Si è parlato della riapertura del Cova di Viggiano oggi in terza Commissione consiliare (Attività produttive – Territorio – Ambiente) convocata da Vincenzo Robortella. A puntualizzare la situazione l’assessore all’Ambiente ed Energia, Francesco Pietrantuono, accompagnato dal direttore generale del Dipartimento, Carmen Santoro. Audito anche il direttore generale dell’Arpab, Edmondo Iannicelli.
“L’atto di sospensione aveva ragioni ben precise – ha sottolineato Pietrantuono – l’una riguarda il funzionamento con serbatoi con doppio fondo, l’altra la messa in sicurezza alla luce delle imperfezioni riscontrate negli scorsi mesi e, terzo elemento, la ricostruzione dell’evento di contaminazione, laddove si parlava di sversamento da serbatoi diversi. Questi motivi ci hanno portato a deliberare la sospensione delle attività, ma era necessario fondare questo atto su argomentazioni serie e puntuali. Il tavolo ministeriale si è concentrato su due aspetti, verificare lo stato delle condotte e tubature e valutare la messa in sicurezza. Tra gli elementi emersi, bisogna segnalare che, ora, all’interno dell’esame dell’Aia verranno inserite anche le condotte. L’obiettivo è rilasciare e rivedere l’Aia con prescrizioni che siano rigorose ma anche applicabili e parliamo – ha detto Pietrantuono – di analisi che hanno riguardato quasi 22 mila metri di condotte, mentre sulle linee Olio è presente una reportistica per 144 di esse”.
In merito alla questione dei serbatoi l’Assessore ha detto: “Il serbatoio C aveva già il doppiofondo mentre è stato completato quello relativo al serbatoio D. Le attività del Centro Olio ripartono con questi due serbatoi. Per il serbatoio A, invece, serve un’autorizzazione. La Regione Basilicata ha chiesto prescrizioni più stringenti riguardo i serbatoi, visto che il Cova può ripartire solo con serbatoi dotati di doppiofondo. Chiediamo inoltre di monitorare lo stato dei terreni, entro 30 giorni dal riavvio l’operatore dovrà completare lo stoccaggio delle acque oleose. Si rafforza l’attività di controllo su queste linee, comprese le reti interrate, e facendo riferimento anche alla condotta tra il Cova e Taranto. L’attività di manutenzione straordinaria deve essere svolta entro il 2017, con un controllo almeno quadrimestrale, con un gruppo di lavoro costituito appositamente. Il sistema di gestione ambientale comporta un controllo preventivo con standard molto più alti. Mentre, nel contempo, la messa in sicurezza diviene continuativa seguendo linee precise in merito alla reportistica e alla tempistica al fine di garantire la massima efficacia”.
“Ringrazio – ha concluso Pietrantuono – l’Arpab per l’importante e duro lavoro svolto. Ora bisogna far partire il Masterplan. Sulla caratterizzazione serve un atteggiamento collaborativo con Eni, il nostro obiettivo è svolgere un lavoro rigoroso ma che sia veloce, per arrivare il prima possibile alla bonifica del sito”.
Per la dirigente del Dipartimento Ambiente ed Energia, Carmen Santoro, “il gestore deve rispettare tutte le prescrizioni della vecchia Aia e, inoltre, anche le nuove alla luce dell’evento che si è verificato al Cova. L’Aia è tutt’ora vigente ma è necessario che l’Eni soddisfi anche le nuove prescrizioni. Ci sarà un puntuale Piano di monitoraggio e controllo, cui seguirà una conferenza dei servizi”. Per il direttore generale dell’Arpab, Edmondo Iannicelli, “l’Ispra ha assunto un ruolo autonomo di certificazione, dando atto che tutti i controlli e le verifiche sono state svolte congiuntamente con l’Arpab”.
Intervenute, anche, le dirigenti dell’Ufficio Suolo e Rifiuti e dell’Ufficio Sit del Dipartimento di Potenza dell’Arpab, Katarzyma Pilat e Adriana Bianchini, che hanno sottolineato che “i software di manutenzione sono al momento due, abbiamo chiesto che vengano unificati perché non consentono di pianificare interventi congiunti per avere un sistema di gestione in maggiore sicurezza. Il piano di caratterizzazione dovrà consentire di analizzare esaustivamente le caratteristiche delle sostanze chimico-fisiche utilizzate dall’Eni all’interno del sito e a tal fine stiamo procedendo ad un’azione di coordinamento tra i vari laboratori sia di parte che dell’Arpab. A questo seguirà la fase del campionamento utilizzando metodi simili”.
Sono intervenuti i consiglieri Romaniello, che ha chiesto “se il sistema è ancora valido, alla luce della necessità di un aggiornamento su nuove metodiche, se le ispezioni dell’Eni sono state concordate con la Regione e con l’Arpab e se la Regione ritiene che la vecchia Aia sia stata rispettata dall’Eni”.
Per il consigliere Perrino “è importante sapere come viene smaltita l’acqua emunta e quali sono i siti autorizzati per lo smaltimento. Serve una maggiore trasparenza in merito alla quantità di tonnellate sversate e sarebbe necessario conoscere quali serbatoi erano in funzione, alla luce delle dichiarazioni contrastanti fornite dall’Eni negli scorsi mesi, insieme ad un riesame completo dell’Aia”.
Il consigliere Lacorazza, ripercorrendo le varie tappe della vicenda, ha posto domande in merito “all’applicazione del Masterplan dell’Arpab e, in particolare, al bando attrezzature, all’eventuali modifiche al piano triennale, ritenendo che il tema delle tecnologie sia strettamente legato al tema del personale. Ha infine auspicato un maggiore coinvolgimento dei sindaci per un migliore governo dei processi”.
La Commissione ha, al termine del dibattito, deciso di procedere alla convocazione di una seduta dedicata all’approfondimento delle questioni riguardanti il Masterplan e l’intera vicenda che ha interessato il Centro Olio di Viggiano.
Presenti all’audizione, oltre al presidente della Commissione, Vincenzo Robortella (Pd), i consiglieri Giovanni Perrino (M5s), Giannino Romaniello (Gm), Luigi Bradascio (Pp), Vito Giuzio e Piero lacorazza (Pd).
Consigliere regionale M5s Gianni Perrino su “audizione in terza commissione di Pietrantuono, Iannicelli e Santoro su riapertura COVA”. Di seguito la nota integrale.
Mercoledì mattina, in terza commissione consiliare permanente, si è discusso della decisione della Regione di riavviare il COVA. L’assessore Pietrantuono ha illustrato sinteticamente quanto riportato nella delibera n. 733 del 17 luglio scorso, affermando che, a seguito delle ispezioni effettuate a più riprese, con il supporto di ISPRA, si è ritenuto di procedere alla riapertura dell’impianto, in quanto l’ENI avrebbe ottemperato a tutte le prescrizioni contenute nella delibera 322 del 15 aprile 2017 (quella che disponeva la sospensione delle attività per novanta giorni). L’impianto ripartirà ma potrà utilizzare solo i due serbatoi dotati di doppio fondo (C e D), mentre dovrà comunicare la messa in esercizio degli altri due (una volta che saranno anch’essi muniti di doppio fondo) quindici giorni prima che ciò avvenga. Dal dibattito che si è sviluppato è emerso che la quantità di petrolio sversato recuperato (c.d. “surnatante”) si aggira intorno alle 290 tonnellate e che le acque emunte dal sistema di contenimento della contaminazione vengono inviate, mediante autobotti, presso una decina di impianti autorizzati al trattamento delle stesse acque (classificate come rifiuto speciale). Su mia esplicita domanda, Pietrantuono non ha saputo confermate se tra tali impianti figuri anche Tecnoparco. E’ stato, tuttavia, escluso l’utilizzo di un impianto mobile per il trattamento delle acque emunte (l’impianto SIMAM di cui si è di frequente parlato nei giorni scorsi): la motivazione sarebbe la non conformità dell’impianto rispetto alle programmate attività di messa in sicurezza di emergenza (MISE) del COVA. Notizia curiosa emersa nel corso della discussione è quella secondo cui l’Eni ha sempre operato utilizzando, nel ciclo produttivo, due soli serbatoi di stoccaggio: tanto ha affermato la d.ssa Santoro dell’ufficio compatibilità ambientale della Regione Basilicata. Al che ho chiesto che si potesse conoscere quali dei quattro serbatoi sarebbero stati utilizzati in passato, anche perché risulta abbastanza incomprensibile che in un primo momento si sia addebitata la perdita al serbatoio A, poi al D, mentre il C (dotato già da un po’ di tempo del doppio fondo), per logica, avrebbe senz’altro dovuto essere uno dei due utilizzati, insieme al B che non sembra aver mostrato problemi di sorta (anche se dal testo della prima diffida anch’esso non pareva brillare per integrità). Su questo punto non hanno saputo rispondermi, al che ho chiesto che si riuscisse ad ottenere tali informazioni, dato che di confusione in merito se n’è registrata fin troppa. Viene, inoltre, da chiedersi come mai esistano quattro serbatoi di stoccaggio, se per produrre a regime (84000 barili/giorno) ne bastano due. Altra domanda che ho posto è stata quella relativa al piezometro SEST11 (terza barriera, denominata Danella), la cui collocazione, come si evince da quanto riportato in uno dei documenti del carteggio tra Eni ed enti istituzionali, è stata deliberatamente modificata (nello specifico la sua profondità è stata portata a 15 m) in quanto questa operazione avrebbe consentito un recupero più efficiente del surnatante che, in quel punto, avrebbe addirittura superato i 50 cm di spessore! Nello specifico mi interessava sapere se tale operazione fosse stata o meno concordata con l’ARPAB. Uno dei tecnici ARPAB mi ha risposto dicendo che la normativa obbliga il soggetto che gestisce la attività di MISE a mettere in campo tutte le soluzioni per contenere il più possibile la propagazione della contaminazione. Ad ogni modo credo che sia necessario approfondire la questione, dato che a seguito a tale accorgimento, lo spessore registrato è di colpo passato a 0 cm. In ultimo ho chiesto se avessero saputo dirmi cosa intendesse l’Eni quando ha affermato che le acque ad uso civile non sarebbero state contaminate. Anche in questo caso la risposta è stata poco convincente, anche perché frutto di una supposizione (“forse si riferivano alla non contaminazione di condotte idriche in cui scorrono acque ad uso civile”). Ho quindi chiesto all’assessore di valutare, con il supporto degli uffici regionali, l’impugnazione del disciplinare UNMIG in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale il comma 7 dell’art.38 dello Sblocca Italia. In definitiva si può affermare, senza tema di smentita, che di certezze ce ne sono ancora troppo poche e di punti oscuri, troppi. Il M5S continuerà a vigilare ed a richiedere l’accesso agli atti necessari per verificare l’ottemperanza alle prescrizioni contenute nella delibera, specie quelle disposte nelle more del riesame dell’AIA, il cui percorso dovrebbe cominciare nei prossimi giorni. Il nostro obiettivo rimane quello di chiudere il mostro e contestualmente pianificare la transizione verso un vero modello di sviluppo sostenibile.
Audito in terza Commissione consiliare il Sindaco di Balvano in merito ad un quesito sulle delibere di Giunta 175 e 284 sull’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili e la distanza da rispettare per la costruzione di nuovi edifici.
La terza Commissione consiliare (Attività produttive – Territorio – Ambiente) convocata da Vincenzo Robortella ha ascoltato, in seguito ad una nota inviata dall’Amministrazione comunale per avere chiarimenti, il primo cittadino di Balvano sul corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
“La distanza di 300 metri che le pale mini eoliche devono rispettare dai fabbricati, o le maggiori distanze che i Comuni volessero prevedere con proprio atto deliberativo, fanno sì che un qualsiasi committente, che volesse posizionare una torre mini eolica dopo l’entrata in vigore delle due delibere di Giunta regionale 175 e 284, debba rispettare la distanza minima dai fabbricati di 300 metri. Queste delibere, però, mentre garantiscono per il futuro, ovvero che nessun impianto possa essere posizionato ad una distanza inferiore ai 300 metri, ‘sembrerebbe’ costituiscano un vincolo per chiunque volesse ‘costruire casa’, dopo la loro entrata in vigore, ad una distanza inferiore ai 300 metri da una pala mini eolica già impiantata”.
E’ questo il quesito posto dal sindaco di Balvano, Costantino Di Carlo, nel corso dell’audizione svolta in terza Commissione consiliare.
“Chiedo – ha concluso Di Carlo – di verificare con gli uffici questa situazione e che venga prodotta una norma esplicativa che i Comuni possano utilizzare per rilasciare eventuali autorizzazioni. Il rischio è che si rendano interi territori non edificabili”.
Sulla questione sono intervenuti i consiglieri Perrino, Giuzio, Romaniello, Santarsiero. Posta in evidenza la questione riguardante l’assenza di un Piano paesaggistico e la necessità di attenersi ai giusti criteri di sicurezza.
Hanno preso parte ai lavori della terza Commissione, oltre al presidente Vincenzo Robortella (Pd), i consiglieri Luigi Bradascio (Pp), Aurelio Pace e Giannino Romaniello (Gm), Gianni Rosa (Lb-Fdi), Giovanni Perrino (M5s), Paolo Castelluccio (Pdl-Fi), Piero Lacorazza, Vito Giuzio e Vito Santarsiero (Pd).