Con una sorpresa pasquale anticipata per Monsignor Pino Caiazzo, Arcivescovo della Diocesi di Matera-Irsina si è conclusa la Santa Messa del Crisma nella Basilica Cattedrale, celebrazione eucaristica che ha aperto il rito della Settimana Santa che precede la Pasqua di Nostro Signore.
La Messa del Crisma è stata presieduta da Monsignor Caiazzo e concelebrata dal Presbiterio diocesano. Alla celebrazione eucaristica hanno partecipato tutti i presbiteri e i fedeli della comunità diocesana. Il significato di questa Messa è l’unità di tutta la Chiesa locale raccolta intorno al proprio Vescovo e la rinnovazione delle promesse sacerdotali. Durante la liturgia sono stati benedetti gli olii santi che, al termine della Messa, l’Arcivescovo consegnerà a tutte le parrocchie.
Al termine della celebrazione eucaristica Monsignor De Candia ha ricordato particolari anniversari di ordinazione. Quest’anno festeggia il 10° di sacerdozio don Francesco Gallipoli, il 25° don Giovanni Punzi, il 50° mons. Gerardo Forliano, il 60° don Vito Andrisani e don Nicola Di Pasquale. Inoltre nel corso del 2017 saranno ammessi agli ordini del diaconato e presbiterato i seguenti studenti del Seminario Maggiore Interdiocesano di Basilicata: Alberto Delli Veneri, Marco Di Lucca e Fabio Vena. Sono stati inoltre ricordati i sacerdoti tornati alla Casa del Padre: don Rocco D’Uva, don Mario Spinello, don Michele Grieco, don Emanuele Paolicelli, don Gino Galante e l’arcivescovo mons. Antonio Ciliberti.
Infine, ricorrendo domenica 16 aprile, giorno di Pasqua di Resurrezione, il primo anniversario dell’ingresso a Matera dell’arcivescovo mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, al termine della Messa Monsignor Di Candia ha formulato a nome di tutta la comunità diocesana, gli auguri più sentiti e il ringraziamento al Signore per il servizio episcopale che Monsignor Caiazzo svolge con passione ed amore nella nostra Diocesi. E per rendere ancora più speciale la ricorrenza del primo anniversario di permanenza nella diocesi di Matera Irsina, Monsignor Di Candia ha consegnatoa Monsignor Caiazzo il pastorale in legno di ulivo tornito ed intagliato a mano dall’artista materano Massimo Casiello.
I prelati della curia materana hanno pensato di omaggiare il vescovo con il simbolo che contraddistingue il “buon pastore” che sovraintende al governo del suo popolo, la Chiesa Materana. Come simbolo quindi della funzione di cura della fede e della morale sulla porzione di popolo cristiano affidata a un vescovo.
E’ stato pensato di farlo forgiare in legno di ulivo, e non in metallo pregiato, proprio in omaggio delle origini di “don Pino”, originario di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone e per ricordare il territorio della chiesa di Matera -Irsina. Monsignor Caiazzo ha sottolineato la scelta dell’artigiano Casiello di riprodurre sul pastorale anche il rosone che domina la facciata della Cattedrale di Matera e ha espresso gratitudine a tutti i prelati che hanno pensato a questo dono di grande valore simbolico.
I riti della Settimana Santa per la Pasqua sono stati avviati ufficialmente in mattinata con la visita di Monsignor Caiazzo agli ospiti della cooperativa “Fratello Sole” in località Santa Maria d’Irsi a Matera. Giovedì mattina l’Arcivescovo incontrerà i detenuti nella casa circondariale di Matera.
Michele Capolupo
Di seguito il testo dell’omelia dell’Arcivescovo Monsignor Pino Caiazzo durante la Messa Crismale celebrata in Cattedrale a Matera.
“Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” (Lc 22,14).
Carissimi confratelli nel sacerdozio, in questa prima Pasqua che celebro con voi sento di ripetere le parole che Gesù disse ai suoi discepoli: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” (Lc 22,14). E’ la prima volta che mi rivolgo a voi direttamente. E’ la nostra festa: ha bisogno di essere letta, meditata e vissuta.
La vivo con gioia ed emozione. E’ la celebrazione della quale siamo diventati ministri. Apparteniamo al collegio sacerdotale della nostra Chiesa di Matera – Irsina in virtù del sacramento dell’ordine che abbiamo ricevuto nella diversità di gradi. Ogni qualvolta presediamo l’eucaristia, entriamo in comunione con il corpo presbiterale e con il vescovo. E’questo il momento in cui si vive la particolare comunione tra il Vescovo e i Presbiteri.
Sento di salutare con affetto e gratitudine anche i nostri quattro Diaconi permanenti che ci onorano con il loro servizio puntuale e concreto.
Un pensiero che diventa preghiera vorrei rivolgere, in questo momento, alla Chiesa che soffre, in particolare a quella Copta in Egitto. Gli attentati, all’inizio della Settimana Santa nella Domenica delle Palme, ci richiamano ad essere uniti come cristiani e a soffrire con chi soffre. Sono fratelli di fede che ci appartengono. Con Papa Francesco diciamo: “Il Signore converta i cuori delle persone che seminano terrore, violenza e morte e anche il cuore di quelli che fanno e trafficano armi”.
Dopo un anno passato in mezzo a voi, incontrandovi personalmente, conoscendo le comunità parrocchiali, partecipando a diversi eventi di carattere religioso, culturale, caritativo, ho colto le tante attese e speranze da parte di tutti. Ho toccato in molte situazioni la santità e l’amore che traspare dal vostro servizio ministeriale. Ho avvertito il peso e la tristezza di alcuni e il desiderio di cambiamento. Ho visto tante lacrime scendere a causa di amarezze e sconfitte, ho raccolto il grido di dolore per ingiustizie e umiliazioni, delusioni e incomprensioni.
Vi ringrazio per l’attenzione che avete soprattutto verso i poveri, gli ammalati, coloro che sono soli, che non hanno una casa, gli immigrati, coloro che sono vittime di sfruttamento. Ho colto, in tanti, l’atteggiamento di considerare il denaro non utile ai propri interessi, ma come mezzo per sostenere i bisogni dei poveri. Una Chiesa presbiterale in uscita che sa guardare alle periferie esistenziali e che si mette continuamente in cammino, in un percorso sinodale.
Quanto ci ama Dio! Ognuno di noi è doppiamente prezioso ai suoi occhi. Prima di tutto perché unti nel giorno del nostro Battesimo con il Crisma di salvezza e poi confermati nel giorno della nostra Cresima, siamo entrati a far parte del sacerdozio comune dei fedeli. In secondo luogo perché, attraverso l’imposizione delle mani del Vescovo e dei Presbiteri, siamo stati scelti per partecipare del suo ministero di salvezza entrando nel corpo presbiterale.
Nel prefazio che più avanti pregheremo si dice: “Con l’unzione dello Spirito Santo hai costituito il Cristo tuo Figlio Pontefice della nuova ed eterna alleanza, e hai voluto che il suo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa. Egli comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti, e con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che mediante l’imposizione delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza”.
Voi sapete che la messa crismale trae il suo nome dall’olio del Crisma che viene confezionato e consacrato in questa celebrazione. Solo il vescovo, per la pienezza del suo ministero, può compiere tale rito. Indica il compimento di quanto Gesù spiega nel vangelo. Egli, conosciuto dai suoi concittadini solo come figlio di Giuseppe e Maria, entra nella sinagoga di Nazareth, la sua città natale, dalla quale si era allontanato per diversi anni, e rivela la sua vera identità attraverso la lettura e la spiegazione del brano di Isaia: non è solo uomo, è l’unto di Dio! Colui che mostra il volto di Dio. Questo è possibile perché rimane unito al Padre nella preghiera. Non ama mettersi in mostra, sfugge il desiderio umano di essere popolare, si ritira in silenzio, vince la tentazione del potere, del denaro.
Come abbiamo meditato nella prima domenica di Quaresima la prima tentazione mette in risalto il rapporto con noi stessi e con le cose («Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane», l’illusione che i beni riempiano la vita). La seconda ci mette di fronte a Dio, («Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù», un Dio magico a nostro servizio). La terza mette in evidenza il nostro modo di relazionarci con gli altri («Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai», la fame di potere, l’amore per la forza).
Noi siamo unti dallo Spirito Santo ma non siamo esenti da debolezze. Potrebbe accadere, senza rendercene conto, come dice Papa Francesco, che anche noi finiamo per diventare “untuosi”. Il maligno è terribile e fa di tutto per farci perdere il profumo di quell’unzione che ci fa essere come Cristo. Ogni presbitero, in virtù dell’unzione ricevuta, è un missionario: «mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore» (Is 61,1).
Nessun consacrato è un impiegato, nessun presbitero è stato unto per occupare un posto importante, per scegliersi la comunità parrocchiale o un altro luogo. E’ il richiamo della sistemazione. E’ la logica del calcolo (mi conviene o meno) ma non è la logica della missione. Il presbitero è animato ogni giorno dal desiderio di servire Cristo e la Chiesa, laddove il Signore, attraverso il vescovo, lo invia secondo i bisogni e le necessità. Arde dal desiderio di amare i fedeli che attendono il lieto annuncio, la liberazione da tante schiavitù, la vista, la grazia del Signore.
Nella prima lettura abbiamo sentito Isaia che diceva: «Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti. Io darò loro fedelmente il salario, concluderò con loro un’alleanza eterna» (Is 61,6).
La consacrazione degli olii è un momento importante di questa celebrazione. Sono a noi affidati perché nei diversi momenti della vita siano donati nel nome del Signore per comunicare Dio stesso. Dal Battesimo alla Cresima, dall’unzione degli infermi all’unzione sacerdotale ed episcopale.
A noi è stato affidato il compito non solo di annunciare la Parola ma anche di santificare il popolo dei fedeli. Non macchinette automatiche che danno il prodotto in base al codice che si preme. Ministri di Dio capaci di stare in mezzo ai fedeli, dietro di loro e davanti a loro.
Il sacerdote, in virtù del suo ministero, piange e gioisce con la gente a lui affidata; la sostiene e l’incoraggia. Un popolo che cammina ha bisogno di guide che diano la vita.
Lasciamo ad altri l’arrivismo e il protagonismo, i titoli e la carriera. Noi siamo ministri di Dio, chiamati a rendere presente il Cristo che ha offerto la sua vita per tutti. Ministri del sacro e non del ritualismo, del mistero divino che si mostra nella liturgia e non nella gestualità liturgica che a volte nella sua esasperata pomposità appare vuota e senza senso. Ministri che comunicano la vita divina, canali della grazia. Sacerdoti non della carità ma che si fanno carità, capaci di spendersi per il bene altrui.
Ringrazio quanti stanno rimettendo il loro mandato per essere disponibili ed inviati in altre comunità parrocchiali, o per raggiunti limiti di età. Sarebbe bello che non fossi io a chiedervi un avvicendamento ma foste voi a dirmi: sono a servizio della Chiesa e non della singola parrocchia, della Rettoria, del Santuario o Ufficio; sono pronto a lasciare per andare a servire altrove.
Quanto è bello essere prete! Quanto è meraviglioso sentire di far parte di una comunità presbiterale unita dallo stesso sacramento! Quanto è triste vedere preti che parlano male dei confratelli senza ragione, che sono nemici e non si guardano in faccia! “La storia cristiana è fatta di Santi. Santi nascosti, senza altari, devozioni né eroismi visibili, che però fanno luce con la loro bontà alle persone che incontrano” (Benedetto XVI). Questo è il prete, a questo modello bisogna aspirare.
Carissimi, Gesù accompagna ognuno di noi sacerdoti ad entrare nel mistero dell’amore di Dio. Il suo donarsi come cibo nasce da questo forte impulso interiore: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”. Questo desiderio di Dio che in Gesù vuole unirsi a noi, per realizzarsi ha bisogno del nostro “si”. Un “si” che si ripete quotidianamente, così come faremo fra poco nel rinnovare le nostre promesse sacerdotali. Un “sì” carico d’amore, di entusiasmo, di gioia; non detto per forza ma per volontà.
Un “si” fatto di gesti, di attenzioni, di rinuncia ai propri desideri. Un “si” pieno di preghiera, di ascolto della Parola, di silenzio per tuffarsi nei rumori della storia e servire l’uomo nelle sue sofferenze, nei suoi gemiti, nei suoi gridi di ingiustizia, nei soprusi quotidiani, scegliendo di stare dalla parte dei più deboli e non dei potenti e dei forti per interessi personali. Un “sì” che ci faccia essere capaci di condividere la mensa con i poveri così come con i ricchi.
Un “si” che costruisce e desidera la comunione. Quella comunione che nella concelebrazione eucaristica viviamo ma che a volte, nella quotidianità dei rapporti, si cerca di sfuggire. “La concelebrazione, nella quale si manifesta assai bene l’unità del sacerdozio, del sacrificio e di tutto il popolo di Dio, è prescritta dal rito stesso: nell’ordinazione del Vescovo e dei presbiteri, nella benedizione dell’abate e nella Messa crismale” (OGMR 199).
E ancora: “In questa forma di celebrazione della Messa più sacerdoti, in virtù del medesimo sacerdozio nella persona del Sommo Sacerdote, agiscono insieme con una sola volontà e una sola voce e con un unico atto sacramentale compiono e offrono insieme l’unico sacrificio e insieme vi partecipano” .
«Ogni volta che il sacrificio della croce, col quale “Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato” (1 Cor 5, 7), viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione» (LG 3) . Le Messe in qualunque luogo e tempo non moltiplicano il sacrificio, ma la sua presenza. «Il sacrificio redentore di Cristo è unico, compiuto una volta per tutte. Tuttavia è reso presente nel Sacrificio eucaristico della Chiesa. Lo stesso vale per l’unico sacerdozio di Cristo: esso è reso presente dal sacerdozio ministeriale senza che venga diminuita l’unicità del sacerdozio di Cristo. “Infatti solo Cristo è il vero sacerdote, mentre gli altri sono i suoi ministri» (CCC 1545) . Così si manifesta che, nella Messa, ogni sacerdote agisce in persona Christi, specialmente nella consacrazione. La Messa è la stessa sia celebrata da un solo sacerdote che da più di uno. Nella concelebrazione si manifesta anche l’unità organica di tutto il popolo di Dio, perché la Messa è opera della Chiesa nella sua struttura organica, specialmente quando, celebrata assieme a dei presbiteri, è presieduta dal vescovo con la partecipazione di fedeli non ordinati. Soprattutto quando presiede il Vescovo nessun sacerdote è esente dalla concelebrazione. Non farlo significherebbe rompere la comunione sacramentale.
Vi ringrazio, carissimi confratelli sacerdoti, per tutte quelle volte che avete mostrato il volto sacramentale, uniti, in comunione. Vi ringrazio per l’affetto e la compartecipazione al ministero che il Signore mi ha affidato. Aiutatemi ad essere per voi padre e con voi pastore. Vi assicuro che il mio primo pensiero tutte le mattine siete voi. Davanti al Santissimo Sacramento vi presento singolarmente e come presbiterio.
In questa celebrazione tre nostri giovani seminaristi (Alberto Delli Venneri, Marco Di Lucca e Fabio Vena) vivranno l’Ammissione al Sacro Ordine.
Siamo chiamati ad avere una maggiore consapevolezza, come Chiesa di Matera – Irsina, clero e laici, nell’opera di discernimento, perché domani questi giovani saranno preti di questa Chiesa e non di una parte o di una parrocchia. Ringrazio quanti, come equipe formativa del Seminario Teologico Regionale, li stanno seguendo e aiutando a maturare umanamente e spiritualmente, e quanti si prodigheranno in questa linea educativa.
Cari giovani, invoco il Signore affinché in questa strada intrapresa avvertiate dentro di voi un amore grande senza riserve verso Cristo che vi ha chiamati. «Se il ministero presbiterale non originasse da questo amore – afferma la Ratio, 13 – scadrebbe a prestazione di un funzionario, anziché essere il servizio di un pastore che offre la vita per il gregge. Da ciò risulta che l’amore per Cristo costituisce la motivazione prioritaria della vocazione al presbiterato». Ma «la passione per Cristo – insegna ancora la Ratio, 85 – sarebbe un vago affetto se non si esprimesse nell’amore alla Chiesa, sua sposa… Su questa base va innestata la scelta precisa della spiritualità diocesana, che si caratterizza per l’assunzione dell’amore e del servizio verso la propria Chiesa particolare come interesse principale e criterio fondamentale della propria vita spirituale e dell’impegno ecclesiale. Si tratta di una spiritualità che riceve la sua struttura dal triplice vincolo con il Vescovo, il presbiterio e il popolo di Dio e dal triplice munus profetico, regale e sacerdotale. Le sue tonalità principali sono la comunione e l’incarnazione».
Sento in questo momento una particolare comunione tra il cielo e la terra. Tra il nostro presbiterio e i confratelli sacerdoti che sono entrati nella vita eterna: Don Giuseppe Rocco D’Uva, Don Mario Luigi Spinello, D. Michele Grieco, Don Emanuele Paolicelli, Don Gino Galante. Tra i religiosi Don Franco Mastrandrea, e P. Michele Ferrara.
Una vicinanza particolare a quanti sono impediti a partecipare a questa solenne concelebrazione a causa dell’età avanzata o della malattia: Don Giovanni Punzi, Don Nicola Colagrande, Don Antonio Tortorelli. Assicuriamo la nostra preghiera ma anche l’impegno di renderci in un modo o in un altro presenti.
Vi affido alla nostra Madonna della Bruna. Insieme a lei intercedano per noi e la nostra amata Chiesa di Matera – Irsina, S. Eufemia, S. Eustachio e S. Giovanni da Matera.
Vi abbraccio e benedico.
†Don Pino
La fotogallery della Santa Messa del Crisma con la consegna della pastorale di Massimo Casiello a Monsignor Pino Caiazzo, Arcivescovo della diocesi di Matera-Irsina (foto www.SassiLive.it)