Alla cerimonia hanno partecipato diverse scolaresche dei plessi di Pascoli e Marconi.
I rappresentanti militari e dei Corpi di Polizia hanno commemorato i Caduti con la deposizione di corone di alloro presso il monumento di piazza Vittorio Veneto.
Durante la celebrazione si è schierato anche un Reparto di formazione composto da una rappresentanza delle Forze Armate.
Il Prefetto Bellomo ha letto il messaggio inviato dal Capo dello Stato Sergio Matterella, Donato Ninivaggi ha letto il messaggio del Ministro della Difesa, Roberta Pinotti.
Per commemorare la ricorrenza sono intervenuti anche il professore Franco Lisanti in rappresentanza delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, Arianna Antezza, presidente della Consulta provinciale studentesca e studentessa della V E del Liceo Scientifico di Matera, il presidente della Provincia di Matera Francesco De Giacomo e il sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri, che anche in questa circostanza ha preferito un discorso a braccio al classico testo istituzionale già preparato.De Ruggieri ha ricordato che in questa giornata “va gridato un grazie ad alta voce alle Forze Armate perchè rappresentano quel collante di solidarietà umana e di pace nel nostro Paese. Le Forze Armate in questi giorni sono impegnate assieme ai Vigili del Fuoco anche nel conforto delle popolazioni del centro Italia colpite da un tragedia immane. Dunque oggi le Forze Armate non sono più portatrici di guerra ma di solidarietà e di pace. Oggi si celebra anche l’Unità d’Italia. Non è una data casuale. E’ la data in cui la Nazione ha ritrovato l’unità geopolitica ma sopratutto una unità solidale e umana. E’ avvenuto nel periodo compreso tra il 14 ottobre 1917 e il 14 ottobre 1918: a Caporetto e un anno dopo, con l’inizio della grande battaglia di Vittorio Veneto, di cui la nostra piazza porta il nome. Fu quello il momento epocale di rincorsa verso la vittoria che portò alla liberazione di Trento e Trieste il 3 novembre 1918; un momento epocale della nostra storia che dobbiamo ricordare e che ci impone il rispetto. E’ nelle trincee che gli italiani hanno cominciato a conoscersi e a socializzare. E sono quei morti, quelli che ricordiamo nelle lapidi del Monumento ai Caduti, che devono imporre il dovere per il rispetto per costruire un Paese migliore”.
Nella mattinata di venerdì 4 novembre è aperta ai cittadini la sede del Comando provinciale dei Carabinieri e in questa ocasione è tornato a girare per le vie della città di Matera il “Bibliomotocarro della Memoria e del Ricordo” a cura dell’ ANMIG.
Riportiamo di seguito l’intervento di Franco Lisanti in occasione della festa del 4 NovembreRitorna come un opportuno momento di riflessione questo 4 Novembre, festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate e giornata dedicata alla memoria dei caduti di tutte le guerre lontani e recenti. Cosa può dirci ancora questo 4 Novembre? Con la celebrazione dell’anniversario di Vittorio Veneto non si vuole certo esaltare una guerra, bensì si vuole ricordare alle generazioni di oggi i patimenti di quella guerra vittoriosa, ma che nei 5 anni di guerra di dure battaglie costò tanti lutti alle famiglie. In questa, come in altre commemorazioni, può prevalere soltanto la suggestione emotiva di un ricordo, pur denso di significati e di sentimenti. L’emozione, tuttavia, ha breve durata se non scava dentro di noi motivazioni forti tese ad un impegno serio e fattivo per rendere migliore la convivenza civile. E, pertanto, queste ricorrenze non avrebbero nessun significato, se esse non rappresentassero altrettanti punti di riferimento della nostra vita e delle tappe nel nostro cammino di uomini che vogliono vivere nella libertà e nella democrazia. Quando oggi nelle inchieste si domanda quali siano i desideri degli uomini, il desiderio della pace si trova sempre a uno dei primissimi posti. Certo, nel nostro Paese possiamo essere soddisfatti che dopo la seconda guerra mondiale ci sia stata la pace ma questa pace si mostra molto fragile se gettiamo lo sguardo nel mondo. Le logiche di guerra imperversano ancora e la corsa alle armi non accenna a fermarsi. Di continuo sono scoppiate guerre nei Balcani, in Africa, in medio oriente e noi soffriamo per una nuova forma di guerra, il terrorismo che funesta anche i paesi pacifici. Aumenta sempre di più la propensione alla violenza e all’ intolleranza verso altre culture e religioni. Il flusso delle violenze continua a scorrere per le strade, a coprire le pagine dei giornali, a varcare le soglie dei tempi con la persecuzione religiosa ad insinuarsi nelle famiglie. Non sono più i Paesi a far la guerra per appropriarsi di materie prime e territori, ma sono piuttosto i gruppi terroristici a far la guerra contro le intere umanità, e soprattutto contro tutti coloro che hanno un opinione diversa o che sostengono interessi diversi. Tuttavia, siamo tutti desiderosi di trovare una soluzione per far valere quel mirabile strumento che si chiama “ comunicazione” ma comunicare l’uno con l’altro è estremamente difficile, anche se si ci conosce molto bene. Ognuno di noi infatti vuol far prevalere la propria idea, non vuole rinunciare alle proprie posizioni egoistiche, ritiene che il torto e l’ingiusto sia sempre nell’altro e mai si vuol riconoscere che una maggiore disponibilità all’ascolto dell’altro possa costituire la chiave di una maggiore comprensione. La condizione di un’umanità sommersa dalla paura, dall’insicurezza può essere migliorata da due valori fondamentali: l’amore e la pace. E’ questione di fiducia! Se potessimo ritrovarla tutti insieme, se potessimo incontrarci e capirci! Chissà che non sia questa impossibilità di intenderci tra noi uomini che distrugge tante cose. Diceva Gandhi: l’umanità può essere salvata solo dalla non violenza e la prima condizione della non violenza è la giustizia, dovunque in ogni settore della vita, la forza di un uomo e di un popolo è nella non violenza. Il mondo è stanco di odio e l’odio può essere vinto solo dall’amore.
Franco Lisanti
Giovanni Caserta: “Ricordando la Grande Guerra”
Il 4 novembre 2016 non è un 4 novembre come tanti, perché arrivaa cento anni dal 1916, secondo anno dall’inizio della prima guerra mondiale per l’Italia e per Matera Per la precisione, erano passati diciotto mesi; ma i morti materani erano già tanti.Erano ben 102. Si consideri che la città, allora, contava appena 18.000 mila abitanti. A voler fare un calcolo, c’era un morto ogni 180 abitanti. Poiché si può calcolare che ogni famiglia fosse all’incirca di sei componenti, c’era un morto ogni trenta famiglie. Si metta nel conto che gran parte di quelle famiglie con morti risiedeva nei Sassi, lì assiepate e strette intorno ai vicinati.Si può capire quanto si legge nel libro di padre Marcello Morelli, Storia di Matera, p. 437, che così ricorda quei giorni terribili: “I Sassi – scrive – echeggiavano di grida strazianti e continuavano a popolarsi di gramaglie. Inapprezzabile fu in quelle ore tragiche l’opera el’assistenza dei sacerdoti anziani che a spiriti superficiali parvero imboscati e furono angeli consolatori e spina dorsale della resistenza interna”.
Padre Marcello parla di sacerdoti anziani rimasti a casa; non dice dei sacerdoti giovani che partirono per il fronte, adibiti acappellani consolatori dei fanti mandatia cadere come mosche. Ed erano tutti giovani, in generetra i 20 e i 25 anni.E c’era qualcuno che non aveva compiuto i diciotto anni! Padre Marcello fu cappellano egli pure e operò nell’ospedaletto da campo n. 152. Come padre Semeria e padre Minozzi visse il dramma sacerdotale della sua collocazione tra due contendenti che non praticavano il quinto comandamento, che ordina di nonuccidere. E invece quei giovani dovevanouccidere. Comepadre Semeria e padre Minozzi, anche padre Marcello, dopo aver deprecato la guerra e l’uso della armi ingenere, si schierava con l’Italia e i fanti italiani, immaginandosi gli Austriaci come crudeli invasori,non diversi dagli antichi turchi, infedeli e feroci. Si piega perciò sul letto dei feritie moribondi italiani, spesso senza gambe, senzabraccia, sempre sanguinanti. Sui fogli d’ospedale, scrivevasonetti e canzoni.Vogliamo, a cento anni, ricordare il 4 novembre 1916, rammaricandoci del fatto che Matera nulla sta facendo per ricordare il macello di quei giorni, di quelle settimane, di quei mesi e di quei tre anni e oltre. Ricordiamo che un Comitato è insediato presso la Prefettura. Quel Comitato raccoglie il fiore della cultura materana, per disposizione del Ministero dei Beni Culturali. Ma non se ne avverte la presenza. E nulla dice e ha detto, pur interessato,circa lo spostamento del Monumento ai Caduti al centro della piazza, nella sede originaria, E ciò nonostante che anche in questo senso vadano alcune raccomandazioni del Ministero.Ma noi un ricordo vogliamo lasciarlodi quei giovani mandati al macello, infilzati dalle baionette austriache o avvelenati dal gas come il giovane Paolicelli Francesco di Francesco Paolo, soldato 10° reggimento fanteria, nato il 9 novembre 1894 a Matera, morto il 29 giugno 1916, mentre era trasportato nell’ambulanza della Croce Rossa Italiana. Lo facciamo pubblicandoil sonetto 8 di padre Marcello, che il lettore potrà trovare alla p. 114 dei Canti della mia solitudine (endecasillabi, ABAB, ABBA, CDC, EDE)
La scenasi sposta dall’ospedale ad una casa in attesa, e viceversa. In analogia con il X agosto di Pascoli, bimbe e bimbi aspettano il papà che, partito per la guerra, giace ferito nell’ospedaletto da campo 152°. Ma il loro papà non dorme. Pensa. E che pensa? Pensa, a sua volta, alla sua famiglia lasciata acasa, forse nei Sassi. Pensa ai suoi bambini.Ma stia tranquillo. A tenere quei bambini nelle braccia, e a proteggerli, ci pensa la mamma. Innocenti, i piccoli non colgono le dimensioni della tragedia che li ha travolti. Dormono e sognano a loro volta il papà. Che, almeno nel sogno, quel papà, affettuosamente e ungarettianamente chiamato “fratello”, si pieghi a baciar loro la bocca e ad accarezzare, ciocca dopo ciocca, i loro fini, aurei capelli.
Buona lettura!
E tu non dormi? Pensi a’ tuoi bambini,
fratello, tu? Già dormono. Riposa.
Pispilliarono un po’ come pulcini,
poi giacquero sul petto alla tua sposa
che nella fresca purità de’ lini
piano li avvolse: e intanto una festosa
frotta di sogni incoloria di rosa
i loro addormentati volti chini.
Ti sognano, ti ridono, con occhi
tremanti, come puri astri novelli,
e si stringono a’ tuoi cari ginocchi.
Piegati un poco: accosta alla lor bocca
l’arsa tua bocca e i fini, aurei capelli,
o fratello, accarezza a ciocca a ciocca.