzate nella gestione, nel trasporto e nel trattamento dei rifiuti, come la 3F Ecologia della famiglia Fornaciari di Porcari o la DC Green di Vicopisano, della famiglia Del Carlo di Lucca (la stessa della Delca ora fallita), ad avere richiamato le attenzione degli investigatori. E’ vero che già il pentito di camorra Carmine Schiavone, anni fa, aveva messo in relazione alcune di queste aziende con l’inquinamento della Terra dei Fuochi, in Campania. E poi per trasportare i fanghi (con formulari falsi) spesso veniva chiamata la Veca Sud, in passato indagata per i rapporti con i Casalesi.
3) I fanghi neri e tossici. I controlli effettuati sui fanghi (a cominciare da quelli neri che erano stati scaricati dalla DC Green a Montaione nel 2014) hanno dimostrato che i fanghi non sono idonei per essere immessi nel ciclo ambientale. Sono così inquinanti che sono incompatibili anche con un terreno a destinazione industriale. A quel punto l’Arpat nel 2015 è partita con le indagini in più impianti di produzione dello scarto da cui provenivano i fanghi della DC Green. Secondo l’accusa i fanghi venivano inviati allo spandimento “tal quali” senza il trattamenti per abbattere gli inquinanti. Questo vale per i fanghi di prodotti dagli impianti di depurazione dei reflui fognari gestiti da Asa, Consorzio Torrente Pescia, Gaia e Geal con valori di idrocarburi altissimi. Così per gli impianti di Lavello e Rivellino poi confrontati con i campioni prelevati alle aziende Il Colle di Peccioli e sui terreni a Montaione. In teoria alle aziende dovevano essere consegnati rifiuti non pericolosi, fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane. Ma arrivavano fanghi classificabili come rifiuti come tossici e nocivi. Tanto che si ipotizza possa esserci stata una miscelazione con scarichi di provenienza diversa non solo provenienti da acque reflue urbane ma anche industriali con vantaggi per chi ha organizzato il business. La procura è al lavoro per dimostrare il deterioramento del suolo. Una violazione dolosa delle disposizioni in materia ambientale che, anche in casi di tempi lunghi della giustizia, dovrebbe riuscire ad evitare di chiudere lo scandalo con una prescrizione.
4) Il filone pisano. I filoni di indagine sono due: uno riguarda un’impresa pistoiese (con la 3 F Ecologia) che avrebbe smaltito illecitamente, scarti di lavorazione della carta, contenenti sostanze chimiche molto nocive per la salute. Il secondo è focalizzato sull’attività della DC Green, divenuta leader nel trattamento dei prodotti reflui originati da diversi depuratori di fanghi industriali. Fanghi versati su circa 800 ettari di terreni a Peccioli, Palaia, Laiatico, Chianni, Pontedera , Crespina Lorenzana, Fauglia e Montaione. Secondo l’accusa l’azienda percepiva ingenti somme di denaro a titolo di “indennizzo” per la prestazione resa e per avere predisposto la documentazione per nascondere le sostanze tossiche. I sindaci sono pronti a costituirsi parte civile. La mappa dei terreni che potrebbero essere stati avvelenati è in divenire.