Pasqua 2017 a Matera. Di seguito i testi integrali delle due omelie a cura di Monsignor Pino Caiazzo, Arcivescovo della diocesi di Matera-Irsina
OMELIA DELLA NOTTE DI PASQUA 2017
Carissimi fratelli e sorelle,
questa è la notte in cui Cristo ha distrutto la morte! L’abbiamo cantato con forza, lo vogliamo dire con la nostra voce, ma lo vogliamo testimoniare con la nostra vita.
Chi di noi, di fronte alla morte di una persona cara,non si è trovato a raccontare fatti della vita che l’hanno segnato, rivisitando luoghi e ripetendo frasi, espressioni, aneddoti?
Nel rammentare e descriversi siamo passati dal pianto al sorriso. E si ha la sensazione, in quei momenti, di avere improvvisamente come dei riflessi abbaglianti di luce che allontanano il buio del dolore. “Non basta gridare contro le tenebre, bisogna accendere una luce” (San Nilo).
Questa notte, con i suoi segni liturgici, ci ha introdotti nella pienezza della luce. L’inizio della liturgiaè stato segnato dal buio della chiesa; dopoè stato illuminato dalla luce del fuoco nuovo benedetto:dal cero pasquale, Cristo luce del mondo, abbiamo attinto la stessa luce, fiamma della nostra fede che sempre dobbiamo alimentare.
La nostra Basilica Cattedrale, così come ogni altra chiesa, è stata illuminata completamente. Siamo passati dal buio alla luce. E’ stato il segno della vittoria di Cristo sulle tenebre. E’ la Pasqua del Signore. E’ la vittoria di Cristo sulla morte.
Noi, questa notte, non ci raccontiamo fatti già vissuti, ma celebriamo il memoriale di quanto il Signore ha fatto e sta facendo verso noi tutti; per una volta siamo noi ad ascoltare colui che era morto e ora è vivo. L’ascoltiamo al termine di una settimana, chiamata santa, iniziata nel terrore, con tanto sangue innocente versato nelle chiese Coopte d’Egitto, proprio mentre si era riuniti in preghiera ad osannare l’ingresso di Gesù in Gerusalemme.
Anche oggi ci sono Golgota da raggiungere sotto il peso di un’impotenza che ci dilania l’anima. Figli consegnati ad una croce che non riusciamo a far nostra. Un orrore dove il Golgota ha accolto i morti crocifissi e il loro sangue versato sulla nuda terra. Una violenza inaudita e insensata, con un prezzo molto alto da pagare, in termini di vite umane e di destabilizzazione e che semina paura, incertezza e diffidenza:questa è la strada di chi pensa di poter chiudere la partita della vita annientando essa stessa in modo brutale e cruento,ma non è la logica di Dio e non può essere la logica di quanti credono in Gesù Cristo.
La notte del dolore e della morte non avrà mai la forza di spegnere la luce della vita e la certezza della vittoria della stessa sulla morte.
Questa Pasqua, nonostante il dolore e il dispiacere dei cristiani, non spegne la speranza,tutt’altro;anzi riaccende la certezza che nessuna croce, nessuna bomba, nessuna forma di terrore fermerà l’agire di Dio, che vuole il bene dell’uomo.
Questa storia buia, che stiamo vivendo, ritorna a scrutare il sole che sorge, a volgere lo sguardo sul Cristo risorto che ha vinto, sta vincendo e vincerà sempre la morte.
Qualche anno addietro, diceva Benedetto XVI: “L’annuncio della risurrezione del Signore illumina le zone buie del mondo in cui viviamo. Mi riferisco particolarmente al materialismo e al nichilismo, a quella visione del mondo che non sa trascendere ciò che è sperimentalmente constatabile, e ripiega sconsolata in un sentimento del nulla che sarebbe il definitivo approdo dell’esistenza umana. È un fatto che se Cristo non fosse risorto, il “vuoto” sarebbe destinato ad avere il sopravvento. Se togliamo Cristo e la sua risurrezione, non c’è scampo per l’uomo e ogni sua speranza rimane un’illusione”.
E un pastore protestante tedesco, Dietrich Bonhoeffer, che ha subito il martirio nei campi di sterminio di Hitler,immediatamente prima del momento della morte, sentì il bisogno di guardare il Crocifisso e di contemplarne il volto,lasciando questa riflessione:«Pasqua? Il nostro sguardo è attirato più sul morire che sulla morte. Sembra più importante per noi venire a capo del morire che vincere la morte».In quei frangenti, la sua meditazione lo portò a proclamare qualcosa di veramente profondo, rapportando la morte di Gesù a quella di Socrate, simbolo della sapienza greca e affermando: «Socrate superò il morire; Cristo superò la morte, come l’ultimo nemico» (1 Cor 15,26).
Carissimi fratelli, questa notte siamo qui riuniti non per meditare su come superare il morire, bensì per annunciare che Cristo ha distrutto la morte, l’ha oltrepassata. Questo significa che la Pasqua di Gesù è la vittoria su ogni tipo di morte.
Nel brano del Vangelo che abbiamo ascoltato questa notte, la risurrezione di Gesù viene descritta come preceduta da un terremoto; ma lo stesso evangelista Matteo ci aveva già parlato di un altro terremoto: quello del momento della morte di Gesù.
Sono sicuramente come i terremoti che anche noi avvertiamo interiormente, quando ci rendiamo conto di aver perso un affetto, un amore, una personacara per sempre. E sono terremoti che sconvolgono l’esistenza più dei veri terremoti che distruggono ogni cosa, comesiamo stati tutti testimoni, nell’ultimo anno,per quanto accaduto nel territorio della nostra Italia.
Ma ci sono altri terremoti che spaccano e fanno rotolare le rocce che avevano sigillato il sepolcro e, dentro di esso, tutte le nostre speranze, certezze, voglia di vivere, entusiasmo, in una parola sola la nostra fede. Sono i terremoti che indicano l’esperienza concreta con il Risorto.
Incontrare Gesù vivo fa riassaporare il gusto di relazionarsi, di gioire, esultare, comunicare vita, annunciare con forza che la morte non è l’ultima risposta di questa esistenza:l’ultima ed eterna risposta è l’incontro dell’uomo con il divino.
Nessuno di noi è capace di togliere la pietra dal sepolcro: né discepoli, né donne, né consacrati, né laici. Solo l’Angelo del Signore ribalta il masso e, secondo l’evangelista, vi si siede sopra, quasi a voler dire che anche i macigni più pesanti sono sottomessi al potere di Dio. E di macigni, di grosse pietre, ne sono state tolte tante nella nostra vita! E continuano ad essere rotolate e saranno sempre frantumate.
Il cristiano non potrà mai rimanere intrappolato e sigillato nella disperazione, nella rassegnazione, nell’apatia, negli errori compiuti, nel buio delle proprie sconfitte, nei drammi del passato. Tutto, con la risurrezione di Gesù, viene ribaltato.
ConCristo, siamo noi che oggi veniamo chiamati a risorgere, coscienti di poter contare sull’aiuto che viene dall’alto e che ci spinge a progettare seriamente non solo la storia personale, ma anche quella comunitaria di un’intera città, di un popolo.
Noi non siamo nichilisti. Rigettiamo completamente le teorie di chi insegna che non esiste Dio, che vuole seppellire nella tomba e sigillare la forza della vita, i suoi desideri, il suo guardare oltre l’orizzonte del limite umano, il suo cercare il profumo d’eternità.
Siamo cristiani. La nostra certezza è posta in Gesù Cristo, colui che ha liberato la speranza e il desiderio di vita, respirando tra gli spazi infiniti abitati da Dio.
Troppe guardie, nel corso della storia, sono state poste davanti al sepolcro di Gesù, perché non venisse rivelata ed annunciata la verità della vita: la vittoria sulla morte dell’Assoluto. Guardie che si sono mascherate da filosofi, dittatori, scienziati, intellettuali. Guardie che, col tempo, non hanno potuto negare l’evidenza e loro stesse sono rimaste prigioniere di bugie, calunnie, teorie senza fondamento.
Le donne si erano recate al sepolcro per imbalsamare il corpo di Gesù. Anche in loro si era spenta la speranza. Il loro andare al sepolcro di buon mattino, per compiere il rito di ricoprire il corpo di profumi e balsami particolari per la conservazione, indica chiaramente che sono disorientate, addolorate e senza speranza. Cercano il morto.
Neanche loro avevano capito che Dio non poteva essere imbalsamato. Il vicino Egitto aveva loro insegnato come conservare il culto dei morti, magari mummificandoli. La procedura è più o meno quella.
Capita spesso, oggi come ieri, che anche noi,in seguito alla morte di una persona cara, ci rechiamo spesso al cimitero per sostare davanti al loculo, pulendolo e abbellendolo esteriormente, ma non ci lasciamo illuminare dalla Parola per capire, affrontare, superare il morire.
«Venire a capo del morire, scrive Bonhoeffer, non significa ancora venire a capo della morte… Il superamento del morire rimane nell’ambito delle possibilità umane; il superamento della morte significa resurrezione».
Le donne cercano il maestro con disperazione e rassegnazione.La tomba è aperta e vuota. Cercano il corpo morto. Solo quando viene loro spiegato che Dio non può trovarsi in una tomba, capiscono che devono fuggire dal sepolcro e andare dove Gesù li aspetta. Perché Gesù è risorto e precede tutti in Galilea.
La resurrezione indica che è iniziato il nuovo giorno, una nuova storia intrisa del profumo della speranza. Bonhoeffer, dal campo di concentramento, arrivò a dire che «fare Pasqua significa vivere partendo dalla risurrezione».
Contemplare la resurrezione di Gesù significa fare esperienza concreta di come nella vita tutto cambia. Cambia il modo di pensare, di agire, di rapportarsi con le cose e le persone. Cambia il modo di guardare la terra, rispettandola e amandola, alzando gli occhi verso il cielo e contemplando gli spazi infiniti dell’eternità.
Auguro a tutti, fratelli e sorelle, di uscire dalle tante condizioni di morte e di tombe nelle quali i fatti della vita ci hanno riposto e, incontrando il Risorto, Gesù Cristo, possiamo, insieme, tornare a camminare, fiduciosi di poter contribuire a costruire un’umanità nuova, rivestita di divinità. La Chiesa di Gesù Cristo è quella dei risorti. Vivendo, impegnati, il nostro presente, saremo capaci di guardare, anche noi, le cose di lassù.
Santa Pasqua a tutti.
Vi benedico.
† Don Pino, Arcivescovo
OMELIA GIORNO DI PASQUA 2017
Carissimi, venerdì mattina, dopo la celebrazione dell’Ufficio delle letture e delle Lodi, ho raggiunto un gruppo di pellegrini, guidati da P. Severino Donadoni,a ridosso della Gravina, nella chiesetta del SS. Crocifisso, più nota come Cristo La Selva.
Il proprietario, il Signor Passarelli, ha spiegato in particolare un affresco, davanti al quale, a suo dire, sono avvenuti diversi miracoli. Ma la cosa più interessante, oltre allo stile di Cimabue nel rappresentare il Cristo Crocifisso, è la scritta:“Memento Domine famula tua bularina”.
Nel mentre ci veniva data la spiegazione, sono andato indietro nel tempo, quando ragazzino, ricordo come i contadini mettevano un seme o una pianticella ai piedi di quella ormai morta. Nella loro saggezza celebravano sempre la vittoria della vita sulla morte. Dalla morte di una pianta ne nasce una nuova.
Nel tradurre la frase latina, prima citata, un avvocato materano, appassionato latinista, E. Fragrasso, tenendo presente la tecnica agricola detta la “bulatura”, ha giustamente tradotto: “Colei che ha avuto la vita dalla Sua morte”. Per cui la traduzione letterale suona così: “Ricordati, Signore, della tua serva, che ha avuto vita dalla tua morte”.
In questa nostra chiesetta rupestre troviamo scritto il messaggio profondo della Pasqua. Gesù Cristo attraverso la sua morte e risurrezione ha ridato a noi la vita. La morte non ha nessun potere su di lui.
I nostri contadini questo rito lo celebravano sempre come un segno pasquale. La morte di una pianta non rappresentava la fine della vita bensì l’inizio di una vita nuova. Quella vita che abbiamo ricevuto nel Battesimo, diventati figli di Dio, per arrivare ad ottenere la vita eterna esattamente il giorno della morte del nostro corpo.
E nel prefazio, quando celebriamo le esequie, diciamo: “Ai tuoi figli, Signore, la vita non è tolta ma trasformata”.
Se Pasqua significa “passaggio” dalla schiavitù alla liberazione, dalla morte alla vita, possiamo senz’altro dire che a ridosso della Gravina continua a risuonare l’annuncio della vittoria della vita sulla morte. Gesù, il crocifisso, colui che è stato posto e sigillato in una tomba, è vivo, per sempre.
Da qui l’interrogativo dell’Angelo: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? E’ risorto!”
La scena che l’evangelista ci presenta ci dice che Maria Maddalena quando esce di casa per andare al sepolcro era ancora buio. E’ il buio della morte, che alberga nel cuore della Maddalena fortemente addolorata. E’ il buio che ci avvolge ogni qual volta ci sentiamo traditi dalla vita e cadiamo nello sconforto. La tentazione è forte: chiudersi nel proprio io, nel proprio dolore sfuggendo ogni contatto umano.
Ma per Maria Maddalena c’è qualcosa in più degli altri discepoli: è fortemente attratta dall’amore divino che in Gesù si era manifestato liberandola da una morte più terribile, quella spirituale, sa che non può rimanere chiusa nella rassegnazione che tutto improvvisamente sia finito.
La forza dell’amore la spinge ad uscire e cercare l’Amore, Gesù. Il buio della vita va affrontato con decisione e determinazione. Ed ecco il passaggio dalla notte al giorno: la pietra che aveva sigillato la tomba di Gesù è rotolata, il sepolcro è aperto e da esso esce la luce della vittoria della vita sulla morte, del profumo intenso di primavera e non dell’odore di un corpo in decomposizione.
Il seme, ai piedi dell’albero morto, si apre e da esso esce la nuova pianta che rigenera l’esistenza e fa respirare l’intero creato. Questa vita che noi contempliamo quotidianamente.
Il sepolcro è vuoto, il corpo senza vita e straziato del Maestro non c’è. Maria Maddalena, così come le altre donne, ha bisogno di capire fino in fondo. Corre verso i discepoli. Da questo momento è tutta una corsa. Anche Pietro e Giovanni si mettono a correre. La paura di rimanere chiusi tra le quattro mura di casa viene vinta dall’annuncio che il corpo del Maestro non c’è più.
Anche i discepoli hanno bisogno di vedere con i loro occhi e toccare con le loro mani. L’annuncio che Cristo è vivo corre da una parte all’altra della terra, raggiunge ogni uomo sfiduciato, disperato, senza più voglia di vivere.
A pensarci bene gli evangelisti quando raccontano il momento della risurrezione non fanno altro che descrivere la nostra storia quotidiana: ogni mattina ci svegliamo, ci alziamo, iniziamo il nostro cammino. Maria Maddalena, le altre donne, i discepoli, si svegliano, si alzano, si mettono a camminare e poi a correre. E’ la risurrezione quotidiana. Leggere la nostra vita in questi termini significa contemplare ogni giorno la Pasqua, vivere la Pasqua, annunciare la Pasqua.
Direbbe Von Balthasar, grande teologo: “Pasqua è qui, adesso. Ogni giorno, quel giorno. Perché la forza della Risurrezione non riposa finchè non abbia raggiunto l’ultimo ramo della creazione, e non abbia rovesciato la pietra dell’ultima tomba”.
Questa è la Pasqua del Signore! Questa è la nostra Pasqua!
Si avverte l’urgenza di ripartire con forza, coraggio, determinazione dopo il silenzio del sabato che ha segnato le nostre comunità e le nostre chiese. Ma il bisogno è ancor più reale perchè, come cristiani che celebrano la Pasqua, siamo chiamati a piantare la speranza e aiutarla a crescere, così come facevano i nostri nonni, i nostri contadini.
L’amore per la nostra gente, per la nostra terra, amore che nasce dall’incontro con il Cristo risorto, ci deve indurre ad operare ed agire affinchè la nostra città, il nostro territorio risorga ad una umanità nuova. I rapporti siano rinsaldati, i progetti siano realizzati, la crescita sia reale spiritualmente, culturalmente, economicamente.
Non c’è reale risurrezione se si punta solo alla crescita economica. Ne abbiamo visto e ne stiamo sperimentando ormai da anni il fallimento. L’economia è importante se aiuta l’uomo a crescere spiritualmente e culturalmente ma se questa le affossa allora si ritorna nella tomba.
Siamo chiamati a promuovere, con senso di responsabilità, quel bene comune che ci permetta non solo di essere sotto i riflettori a livello mondiale ma di crescere insieme partendo dalla forte esperienza dell’amore che dovrebbe animare ogni cristiano.
Direbbe Benedetto XVI: “L’amore è più forte dell’odio, ha vinto e dobbiamo associarci a questa vittoria dell’amore. Dobbiamo quindi ripartire da Cristo e lavorare in comunione con Lui per un mondo fondato sulla pace, sulla giustizia e sull’amore”.
Come cristiani non dobbiamo fermarci al venerdì santo.Il venerdì santo ci serve per riflettere, meditare e scegliere l’amore per la vita e non per la morte. In una parola: Risurrezione! E la risurrezione è la domenica, il giorno del Signore, la vittoria di Cristo che ha distrutto la morte.
La solenne veglia pasquale che abbiamo celebrato questa notte, nella sua ricca simbologia, ci ha aiutati a cogliere questo passaggio di vittoria dal buio alla luce:“Nel buio della notte viene acceso dal fuoco nuovo il cero pasquale, simbolo di Cristo che risorge glorioso. Cristo luce dell’umanità disperde le tenebre del cuore e dello spirito ed illumina ogni uomo che viene nel mondo.
Accanto al cero pasquale risuona nella Chiesa il grande annuncio pasquale: Cristo è veramente risorto, la morte non ha più alcun potere su di Lui. Con la sua morte Egli ha sconfitto il male per sempre ed ha fatto dono a tutti gli uomini della vita stessa di Dio” (Benedetto XVI).
Carissimi, ritorniamo tutti a fare come i nostri padri contadini che nella loro saggezza non si sono mai stancati di seminare speranza e raccogliere, non senza sacrificio e sudore, il frutto del loro lavoro per il sostentamento delle famiglie.
Anche noi vogliamo essere come contadini che amano la terra, la rispettano, la custodiscono, se ne prendono cura perché dia frutto a suo tempo.
Abbiamo sentito S. Paolo, nella seconda lettura, dire: “Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!”
Sta ad ognuno di noi mettere il seme della risurrezione ai piedi di ogni situazione di vita morta. Sta ad ognuno di noi, che ha fatto e sta facendo esperienza della risurrezione di Cristo nella sua vita, correre ed annunciare che la luce della vita non può rimanere sigillata a lungo in una tomba.
Come ho già detto questa notte, auguro a tutti, fratelli e sorelle e telespettatori, di uscire dalle tante condizioni di morte e di tombe nelle quali i fatti della vita ci hanno riposto e, incontrando il Risorto, Gesù Cristo, possiate, insieme, tornare a camminare, fiduciosi di poter contribuire a costruire un’umanità nuova, rivestita di divinità. La Chiesa di Gesù Cristo è quella dei risorti. Vivendo, impegnati, il nostro presente, saremo capaci di guardare, anche noi, le cose di lassù.
Santa Pasqua a tutti.
Vi benedico.
† Don Pino, Arcivescovo
Evidentemente non vi rendete conto chi è un arcivescovo. Quando la smetteremo di chiamarlo don Pino? Anche se lo chiede Lui bisogna chiamarlo S.E. Arcivescovo Antonio Giuseppe Caiazzo. Siete proprio lontano dalla chiesa cattolica.