Tutta l’attenzione sui problemi previdenziali sembra rivolta all’anticipo pensionistico (Ape). Nella nostra regione – secondo i dati dell’Inps a luglio scorso – sono 729 le domande di certificazione presentate per l’accesso all’Ape sociale e al pensionamento anticipato per i lavoratori precoci. Poche decine riguardano coltivatori diretti, mezzadri e coloni. Di qui l’impegno della Cia nazionale e lucana a tutelare quanti provengono dal lavoro agricolo e sono in pensione e quanti ci andranno nei prossimi anni. A partire da una richiesta ben precisa da parte della Confederazione e dell’Associazione Nazionale dei Pensionati della Cia: equiparare progressivamente i minimi pensionistici al 40% del reddito medio nazionale (650 euro) come previsto dalla Carta Sociale Europea.Un impegno dell’Associazione a sostegno dei pensionati con manifestazioni in tutta Italia e, soprattutto, con la petizione popolare presentata ufficialmente nei mesi scorsi a Parlamento e Governo (oltre 100 mila firme di cui 3500 raccolte in Basilicata).Mentre altre categorie di pensionati più fortunate hanno potuto comunque mantenere una vita dignitosa, quelli con assegni di appena 500 euro mensili, negli ultimi anni, al dimezzare del potere d’acquisto, hanno dovuto aggiungere i costi relativi alla crescente rarefazione dei servizi di mobilità, sanitari, postali, commerciali, sociali, vivendo in aree e borghi rurali di collina o montagna e accrescendo così isolamento e povertà. E – sottolineano Cia e Anp Basilicata – se in Italia quasi un pensionato su due vive con meno di 1.000 euro al mese, nelle aree rurali la media percepita si abbassa notevolmente, ed è proprio qui che si registra la massima concentrazione di pensioni minime, inferiori alla soglia di 500 euro mensili. In Basilicata ben il 78 per cento dei pensionati della regione (circa 135 mila) percepisce un’indennità che è inferiore di un terzo alla minima.
Nelle aree di campagna gli effetti della crisi sono amplificati, soprattutto per gli “over 65”, perché agli assegni pensionistici mediamente più bassi si unisce la carenza a volte strutturale dei servizi sociali -sottolinea l’Anp- aggravata dai continui tagli alla sanità e in particolare al Fondo per la non autosufficienza. La conseguenza è che oggi sono 7 su 10 i pensionati delle aree rurali a rischio di povertà o esclusione sociale: un rapporto ancora più allarmante di quello relativo alla popolazione italiana, che tocca il 30 per cento.
Gli ultrasessantenni -evidenzia ancora l’Anp-Cia Basilicata- sono circa il 20 per cento della popolazione ed entro 15 anni raggiungeranno il 25 per cento. Attualmente oltre l´80 per cento (in pratica 8 su 10) degli anziani chiede servizi sociali, sanitari e assistenziali pronti ed efficienti.
Ciò comporta che sono sempre più numerosi gli agricoltori lucani over 65 anni che, per sopravvivere, aiutare la famiglia e arrivare a fine mese, continuano ad occuparsi dei lavori nei campi. Una distorsione che azzera il ricambio generazionale in agricoltura.
Siamo di fronte – si legge nella nota – a pensioni da fame per chi ha lavorato in agricoltura, le più basse d’Europa. Questo costringe i produttori a continuare l’attività, bloccando il turn-over nei campi. La diretta conseguenza è uno dei più bassi indici mondiali di nuovi ingressi nel settore da parte dei giovani, fermi sotto il 6%.
L’impegno di Cia e Anpè esteso a quanti andranno in pensione: in Basilicata gli operai agricoli dipendenti di 3.577 aziende con dipendenti sono 27.436; le classi di età più numerose sono 45-49 anni e 40-44 anni Ad essi si aggiungono 8.283 coltivatori diretti autonomi (5.012 uomini e 3.271 donne) per un totale di 7.779 aziende. A questo universo di pensionati dei prossimi 15-20 anni bisogna pensare per garantire una pensione dignitosa.