Carlo Gaudiano ha inviato alla nostra redazione alcune osservazioni e riflessioni in merito al concetto e la pratica della “cultura” scritte subito dopo che la nostra città era entrata tra le sei città che si sarebbero contese il titolo di capitale dea cultura 2019.
Credo, alla luce degli eventi annessi e connessi, che la nostra comunità arriverà impreparata al 2019, subirà e rimarranno solo gli aspetti negativi che di giorno in giorno si stanno sommando
Matera è riuscita ad entrare nella lista delle sei città italiane che si devono contendere la possibilità di essere per un anno, il 2019, la capitale Europea della cultura in compagnia di una città Bulgara. Non era facile raggiungere tale traguardo considerando che il bagaglio storico e culturale delle ventuno città che si erano proposte era di altissimo valore, vedi ad esempio il patrimonio storico – culturale di Pisa o di Palermo senza tralasciare Venezia e l’Aquila, quindi complimenti e onore a chi ha concepito l’idea e ha lavorato per poterla vedere realizzata, in particolare a chi ha lavorato senza alcuna pretesa economica, con il solo obiettivo di valorizzare la sua città, mi riferisco all’avv. Raffaello De Ruggieri, persona, non da oggi, impegnata con passione allo sviluppo omnicomprensivo della nostra città. Ma accanto al fiorire di ampio e diffuso consenso intorno all’iniziativa e al risultato raggiunto, occorre una seria riflessione iniziando dal concetto di cultura, termine, nell’eccezione comune, quanto mai vago, generico, quindi facilmente estensibile e abusato, nel senso che lo possiamo paragonare ad un grande insieme nel quale si delineano una infinità di sottoinsiemi che in alcune circostanze possono interagire tra di loro. Senza sottacere che gli stessi sottoinsiemi possono contenere ulteriori sottoinsiemi: ad esempio l’arte, ad esempio la morale e la legalità fanno parte della grande cultura che insieme ad altre caratteristiche culturali definisce il passato, il presente e concorrerà a delineare il futuro di un continente, di una Nazione, di un territorio, fino a quello di una piccola comunità. Tra l’altro fino alla seconda metà del XIX la cultura era fortemente legata al concetto umanistico e quindi confusa con il possesso della conoscenza che poteva derivare dalla scrittura di libri nei vari campi della scienza e letteratura, dalla lettura di libri e trattati. Fu lo studioso di antropologia Tylor che nel 1871 per primo definì la cultura o civiltà di un popolo come “quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società”. Da allora, essendo la cultura l’evento materiale e immateriale che più di ogni altro tende a modificarsi e di conseguenza a modificare, nel corso degli anni, i punti di vista del pensare e dell’agire della comunità, sono state enunciate almeno 164 definizioni tanto che ha permesso di dire a Sidney Mintz nel 1982 che la cultura sfugge ad una definizione o della stessa ne potremmo avere a centinaia. Diversi hanno tentato con la cultura di stratificare la società(cultura egemonica e subalterna secondo Gramsci) o il periodo storico(ad esempio cultura medioevale) o peggio hanno usato la cultura per discriminare persone o interi popoli, passando quindi dalla cultura vista dall’antropologo alla stessa vista dall’angolatura del sociologo. Infine la cultura, nel suo insieme, ricerca direttamente o indirettamente il fine per cui l’uomo si è evoluto rispetto alle altre forme animate e come l’evoluzione intesa come raggiungimento della civiltà, tende alla ricerca del bene comune, sconfinando così nell’etica e nella filosofia. In merito al processo dell’evoluzione ultimamente antropologi americani e neozelandesi hanno concluso che “la capacità di modificare il proprio repertorio di comportamenti per contagio sociale, arricchendolo e trasmettendolo di generazione in generazione, sarebbe emersa all’epoca dell’ultimo antenato comune fra uomini e scimpanzé”. Il risultato arriva da una ricerca basata sul confronto tra i repertori culturali di popolazioni moderne delle due specie. Biologicamente siamo tutti uguali(rigetto del concetto di razza), la cultura ci differenzia. Fino a qualche decennio addietro si assumeva il principio che la biologia non interferisse con la cultura, essendo la stessa tutto quello che si acquisisce e diventa esperienza cioè il modo di relazionarsi con i propri simili dalla nascita fino agli ultimi istanti di vita e oltre per chi sopravvive(cultura della morte e poi del defunto). In parole povere l’eredità trasmessa con il DNA non ha niente a che vedere con la civiltà, concetto chiave della scienza antropologica del nord America il cui capofila è stato F. Boas. Recentemente è stato osservato che l’espressione dei geni può essere modificata senza alterare la sequenza del DNA, fenomeno chiamato epigenetica; da tale fenomeno possono generarsi nuovi fenotipi: queste modifiche del DNA, senza modificare la sua sequenza, cioè l’epigenetica, possono sono influenzate dall’ambiente. Inoltre, le modifiche sottese dall’epigenetica sono trasmesse alla prole, in definitiva l’ereditarietà biologica può influenzare il comportamento della comunità e il comportamento può modificare la biologia. Dopo questo lungo preambolo in cui ho cercato di sintetizzare a grandi linee il “coacervo” che gira intorno al concetto di cultura e prima di addentrarci nel vero motivo del mio scritto ritorno ad una delle tante definizione di cultura, quella che più delle altre, a mio parere, può soddisfare: “ civiltà è operare, da parte della comunità, una scelta di un qualcosa che viene considerato un “bene comune” e che pertanto va apprezzato, acquisito conservato, trasmesso alle future generazioni, diventando così, un valore e come tale può diventare fonte di esperienza per altre comunità”. Le credenziali che hanno posto Matera e la sua comunità all’attenzione di un vasto pubblico nel tempo e nello spazio sono i “sassi” e il circostante territorio dove sono ubicate le chiese rupestri. Si è voluto artificialmente ed erroneamente accostare la vita che nei secoli ha cadenzato l’esistenza degli abitanti dei “sassi” e del loro circondario ad esempio della civiltà contadina. L’architettura in negativo dei “sassi” non è stata realizzata con lo spirito di creare bellezza per se e per tramandarla ai posteri, come ad esempio può essere “Piazza dei Miracoli” a Pisa. I tuguri hanno rappresentato per la stragrande maggioranza di chi vi ha vissuto l’affossamento della propria dignità fino alla costatazione di chi da viaggiatore o da fuggitivo residente “precipitato” a Matera anche controvoglia, vedi il Pascoli, ha vissuto la triste realtà tanto da dire che i cavernicoli “vivono in simbiosi con gli animali domestici, in un rifugio primordiale”, di qui l’abusato etichettatura di cavernicoli, appellativo usato da vari “intellettuali” che ebbero l’occasione di visitare i “sassi”. Pertanto, riprendendo il concetto di civiltà sarebbe improprio parlare di civiltà contadina, ma di esempio di degrado della civiltà. Come più volte ribadito il concetto positivistico di civiltà è tutto quello che viene acquisito e trasmesso alle future generazioni. Cosa potevano trasmettere i nostri antenati lasciati alla mera sopravvivenza che come gli animali ogni volta che sorgeva il sole dovevano “cacciare” per rifocillarsi almeno per un altro giorno in attesa del trapasso. Al massimo potevano trasmettere quello che oggi si è perso cioè la serietà della parola data. Mentre buona parte dei nostri avi erano costretti dagli eventi al degrado, in tempi recenti senza alcuna costrizione chi è chiamato a regolare con leggi o deliberazioni la vita della comunità, insieme a chi amministra hanno determinato, con il loro esempio di vita e di amministrazione, la regressione nel comportamento cooperativo, altruistico, della società, tanto da rendere la nostra comunità come un insieme di soggetti dediti “all’anarchismo individuale”, fino all’estremo di non saper più controllare i meccanismi dell’aggressività, controllo che ci ha permesso di differenziarci e di evolvere diversamente dalle scimmie antropomorfe. Cultura deriva dal latino coltivare, cioè prendersi cura assiduamente, oggi la comunità per dirsi civile dovrebbe coltivare l’ambiente, il bene comune, la legalità, la meritocrazia, l’onestà intellettuale, il sapore della bellezza interiore e di tutto quello che ci circonda, “coltivazioni” che nel tempo si sono perse nella nostra nazione e ancora di più nel nostro territorio. Non dobbiamo dimenticare che viviamo nella regione dove la sociologia ha coniato il termine di familismo amorale che è l’esatto opposto di civiltà. Bisognerebbe riconquistare il primato della civiltà che distinse il nostro territorio e la nostra nazione in varie epoche, vedi la Magna Grecia, la repubblica e l’impero romano, le città stato medievali, il rinascimento, il barocco, nonostante che in quest’ultimo si ebbe alcune credenze e l’esplosione dell’inquisizione. Quindi se effettivamente Matera o altra città Italiana volesse degnamente rappresentare l’Europa nel campo della cultura dovrebbe impegnarsi e dare dimostrazione nei successivi adempimenti davanti alla commissione esaminatrice di voler tramandare al prossimo tutto quello che si è perso, per cui l’Italia viene denigrata, nella conservazione dell’ambiente, dei manufatti storici, nella cultura della meritocrazia, nella civiltà di essere comunità cioè di operare una scelta di un qualcosa che viene considerato un “bene” e che pertanto va apprezzato, acquisito conservato, trasmesso diventando così appunto un valore e di contro far morire tutto quanto ci ha ridotto ad essere popolo bue, cioè che non interessa, quindi non è un valore. Il Brand Italia, cioè la capacità di ragionamento strategico nel campo della produzione culturale e creativa, nel 2013 è calato di cinque punti; l’Italia è passata dal 10° al 15° posto nella classifica internazionale(fonte il sole 24 ore del 22 novembre 2013). Rimettersi nel cammino della “civiltà” significai formare il tessuto connettivo di una società per fornire, a tutti i suoi componenti un senso di sicurezza, di appartenenza, di avere pari opportunità e dignità di genere e per il singolo, di prevedibilità dei comportamenti e ciò di cui la società ha bisogno per sopravvivere, operando sia a livello individuale che collettivo. Ripristinare la cultura della legalità, cioè dell’osservanza delle regole che la società si è data e si darà. Ripristinare la morale e l’etica del bene comune. In definitiva, permettere al cittadino di Berlino di sentirsi europeo anche in Italia a Matera. “Una città diventa capitale europea della cultura se il suo programma è fatto di contenuti, di trasformazioni, di processi …”. In sostanza “Fare della candidatura una occasione di cambiamento, qualunque sia l’esito” e, nell’ipotesi si arrivi al all’anelato obiettivo, gli anni che ci separano al 2019 e quelli successivi siano fecondi per la comunità tutta, con particolare attenzione ai giovani e meno abbienti, e non diventi ulteriore fonte di arricchimento in danaro per pochi, quei pochi che insieme ai citati hanno contribuito al degrado totale del nostro territorio e delle nostre coscienze, quei pochi che già dietro le quinte avranno brindato al risultato raggiunto, pronti a spartirsi tutto quello che potrebbe diventare arricchimento materiale e non già spirituale.