Storico via libera all’indicazione di origine obbligatoria per il latte e i prodotti lattiero-caseari che pone finalmente fine all’inganno del falso Made in Italy con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia che sono stranieri, cosi come la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, senza che questo sia stato fino ad ora riportato in etichetta. E’ quanto fa sapere il presidente di Coldiretti Basilicata, Piergiorgio Quarto, nell’annunciare la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dello scorso 19 gennaio 2017 del decreto firmato dai ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. “Un provvedimento – sottolinea Quarto – fortemente sostenuto dalla Coldiretti che rappresenta un importante segnale di cambiamento a livello nazionale e comunitario. Il via libera – continua Quarto – risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani che secondo la consultazione pubblica online del Ministero delle politiche agricole, in più di 9 casi su 10, considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione”. Il provvedimento riguarda – evidenzia Coldiretti – l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari e prevede l’utilizzo in etichetta delle seguenti diciture: “Paese di mungitura”: nome del Paese nel quale è stato munto il latte; “Paese di condizionamento o di trasformazione”: nome del Paese nel quale il latte è stato condizionato o trasformato. Il provvedimento entrerà in vigore pienamente dopo novanta giorni dalla pubblicazione avvenuta il 19 gennaio anche se sarà possibile, per un periodo non superiore a 180 giorni, smaltire le scorte delle confezioni con il sistema di etichettatura precedente. “Il prossimo passo – evidenzia Francesco Manzari, direttore Coldiretti Basilicata – è l’entrata in vigore dell’obbligo di indicare l’origine del grano impiegato nella pasta come previsto nello schema di decreto che introduce l’indicazione obbligatoria dell’origine del grano impiegato nella pasta condiviso dai Ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e già inviato alla Commissione Europea”.
Indicazione di origine obbligatoria per il latte e i prodotti lattiero-caseari, nota Cia: “Primo provvedimento di tutela del latte lucano”
La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.15 del 19 gennaio scorso del decreto “Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011” rappresenta il primo importante strumento di tutela del latte italiano. Finalmente il latte di qualità prodotto nelle aziende della Val d’Agri come della Montagna Materana e del Marmo-Melandro che viene conferito dalle aziende di marchi più prestigiosi del “made in Italy” come le produzioni lattiero-casearie locali saranno riconosciuti e facilmente identificabili da parte dei consumatori. A sottolinearlo è la Cia Basilicata aggiungendo che il passo successivo deve essere quello della “giusta remunerazione” per gli allevatori.
Produrre un litro di latte – spiega Luciano Sileo dell’Ufficio Zootecnico Cia – arriva a costare in molti casi anche 40 centesimi di euro, ma agli allevatori viene pagato al massimo 29 centesimi: questo è un trend fallimentare. Per avere un’idea: un litro di latte è pagato alla stalla circa il 40% del costo della tazzina di caffè servita al bar. Tutto ciò è ancora più assurdo in questa fase dove, in tutta Europa, la domanda di prodotto è alta. Inoltre si raggiunge il paradosso con il latte fuori dagli accordi contrattuali, quello che gli addetti ai lavori chiamano “spot”, che viene scambiato a un prezzo di quasi 10 centesimi più alto. Una situazione – afferma il dirigente della Cia – diventata insostenibile.
Come se non bastasse il trend negativo dell’ultimo decennio con il 44,2% in meno di aziende lucane con allevamenti di vacche da latte –continua Sileo- di questo passo molte altre aziende saranno costrette alla chiusura, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti. Gli allevatori sono esasperati, necessitano di misure concrete di sostegno e prezzi delle materie prime equi.
Analizzando l’evoluzione della struttura della zootecnia da latte nell’arco del decennio considerato, l’andamento regionale indica che a cessare l’attività sono soprattutto le aziende con meno di 50 capi, sebbene la contrazione maggiore si registri per quelle che detengono meno di 10 capi (Basilicata: -58,5%). Nella nostra regione – evidenzia la Cia – il sistema di raccolta del latte alla stalla è particolarmente frammentato, con un’evidente prevalenza di imprese private (529) sulle cooperative (89) che, tuttavia, non è abbinata ad un analogo riscontro nei quantitativi di latte raccolto: le imprese cooperative, infatti, ritirano il 14,5% in più del latte raccolto complessivamente dai privati (688.232 t di latte consegnato alle cooperative rispetto alle 600.984 t di latte consegnato ai privati).
Per la Cia altre priorità sono: Operatività immediata per la moratoria dei debiti degli allevatori; Impegno sulla promozione del latte italiano; Estensione a tutti gli iscritti all’Anagrafe nazionale bovini del premio Pac sui vitelli.