Un “Codice d’emergenza” da attivare in caso di calamità ed eventi catastrofici per bypassare le lente e farraginose procedure amministrative previste. L’istituzione di un coordinamento permanente tra Regione, Anci, Autorità di Bacino, Consorzi di Bonifica, organizzazioni professionali agricole per la definizione del Contratto di Area Vasta di difesa-idrogeologica; la realizzazione di una rete di “aziende agricole sentinella” in collaborazione con la Protezione Civile per monitorare costantemente i rischi da calamità naturali. Queste le proposte che la Cia-Agricoltori Italiani ha lanciatoda tempo e che sono ancor più è attuali in questi giorni di maltempo accentuato. Contro le calamità naturali – sostiene la Cia – non si può fare molto, di più sicuramente in campo di previsione, ma mitigare i danni specie alle aziende agricole e intervenire rapidamente sono obiettivi alla portata. Terremoti, dissesto idrogeologico, cambiamenticlimatici e consumo di suolo sono fattori che minano la crescita dell’agricoltura e impediscono al Paese di ripartire. E’pertanto necessario rimodulale gli equilibri con il territorio. Iniziando dalle aree interne checomprendono oltre 6.900 Comuni italiani di cui il 73% agricole,, sono caratterizzate da una fragilità intrinseca (franosità, dissesto, etc). Ciò soprattutto per non ridursi alla solita richiesta di stato di calamità naturali.
Il consumo di suoloè un altro punto sucuibisogna lavorare duramente per difendere il territorio. In vent’anni la superficie edificata ha “mangiato” oltre 2 milioni di ettari coltivati, cancellando il 16% delle campagne. Impressionanti i ritmi del processo: più di 11 ettari l’ora, quasi 2.000 a settimana, circa 8.000 in un mese. Per avere un’idea della questione la Cia lucana ricorda che la superficie agricola investita in Basilicata è diminuita di 64.611 ettari (da 537.532 ha del 2000 a 472.920 ha del 2010), pari al 12% in meno. Altri dati: poco meno di 80.500 ettari di cereali sono “scomparsi” in Basilicata in un decennio, con l’effetto del quasi dimezzamento delle aziende cerealicole (da 40 mila a 22 mila); stessa sorte per 665 ettari di colture ortive, 523 ettari di patata, 517 di barbabietole da zucchero, mentre i cosiddetti “terreni a riposo” sono aumentati di 12.700 ettari. Ancora, la Basilicata ha perso 3.500 ettari di vigneti, 5.600 ettari di coltivazioni legnose, 1.900 ettari di agrumi, 967 di olivo. Persino gli orti familiari, da sempre simbolo di un’economia agricola di sostentamento, registrano un arretramento di 484 ettari, pari al 32,2% in meno.
Ci sono per la Cia lucana questioni urgenti da affrontare, specie mettendo ordine tra programmi di forestazione e delle Vie Blu, quali: sistemazioni idrauliche, regimazione di fossi e corsi d’acqua minori; rifacimento e ammodernamento delle reti di bonifica; realizzazione, adeguamento e rifacimento briglie ed altre opere di bonifica; realizzazione nuovi impianti idrovori; consolidamenti arginali, stabilizzazioni degli alvei e delle sponde. Si percorra la via della pulizia e dello scavo dei grandi e piccoli canali sui quali non si fa più manutenzione da 30/50 anni. Devono essere puliti gli alvei e dove necessario le sponde dagli alberi e dalla vegetazione che crea ostruzione e pericolo in caso di piena.
La perdita di terreno coltivabile è un duro colpo per l’economia nazionale che, per sopperire al deficit tra domanda e offerta di cibo, è costretta a ricorrere all’import alimentare.
Inoltre non bisogna dimenticare il ruolo strategico che le aziende agricole svolgono
in termini di sicurezza.
L’Italia, con circa mezzo milione di frane attive, è tra i Paesi in Europa più esposti ai pericoli e al
rischio idrogeologico, che coinvolge quasi il 15% della superficie nazionale e l’82% dei Comuni.
Cruciale il ruolo degli agricoltori che rappresentano le “sentinelle” del territoriocapaci, grazie alla coltivazione dei terreni, di stabilizzare e consolidare i versanti, trattenere le sponde dei fiumi. Non ultimo, i danni provocati alpatrimonio paesaggisticoitaliano che, tra turismo rurale e indotto legato all’enogastronomia tipica, “vale” più di 10 miliardi di euro l’anno.
“Si deve porre un freno all’uso dissennato e confuso del suolo agrario -evidenzia Donato Distefano della Cia – determinato soprattutto dalle azioni non programmate delle opere di urbanizzazione, in particolare per centri commerciali e capannoni industriali. Occorre arrestare questo fenomeno con una gestione accorta degli insediamenti, recuperando un’enorme cubatura abitativa, industriale e per servizi da tempo inutilizzata. Nonostante tutto l’agricoltura lucana è bioresistente. Perché è capace di distinguersi, produrre artigianalmente e arrivare sul mercato globale; perché è capace di ridare valore ai prodotti della tradizione adeguandoli ai gusti moderni; perché un’idea di investimento privata può contagiare favorevolmente una piccola collettività; perché l’agricoltore con le sue conoscenze, date dalla convivenza continua con gli elementi della natura, è in grado di prevenire e tamponare con la sua opera quotidiana gli eventi climatici avversi; perché la nostra terra tanto bella quanto fragile, va tutelata innanzitutto con il presidio umano. “La novità principale – continua Distefano, Cia – è che finalmente stiamo passando dal principio teorico della cooperazione inter-istituzionale fra i tanti enti che si occupano di territorio e mondo agricolo a primi momenti di azioni comuni che coinvolgono principalmente gli agricoltori, “primi custodi” del territorio e poi ambientalisti, operatori del turismo, oltre naturalmente ai Comuni. Noi insistiamo: lo strumento principale è rappresentato dai Contratti di fiume, sperimentati positivamente in alcune regioni italiane, tra le quali il Piemonte, l’Umbria, la Lombardia, il Veneto, la Toscana e si configurano come strumenti di programmazione negoziata interrelati a processi di pianificazione strategica per la riqualificazione dei bacini fluviali.
Lug 16