L’Associazione culturale Iniziativa Popolare di Matera ha inviato alla nostra redazione il suo “manifesto” per il rilancio del nostro Paese partendo dal Sud. Di seguito la nota integrale.
L’ITALIA RIPARTA DAL SUD
Viviamo la crisi di un Paese che non riesce a recuperare una unità di destino e che non comprende che la centralità del Sud, oggi più che mai, si pone come “la” condizione strutturale per affermare la concezione unitaria del Paese nell’orizzonte di un’Europa a trazione mediterranea.
Il Sud, al di là delle procedure pattizie, non è stato finora assunto, nella “nostra” narrazione, come “il punto di vista” da cui ripartire per ridare all’Italia quella comunità di destino che è stata il sogno delle generazioni che si sono avvicendate nell’ultimo secolo.
Il Lingotto ha rappresentato il punto di ripartenza di una visione “maggioritaria”, costruita su un’organica visione del futuro del Paese e capace di parlare all’intera società italiana. La visione maggioritaria, al di là delle frantumazioni che il proporzionalismo determinerà nella composizione politica del Paese, è l’unica che possa riconsegnare al cosìdetto campo del centrosinistra una prospettiva utile alla società italiana.
E’ una battaglia che va vinta soprattutto sul terreno di quella debolezza storica (e politica) che ha consentito che il Mezzogiorno divenisse il luogo per predicazioni lazzaroniste, per grillismi simbiotici con il potere, per l’eterno costume trasformistico.
Siamo di fronte ad una “nuova” questione meridionale?
Soffriamo l’ostilità che viene dai vari “campi” dell’antagonismo sociale, politica e penale viene verso l’innovazione, l’ industrialismo e l’approvvigionamento energetico. Basta osservare quello che avviene sotto i nostri occhi. La “rivolta” che si esprime attraverso un certo sanfedismo napoletano, il “regionalismo estremo” in nome dei territori contro il “Territorio” come humus della statualità e dell’economia generale e il “trivellismo etico” (un espediente che copre negazionismi che nulla hanno a che fare con la vera materia del contendere) sono la spia di uno spirito oppositivo che insegue ormai un modello alternativo rispetto ai termini canonici nei quali si è storicamente espressa la questione meridionale: nel segno della “riforma” e della “modernizzazione” del sistema produttivo e sociale. Ha preso così forma un “meridionalismo ribellistico” ispirato da versioni estreme dell’ecologismo, del giustizialismo, del giacobinismo istituzionale che hanno radici nel costume e nell’esperienza storica di un sudismo cresciuto sull’intreccio di disperazione, luddismo e rivendicazione.
E’ tempo di chiederci cosa c’è di vero in un’ esplosione così forte dei processi sociali e delle emozioni popolari cui assistiamo, nel rifiuto della modernità e nella diffusione di un nichilismo di massa che starebbero alimentando un nuovo e dissolvente pensiero negativo.
Il “nuovo” meridionalismo, deve invece sapersi riconoscere in un “Pensiero del Sud per l’Italia e per l’Europa” in grado di fare i conti con il principio di realtà e misurarsi con gli ingredienti progettuali, etico politici e civili che possono offrirgli un senso e un orizzonte.
Il tema non riguarda più solo le èlites meridionali ma quelle del Paese. Riguarda l’idea che l’Italia ha di se stessa, della sua reale consistenza unitaria e del suo effettivo potenziale. Tutto ciò ha a che fare anche con l’idea che il PD ha del suo ruolo, in una transizione nella quale non bastano più le risorse del “volontarismo epico”e dell’improvvisazione
La grande alleanza a cui pensiamo non chiama in causa solo le energie della politica, pur se essa ha il compito di portare a frutto le ricchezze del Paese, ma quelle della società civile (della ricerca, della cultura, dell’università) in un movimento trasversale che deve saper trasferire la grande domanda di sviluppo in un’offerta e in un modello per il quale valga la pena di lottare.
Una Costituente per l’Italia che vuole cambiare, valorizzando i suoi tanti punti di forza, non potrebbe che partire dal Sud e dal suo disperato bisogno di credere che le risposte possono venire da una inedita solidarietà istituzionale, da una soggettività consapevole e strategica e da un coraggio in grado di innovare. Poiché “innovazione”, ancora da declinare coerentemente, sarà ancor più, nel tempo che incalza, il nome della “nuova questione meridionale”.
RIPENSARE IL BILANCIO DELLO STATO
Si tratta di ripensare il Bilancio nelle sue essenziali coordinate e di rimodularne i valori in funzione di un obbiettivo centrale nella vita italiana.
La “condizione meridionale” va posta al centro di una profonda ridefinizione e gestione delle risorse (pubbliche e private che a vario titolo si rendono disponibili) dentro una strategia che assuma il Sud a soggetto unitario, lo doti di una governance coerente e lo qualifichi nelle sue priorità di politica industriale, ambientale, sociale.
Non solo.
Esso deve divenire l’asse primario della politica estera italiana e obbiettivo cruciale della politica comunitaria: proprio perché capace di operare quale stabilizzatore nella “grande questione politica, sociale e religiosa del Mediterraneo”.
Ciò che manca oggi, è un autentico salto di qualità e di prospettiva. Che nessun pur necessario efficientamento della spesa per le infrastrutture potrebbe da solo colmare. Non è perciò solo problema di accelerazione delle procedure, ma di radicale cambio di punti di vista: “partire” dal Sud, non arrivarci per disperazione o per indulgenza. E assumere il Sud come obbiettivo gratificante per l’intero Paese: per il Nord che non potrebbe che giovarsene, come se ne giovò con la prima rivoluzione industriale e sociale, ma anche per l’Europa che non dovrebbe difendersi “dal Sud” e dalle sue turbolenze ma investire, con coraggio e intelligenza sul Sud per trasformare i problemi in nuove grandi opportunità: questione di coraggio e di intelligenza politica.
IL MASTERPLAN E UN NUOVO REGIONALISMO
Il masterplan ha rappresentato un significativo esercizio di contabilità congiunturale, di ridefinizione di priorità da collocare dentro una scala più razionale e di recupero di risorse da rimettere in tempi storici nel flusso degli impieghi. Esso se è chiamato a costituire una modalità virtuosa per accelerare la circolazione degli investimenti e per accorciare distanze ed assenze secolari, non può essere certo “la risposta” al tema storico dell’unità italiana tuttora da realizzare. E ciò perché dietro il Grande Piano devono poter operare quella religione civile e quella tensione intellettuale e politica che alimentarono il ciclo straordinario di un Mezzogiorno, concepito come consorzio vitale di energie morali, tecniche e ideali e come soggetto proiettato verso il compimento dell’unità italiana nella cornice europea ed euromediterranea. Un consorzio che pretenderebbe oggi una radicale revisione critica del modo con cui le Regioni si rapportano fra esse e con lo Stato, in una vischiosità di relazioni non si sa se concorrenti o congiuranti o cooperanti. Tutto ciò esige che si cancellino l’opinione e la pratica di un Sud considerato “emendamento aggiuntivo al Bilancio dello Stato”, ma che si lavori per un “nuovo regionalismo” che riporti la società italiana, tutta intera, allo Stato.
Va perciò scongiurata la tentazione di considerare il Mezzogiorno come una delle appendici statistiche dei progetti di investimenti. Esso deve rappresentare invece l’obiettivo su cui vanno riorientate sia la destinazione e la gestione delle risorse che la verifica degli effetti della spesa.
Tutto ciò pretende che nel Paese riprenda quota l’idea che l’Istituto Regionale possa rappresentare una delle sedi nelle quali sia fatto lievitare il valore dell’interesse generale come sintesi dei tanti interessi territoriali.
Le comunità vanno “pensate” come luoghi di formazione dello spirito pubblico, non come aree di resistenza verso una malintesa e barocca pretesa dell’interesse generale. Si tratta di un processo ricostruttivo che le deve attivamente coinvolgere, valorizzando tutti gli spazi di libertà esistenti.
IL PARTITO: LA LEADERSHIP DIFFUSA
Il Partito, come strumento moderno di costruzione del pensiero critico e delle responsabilità morali e politiche, va urgentemente ripensate come fonte di grandi regole generali di civiltà e di convivenza. Come strumento permanente di discussione e di verifica democratica ma anche come soggetto di decisioni rapide, adeguate alle urgenze della vita economica e civile. Come luogo di collegamento costante con il cuore pulsante della società e di elaborazione del discorso pubblico.
Confronto e partecipazione devono continuare a costituire, insieme con il più trasparente e rapido approdo alle decisioni, la ragione di vita dell’associazionismo politico: aperto alle tecnologie comunicative e consultive più moderne ma soggette al controllo democratico più penetrante. Vi è necessità di procedure effettivamente partecipate. L e quali tuttavia non possono approdare a decisioni che siano delegabili a strutture anonime e ad algoritmi sottratti alla comprensione e alla verifica della libera opinione popolare.
Inoltre il Partito moderno, una volta riscattato dalle sue storiche insufficienze, non potrebbe essere un sodalizio a guida monocratica: il Partito Personale del quale si è occupata la sociologia più avvertita.
Nulla esclude naturalmente che il Partito non debba raccogliersi intorno al carisma di chi è chiamato a guidarlo attraverso le procedure della democrazia sia rappresentativa che diretta. Ma a patto che esso si riconosca in chiare regole di condivisione e di elaborazione che rimandino alla ricchezza di quella leadership diffusa che è stata la modalità di funzionamento dei grandi partiti popolari, garanzia di pluralismo e di reale espressione del vasto campo di valori e di istanze che si manifestano nella società civile. Ciò al fine di evitare il dramma di una politica che priva di anima e di partecipazione, appare scarnificata, ridotta all’osso, puro riflesso della condizione esistenziale. Mentre la società si sta disintegrando nei suoi legami nazionali e generazionali e si spacca secondo il destino sociale dei luoghi e delle classi di età.
DUE GRANDI OBIETTIVI: UN’AGENDA PER IL PAESE; LA COSTRUZIONE DEL PARTITO NUOVO
1) GIOVANI E DONNE: No alla promessa del reddito senza lavoro; una nuova idea dell’Italia. Puntare sulla formazione, sul merito e sulla qualità.
2) LAVORO: oltre il job act, verso una politica di inclusione e di rilancio dello sviluppo. Varo delle norme sulla competitività. Riduzione del debito pubblico. Rigorosa riconsiderazione della funzione svolta da Enti e municipalizzate nell’ambito di una riorganizzazione complessiva del sistema dei servizi pubblici.
3) SICUREZZA, TUTELA AMBIENTALE E SVILUPPO: Sono i tre pilastri di una linea che partendo dai territori e dalle comunità ricostruisca un nesso di fiducia fra società e Stato, fra regole e opportunità. Tre valori da connettere e non da separare, da declinare in stretta correlazione e sotto il diretto controllo della opinione democratica. Ciò al fine di scongiurare il prevalere di demagogie ed estremismi contrari alla concezione dello sviluppo integrale.
VERSO IL PARTITO NUOVO
Un Partito quindi radicalmente ripensato nelle sue funzioni generali e nelle sue articolazioni, che si ponga come un nuovo grande agente culturale e sociale, costituisce la vera riforma dalla quale può ripartire un’idea alta e condivisa della politica contro il nichilismo, il negazionismo e il populismo demagogico che sta devastando la coscienza civile del Paese.
Su questi presupposti sarà possibile costruire una politica delle alleanze in grado di rilanciare un progetto di rinascita per l’Italia.
Associazione culturale Iniziativa Popolare