Scomparsa di Alfredo Reichlin, di seguito il cordoglio di Vincenzo Folino (Sinistra Italiana).
Una sera di qualche tempo fa, nei primi anni del secolo, con Peppino Sonnessa portammo a cena in un ristorante del centro di Potenza Alfredo Reichlin dopo che aveva tenuto una lezione di storia e di politica a molti giovani diessini. “Don Alfredo”, come io lo chiamavo, era un bell’uomo, ieratico, che incuteva un certo timore, ma aveva una voce affabile e un tono confidenziale. Si discuteva delle difficoltà del percorso riformista della sinistra negli anni a cavallo del secolo e Peppino insisteva sulle responsabilità dei massimi dirigenti che si opponevano ai cambiamenti, ed allora Don Alfredo con voce solenne ci disse che è compito del leader o del “capo” convincere coloro che dissentono e farsi carico delle minoranze.
Allora dicevamo che non si può fare il riformismo senza popolo e non immaginavamo che saremmo arrivati al riformismo contro il popolo.
Reichlin, lucido intellettuale e fine scrittore, è stato una stella polare per la cultura politica della sinistra con i suoi articoli e i suoi discorsi, ma mai avrebbe immaginato che un concetto di derivazione gramsciana, cioè la funzione di pilastro e sostenitore dei preminenti interessi nazionali di una forza politica democratica e riformista, per la cronaca il “partito della Nazione” (anche se lui preferiva l’espressione “partito per la Nazione”), potesse essere utilizzato in così malo modo in questi anni per giustificare un neo trasformismo contro il sentimento del popolo progressista del nostro Paese.
Il 26 maggio 2015, in una prestigiosa sede culturale della Capitale, con una cerimonia molto sobria festeggiammo con Roberto Speranza, Bersani, D’Alema e tanti altri compagne e compagni Don Alfredo: partigiano da ragazzo, valoroso dirigente del Pci, uomo di cultura, intellettuale di primo piano per 70 anni, fu affabile come sempre. Grazie ad Alfredo Reichlin anche per quella lezione sulla necessità di un esercizio democratico, inclusivo e non divisivo della leadership che ci fece all’inizio della primavera potentina di circa 15 anni fa.
Scomparsa di Alfredo Reichlin, cordoglio di Vincenzo Viti
Con Alfredo Reichlin scompare uno straordinario testimone del tempo. Un eccentrico,coltissimo esponente di quel cote’ che ha chiamato al dovere di “pensare” intere generazioni, sopratutto in un tempo nel quale radicali e profonde apparivano le differenze fra le grandi visioni politiche. E lo scontro esigeva che il campo venisse liberato, nei limiti del possibile, dagli umori urticanti del pregiudizio ideologico, si aprisse al confronto e trovasse una misura che regolasse una difficile coabitazione. Nel Mezzogiorno sopratutto ,terra di conflitti ma anche di sotterranee solidarietà. Reichlin ha saputo, partendo dalla ricchissima esperienza pugliese che lo avrebbe proiettato sulla scena nazionale , coniugare la finezza di un linguaggio carico di eco umanistiche con una visione politica moderna,depurata da settarismi, aperta all’ascolto e coraggiosamente orientata alla innovazione.
Avevo promosso negli anni sessanta la costituzione del Gruppo dei meridionalisti di Basilicata (agli esordi della mia esperienza politica e in sintonia con il movimento promosso in Puglia da Vittore Fiore) . Invitai Reichlin a Matera ad un convegno sul futuro dell’agricoltura meridionale. Nella sala stracolma della Camera di commercio egli raccolse le osservazioni e le analisi che andavamo sciorinando e svolse un ragionamento straordinariamente suggestivo sui rapporti di potere nella società meridionale,sulle relazioni diseguali fra settori produttivi e sulle potenzialità di quella che definì la “fabbrica” dell’ulivo. Una ricchezza che una cultura economica capace di farsi cultura politica e civile avrebbe potuto e dovuto capitalizzare. E invece non fece.
Avrei poi potuto seguire,da postazioni diverse, il lavoro intellettualmente illuminante svolto da Reichlin nelle responsabilità nazionali ed alla guida dell’Unità. Mi occupavo all’epoca di seguire, per Il Popolo nella pagina economica,la querelle meridionalista. Ma mai colsi nel rigore del suo ragionare l’ombra della vulgata propagandistica, piuttosto la eleganza e la sorvegliata intransigenza di chi tiene ferme le frontiere di un dibattito all’epoca né indulgente né compromissorio.
Aggiungo infine che l’intera sua riflessione fin sul terreno di un’avventura tuttora controversa quale quella del pd è stata costantemente rischiarata da una raffinata miscela di coraggio nell’attraversamento di invecchiate latitudini e insieme dal richiamo a un umanesimo aperto alla comprensione del mondo nuovo, alle sue dismisure e alle sue promesse di liberazione.
Credo sia giusto ricordarlo così.