Intervenendo nel corso del quinto convegno internazionale di dialettologia, il presidente ha rilanciato la necessità di realizzare in Basilicata un Centro internazionale di studi che sia punto di riferimento per la ricerca linguistica in Europa.
“In Italia non c’è lingua senza dialetti, già lo sosteneva anticipando la linguistica moderna Dante Alighieri, perché essi sono la lingua degli affetti, delle cose che appartengono ad una terra e non ad un’altra, che legano le generazioni tanto quanto il sangue”. Lo ha detto il presidente del Consiglio regionale Francesco Mollica nel suo intervento al quinto Convegno internazionale di dialettologia “Dialetti: per parlare e parlarne”.
“L’importanza di ricerche intorno ai dialetti oggi viene riconosciuta dal mondo scientifico – ha aggiunto Mollica – così come dimostra la presenza magistrale di prestigiosi esponenti che si stanno alternando in questa tre giorni in territorio lucano, tra Potenza, Lauria e Vaglio e che vede la presenza degli atenei di Oxford, Cambridge, Stoccolma, Pisa e Milano. Nell’epoca della globalizzazione dove le più svariate forme di social regnano sovrane e dove si comunica attraverso congegni elettronici, togliendoci così il piacere di interagire guardandoci negli occhi, parlare del dialetto può sembrare anacronistico. Non è così, il dialetto fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l’inevitabile segno che ci fa dire che apparteniamo ad un certo luogo, ad un certo tempo e che ci identifica e ci colloca nel posto preciso della nostra storia personale”.
“In questi anni – ha continuato Mollica – la Basilicata è stata e continua ad essere un laboratorio naturale per lo studio delle lingue e sarebbe veramente un grave danno culturale consentire la perdita di questo patrimonio. La nostra terra, quale punto di congiunzione e di passaggio tra Oriente e Occidente attraverso la via Popilia e altre importanti vie di comunicazione, rappresenta il filo conduttore di queste giornate di studio. In questa logica, è indispensabile che la Regione sappia, sempre di più, valorizzare forme di cultura come il dialetto che altro non è che la costruzione e ricostruzione della nostra identità lucana. E bisogna farlo anche e soprattutto attraverso l’attuazione di strategie che lo tutelino”.A questo proposito il presidente ha fatto riferimento alla legge regionale n. 27 del 2015 in materia di patrimonio culturale, finalizzata alla valorizzazione, gestione e fruizione dei beni materiali ed immateriali della Regione Basilicata “affinché il dialetto venga tutelato come bene da conservare e valorizzare”.
Il presidente, riprendendo quanto da sempre sostenuto in questi anni dalla professoressa Patrizia del Puente dell’Università di Basilicata, ha poi fatto riferimento al progetto Alba (Atlante dei dialetti della Basilicata) iniziato nel maggio 2007, definendolo “un’iniziativa di altissimo livello scientifico in cui la Regione ha da sempre creduto e che ha il merito di concentrare l’attenzione sulle nostre radici linguistiche e, quindi, storiche. Un esempiodi come l’Università coniughi la sua vocazione alla ricerca con le esigenze e le richieste del territorio”.
“Adesso – ha detto ancora Mollica – la Regione dovrà lavorare per la realizzazione di un Centro internazionale di studi dialettologici che diventi punto di riferimento per la ricerca linguistica in Europa. Una piccola ‘accademia della crusca’ per il dialetto. Ciò consentirebbe il prosieguo del lavoro di raccolta e salvaguardia delle lingue lucane, oltre ad essere motore di mille iniziative che porterebbero studiosi italiani e stranieri in Basilicata per una ricerca sul campo nei vari paesi”.
“I dialetti – ha concluso il presidente del Consiglio regionale – sono la testimonianza di culture che altrimenti andrebbero perse e che dobbiamo cercare di non disperdere. Perché perdere un mezzo di espressione di pensiero e sentimento come i nostri dialetti sarebbe una sconfitta, una perdita per tutti. Amare il dialetto, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai nostri figli significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l’eredità della nostra storia”.