Si è svolta a Matera presso la sala consiliare della provincia la cerimonia di premiazione del terzo concorso sulla civiltà contadina ideato dalla professoressa Margherita Lopergolo. Tra i vincitori gli istituti comprensivi Montescaglioso, Marconia, Metaponto, Grassano, Irsina, Policoro e Montalbano. Premiati Nunzia Dimarsico, Margherita Centonze, Carmelo Caldone, Geltrude Potenza, Carlo Gaudiano, Chiara Canterino, Francesca Gagliardi, Giuseppe Surico, Maria Lapadula e Nunzio Festa.
I vincitori sono stati premiati da Anna Maria Amenta, dai sindaci di Miglionico e Montalbano e dal presidente di giuria, Lino Patruno.
Patruno, ex direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, ha presentato ai giovani il suo libro ‘Il meglio Sud’: la mitica civiltà contadina che ora non esiste più come non esistono più i contadini. Anzi non soltanto non esiste più, ma è sembrata a lungo una specie di vergogna, qualcosa da nascondere. Il contadino simbolo di conservazione se non di ostacolo al progresso. Retrogrado senza appello. Addirittura zotico e rozzo, insomma diciamocelo: un cafone. Retaggio del tempo in cui è stato spazzato via. Retaggio del tempo in cui siamo stati spazzati via tutti, ché eravamo tutti contadini non sapendo quanto fosse prezioso esserlo.
E’ stata la seconda rivoluzione industriale del dopoguerra a mettere fuori dalla storia il contadino e il suo modo di vivere. Il tempo della corsa al consumismo drogato dalla pubblicità e dalla televisione. Così il contadino è stato travolto dal boom economico e dal miraggio del benessere che ha sradicato lui e non solo lui dalle sue abitudini e lo ha portato spaesato in città. In Puglia hanno chiamato metal-mezzadri gli ex contadini reclutati nella grande acciaieria di Taranto ma che finito il lavoro fra le ciminiere passavano a curare il loro residuo pezzetto di terra.
E’ stata l’ennesima emigrazione del contadino del Sud, che già per sopravvivere aveva dovuto andar via al Nord con la sua valigia di cartone. La sua discesa in città ha isolato la campagna e congestionato la città. Così il contadino ha lasciato le abitudini nelle quali era piantato e ha affrontato quelle nuove nelle quali si è spiantato. E’ stato il tramonto di quei sani ma tremendi costumi che avevano sorretto in equilibrio una civiltà per millenni. Lo abbiamo quasi costretto a nascondersi come un clandestino in un mondo che lui non è mai riuscito a capire tanto quanto quel mondo non capiva lui. Abbiamo considerato anticaglie valori come la famiglia, l’onestà, il sudore, il dovere ma anche presunti valori come il patriarcato e la sopraffazione personale.
Così il contadino è stato ridotto al folklore di chi vende le uova fresche e le verdure genuine ai margini della città. E nessuno voleva fare più il contadino. E così è svanito il tempo del pane e delle lucciole del quale parlava Pasolini. Quando si sentiva ancora la campana di mezzogiorno. Ma così passa trionfale il carro della storia che nessuna nostalgia e nessun rimpianto può fermare. Bisognava solo non esserne schiacciati. Doveva essere una mutazione non una cancellazione.
Ma se la Questione meridionale resta ancora in buona parte Questione meridionale, la civiltà contadina non è esente da colpe. Una sorta di condanna della latitudine. Nei paesi più a Nord l’abitudine a vivere in campagna è stata antica, una famiglia sapeva stare sola nel cascinale al centro della terra. Ma nel nostro Sud di Basilicata e Puglia, soltanto in Valle d’Itria i contadini hanno saputo o potuto insediarsi, soprattutto per curare la vigna. Altrove li allontanavano la malaria, la paura dei briganti, l’ignoranza. Così non si sono però mai impossessati di quella terra. Impossessati economicamente fino a impiantare piccole fabbriche di trasformazione dei prodotti.
Ma “è stato scritto che gli uomini non possono vivere riposatamente, se non laddove hanno dominato ciò che li circonda”. Finché non lo hanno fatto, è stata la miseria più nera. Il lavoro “da sole a sole”, dall’alba al tramonto, e la schiena spezzata. Tutti scalzi nella Basilicata e nella Puglia della civiltà contadina. E schiavi del padrone. Con una sottomissione e una paura non cancellati neanche dal sindacato. Neanche da quel mitico Giuseppe Di Vittorio, uno di qui che pur dette loro dignità. Anche per questo il contadino è rimasto contadino dentro anche quando non lo è stato più. Con la saggezza implacabile dei vecchi che consideravano un lusso o un vizio tutto ciò che non fosse zolla o zappa. Compreso una penna nelle mani dei loro figli. Finché il tempo non ha fatto giustizia di una civiltà che deragliava in inciviltà.
E’ anche questa la buona novella di questo concorso, come i partecipanti hanno testimoniato. La cultura diffusa sulla e della terra. Secondo il rapporto Svimez sull’agricoltura nel Mezzogiorno, nel 2015-2016 nel settore sono cresciuti occupazione, valore aggiunto, esportazioni e investimenti. In particolare è aumentata l’occupazione giovanile (un più 12,9 per cento, superiore alla media nazionale). Noi che sappiamo quanti giovani continuano a lasciare il Sud. Ed è aumentata addirittura l’imprenditoria giovanile, con quasi 20mila imprese in più al Sud nei primi mesi del 2016. E se per la prima volta dopo molti anni il Pil (la ricchezza prodotta) è cresciuto al Sud più che nel resto del Paese, lo si deve anche all’agricoltura. E con forme di innovazione anche tecnologiche spesso raffinate, come testimonio nel mio libro “Il meglio Sud” che mi permetto di citare.
Insomma il nuovo Mezzogiorno è anche agricolo. Il futuro è la nostra terra. Con i suoi frutti ricercati come tesori. Fino a poco fa, per scherzare, si diceva a certi giovani che le loro braccia erano braccia sottratte all’agricoltura, per dire che dovevano andare a zappare non sapendo far altro. Ora si potrebbe dire che le loro braccia sono braccia per fortuna donate all’agricoltura. Una sorta di rivincita della civiltà contadina nell’era dei robot”.
La fotogallery della cerimonia di premiazione