L’eurodeputato del M5S Piernicola Pedicini ha presentato in mattinata un articolato ricorso formale di 38 pagine alla Corte penale internazionale dell’Aja (Icc), per chiedere che venga aperta un’inchiesta per “il delitto di sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali della Val d’Agri nella regione Basilicata dovuto alle attività di estrazione del petrolio e del gas svolte su un’area geograficamente e morfologicamente non adatta a tali scopi”.
La richiesta è stata inoltrata, ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto della Corte, dopo che nel 2016, a seguito di un procedimento in Cambogia, il tribunale dell’Aja ha annunciato che si sarebbe occupata anche dei crimini contro la distruzione dell’ambiente, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e l’esproprio forzato delle terre.
Finora, l’Icc, in base allo Statuto di Roma del 1998, entrato in vigore nel 2002, ha agito contro i genocidi, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra.
L’intervento chiesto alla Corte da Pedicini, rientra tra “le forme di contratti con cui un governo cede vaste porzioni di terra ad aziende private, a discapito delle popolazioni locali per lo sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali, come le estrazioni petrolifere e minerarie”.
Nel ricorso vengono evidenziate “le pratiche continuate che hanno portato alla rovina irreversibile sia dell’equilibrio naturale che della salute pubblica degli abitanti della Val d’Agri” e vengono allegati i numerosi studi e le ricerche realizzate in questi anni (compresi i drammatici risultati della Vis, valutazione di impatto sanitario nei comuni di Viggiano e Grumento Nova, resi noti in questi giorni dal Cnr).
L’indagine, dovrebbe stabilire se “le attività inquinanti, come le estrazioni di petrolio e gas effettuate da multinazionali petrolifere quali Eni e Total (oltre a Shell e altre), possono rientrare nell’ambito di un reato contro l’ambiente e l’umanità”.
La gravità dei reati – è scritto nel ricorso – è elevata, in quanto comporta il rischio di mettere in pericolo vite umane e l’abitabilità, l’economia, la produttività agricola, la vocazione turistica, di una notevole area della regione Basilicata. Tant’è che un’intera comunità sta cercando giustizia per l’inquinamento irreversibile della loro terra, dell’aria e dell’acqua. Nonostante l’innumerevole accumularsi di indagini della magistratura italiana e di petizioni popolari indirizzate alle autorità competenti, il governo nazionale e le sue emissioni locali hanno e stanno ancora trascurando di agire con celerità a favore dei propri cittadini.
Il Procuratore generale della Corte – è sottolineato nella parte finale del ricorso – dovrebbe aprire un’indagine, perché l’Icc, secondo lo Statuto di Roma, ha l’obiettivo di combattere l’impunità e di impedire il ripetersi delle violazioni. Inoltre, perché, a seguito dei pericoli e delle minacce che compromettono gravemente molte vite umane, ad oggi nessuno è stato ritenuto responsabile di tali atti, indipendentemente da numerose richieste di intervento a livello locale e nazionale. Le istituzioni sono silenziose, ovvero intervengono quando è troppo tardi (l’ultimo incidente al Cova di Viggiano con lo sversamento di centinaia nei terreni di tonnellate di petrolio ne è la testimonianza).
In più, la Corte dell’Aja dovrebbe intervenire perché la ricerca petrolifera in aree abitate della Basilicata, invece di essere ridotta o eliminata, viene ulteriormente incoraggiata. Tanto è vero che altri impianti petroliferi sono pronti ad essere avviati nell’area Camastra Alto Sauro, con il mega progetto Tempa Rossa della Total, e con la Shell che ha richiesto un permesso al ministero dell’Ambiente per effettuare la ricerca di idrocarburi in un’ampia zona tra Campania e Basilicata adiacente alla Val d’Agri.
Qui di seguito, la traduzione in italiano degli stralci principali del ricorso.
Le prove a supporto delle accuse sono le seguenti: il suolo della Val d’Agri è inadatto all’estrazione petrolifera e la vicinanza dei siti di estrazione ad aree abitate ha messo in pericolo la vita delle persone attraverso l’inquinamento tossico di terreni, aria e acqua. Le condizioni insane del suolo (a scapito della salute delle persone e delle attività agricole) hanno anche portato molte persone a lasciare l’area circostante. Infatti, i comuni della Val D’Agri nei circa venti anni di estrazione (1999-2016) sono passati da 84mila abitanti ai 72mila attuali, con una perdita di popolazione del 15% (come se l’Italia avesse perso in venti anni quasi 9 milioni di abitanti).
L’inquinamento dei terreni, dell’acqua e dell’aria conduce all’emersione di malattie croniche tra gli abitanti e al decadimento dei Parchi naturali nazionali presenti nell’area.
L’unità statistica dell’Istituto Superiore di Sanità, nel periodo 2003-2010, utilizzando il protocollo tratto dallo studio Sentieri (vedi allegato), ha condotto uno studio utilizzando dati disponibili sulla certificazione di mortalità, l’ospedalizzazione e l’assistenza alla nascita in un’area che copre 20 comuni tra la Val d’Agri e la Valle del Sauro. Lo studio ha individuato una mortalità eccessiva per quanto riguarda le malattie esaminate nell’ambito della ricerca.
Valutazione dell’impatto sanitario (Vis) a Viggiano e Grumento (vedi allegato). Il prof Fabrizio Bianchi dell’Istituto di Fisiologia clinica di Pisa del Consiglio Nazionale delle Ricerche ha recentemente pubblicato (settembre 2017) i risultati di una valutazione d’impatto sanitario su Viggiano e Grumento Nova (comuni più vicini al Cova). Lo studio è stato condotto oltre che dal prof. Bianchi da circa 30 ricercatori e tecnici che lavorano per il Cnr, l’Università di Bari e il Centro epidemiologico della Regione Lazio. Esso afferma che nei due comuni della Val d’Agri esiste un’incidenza di mortalità e ospedalizzazione superiore a quella di altre aree della regione e in particolare recita quanto segue: “le cause di decesso e di ricovero che risultano significativamente associate all’esposizione stimata ad inquinamento di origine Cova riguardano malattie cardiovascolari e respiratorie …”; e di nuovo: “sono di rilievo gli eccessi di ospedalizzazione per malattie respiratorie, in particolare per quelle croniche, osservati sia tra uomini sia tra le donne”. I dati epidemiologici cui si riferisce lo studio parlano da soli.Secondo la valutazione dell’impatto sanitario, i dati sulla mortalità e la malattia delle donne residenti nei due comuni, rispetto al resto della regione Basilicata, nel periodo 2000-2014, sono i seguenti: mortalità + 63% per le malattie circolatorie; ospedalizzazione + 80% per le malattie ischemiche; + 41% per le malattie del sistema circolatorio; + 48% per la malattia respiratoria.
Un ulteriore rischio per le popolazioni è dovuto alla natura sismica della regione che può essere soggetta a terremoti causati dalle estrazioni petrolifere. Secondo un eminente professore (Franco Ortolani – Vedi allegato), il pericolo di terremoti non è derivato dalla perforazione stessa, bensì dalla cessione di acqua contaminante (fino al 60% del prodotto grezzo), residuo del processo di desolforazione. La legge consente alla società di perforare un pozzo molto profondo in cui pompare tale liquido ad alta pressione. Questa iniezione porta ad effetti sismici, dal momento che il liquido iniettato deve trovare il proprio posto e aumenta la pressione sotterranea entro un raggio di 5 miglia.
Mancato profitto per lo Stato. Nel 2008 l’Eni era attivo nella zona da dieci anni e il Financial Times ebbe modo di osservare come tale attività di estrazione fosse effettuata nel bel mezzo di un’area abitata. Inoltre, la professoressa Maria Rita D’Orsogna (vedi allegato) ha sottolineato che le royalties che lo Stato percepisce dalle società sono incredibilmente basse: il 10% rispetto a oltre l’80% per attività analoghe (in aree più isolate) come Venezuela e Norvegia. Di tale quantità, le amministrazioni locali ricevono cifre irrisorie mentre devono affrontare gli effetti disastrosi dell’inquinamento del suolo e un’inflazione pericolosa di malattie, oltre al dramma dello spopolamento e ai danni all’agricoltura e alle possibilità di sviluppo turistico.
Incidente verificatosi nel 2017. Nel gennaio 2017, al Cova-Eni di Viggiano è stata rilevata una perdita massiccia e ciò è dovuto ad alcuni fori superiori a due cm nella parte inferiore dei serbatoi di contenimento. Da tali buchi oltre 2 metri quadrati di olio al giorno potevano penetrare nel suolo e infiltrarsi nell’acqua del fiume Agri che scorre dirigendosi nel bacino del Pertusillo. L’Eni ha riconosciuto una perdita di 400 tonnellate di petrolio, ma i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e dell’amministrazione pubblica locale dicono che la stima potrebbe essere molto più grande e hanno attivato delle procedure contro l’Eni. Questo evento ha innescato alcune indagini da parte della Procura di Potenza per quanto riguarda il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza dei cittadini e della tutela dell’ambiente.
Un’altra indagine della magistratura, avviata nel 2015, ha portato al rinvio a giudizio di 57 soggetti (di cui 10 società, tra cui l’Eni). I reati contestati riguardano lo smaltimento dei rifiuti prodotti nel centro oli Cova Eni di Viggiano e i lavori per la realizzazione del centro oli Total Tempa Rossa di Corleto Perticara. Il processo inizierà a Potenza il 6 novembre prossimo.
Intanto, rispetto allo sversamento di petrolio nei terreni e nelle falde acquifere della Val d’Agri, avvenuto a gennaio 2017, il centro Cova, chiuso temporaneamente ad aprile 2017 per ragioni di sicurezza e tutela ambientale, è stato riaperto a metà luglio 2017.
La perdita di greggio dal Cova e le indagini susseguenti hanno portato decine di associazioni rappresentanti la società civile a denunciare l’inattività e la confusione fatta dall’amministrazione regionale che non ha immediatamente richiesto l’applicazione di misure di sicurezza previste dalle esistenti norme nazionali e europee. Il piano di emergenza esterno del Cova ha classificato il petrolio come cancerogeno per anni in conformità alla direttiva Seveso Ter Eu. Pertanto, un intervento adeguato al rischio pertinente non era solo consigliabile ma anche previsto dalle prescrizioni e dalle misure di sicurezza esistenti.
Secondo le petizioni delle associazioni c’è stata anche una mancanza di trasparenza nella valutazione dell’inquinamento dell’acqua dell’invaso Pertusillo. La maggior parte delle analisi effettuate nel 2017 non presenta una convalida obbligatoria prevista dal regolamento CE882/2004. Inoltre i dati disponibili sulle recenti analisi delle acque mostrano alcune omissioni che suggeriscono un certo grado di pregiudizio nella certificazione di conformità fornita dagli autori nazionali. Le sostanze considerate negli studi precedenti non sono state considerate in quelle recenti, senza fornire spiegazioni chiare.
La riapertura del Cova di Viggiano e l’inquinamento di flussi d’acqua che scorrono nel bacino artificiale Pertusillo che, con i suoi 155 milioni di metri cubi d’acqua, fornisce acqua potabile a circa tre milioni di cittadini in Basilicata, Puglia e Calabria. Le Ong ambientali e la professoressa Albina Colella dell’Università di Basilicata, hanno effettuato valutazioni sulla qualità dell’acqua e dei depositi. Tali studi hanno rilevato notevoli quantità di metalli pesanti (spesso al di là dei limiti imposti dalla legislazione nazionale e quelli fissati dall’Oms) nelle acque che ne compromettono la potenzialità. Nonostante ogni ragionevole evidenza, il governo regionale ha dato il permesso alla società responsabile di tale catastrofe ambientale (Eni) di riaprire il Cova a Viggiano dopo soli tre mesi dalla chiusura. Il ragionamento alla base di tale autorizzazione è il completo ignorare qualsiasi inquinamento esistente, che viene considerato piuttosto improbabile e non sarebbe stato corroborato da prove. Nessun rappresentante della società civile è stato coinvolto nelle discussioni riguardanti la sicurezza o le conseguenze della perdita di petrolio nei terreni adiacenti al Cova.