Pietro da Eboli, operaio e quadro sindacale dello stabilimento FCA di Melfi, in una nota esprime alcune riflessionio sulle dichiarazioni rilasciete dal leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio nei confronti del sindacato.
A qualche giorno dalle esternazione del leader, candidato premier, dei cinque stelle, Luigi Di Maio sul sindacato, le reazioni dei dirigenti sindacali sono state: “eccone un altro”, chiusa la stagione del renzismo anti sindacale si ricomincia con i pentastellati. L’ abituale aplomb della dirigenza sindacale, ad esternazioni ascoltate da tanti politici del passato recente e del presente, forti del fatto che il sindacato italiano ha grandi risorse e grande storia, oltre a garanzie costituzionali e legislative, legittima un atteggiamento di sufficienza e di maniera, con risposte solite ed alcune di ilarità . L’on. Luigi Di Maio sa bene che le società non si plasmano dall’alto, ma un punto a sua favore bisogna attribuirglielo: aver posto un problema di organizzazioni che non hanno più nulla del loro passato glorioso nella difesa dei più deboli.
Ciò è stato certificato dall’istituto IPSOS – divisione Politico sociale – dalle statistiche di gradimento, dove il sindacato registra un calo dal 48 al 30% di gradimento della popolazione; il calo di fiducia attraversa lo zoccolo duro dei partititi di sinistra, dai giovani, operai e pensionati. La crisi che ha coinvolto l’Italia ha lasciato un carico di disuguaglianze che hanno pochi precedenti nella storia, tanto da creare un processo di disintermediazione. Questo, inoltre, provoca problemi di coesione sociale e divisione tra i lavoratori; l’aver sottovalutato la forza e la capacità dei cinque stelle di parlare al ventre molle della popolazione. Gli schemi della comunicazione tra le grandi strutture e gli individui così come le conoscevamo, nelle società democratiche occidentali, ha determinato grandi problemi che vanno affrontati principalmente per la tenuta democratica del paese e trovare quella sintesi, oggi persa, della volontà popolare.
E’ ancora parte di un processo democratico il sindacato, oppure è solo la esternazione di processi e riti superati? Per essere di nuovo protagonista nelle odierne società il processo di rinnovamento è ineludibile, come non è assolutamente vero che rappresentare il disagio si debba scindere la responsabilità di governare alcuni processi che riguardano il funzionamento dell’economia, la quantità e la qualità del lavoro, l’inclusione nel mercato del lavoro, l’inclusione dei giovani nel mercato del lavoro in una società matura. Tutt’altro, la capacità della discontinuità e la loro somma possono essere ricondotti ad un parametro che li guidi ad obiettivi di una buona cultura sindacale più che ad azioni che dispieghi ex ante e non certo con le continue recriminazioni ex post di cui sono pieni i bollettini confederali. La concretezza di questa prospettiva vuol dire fare i conti con i temi della partecipazione di lavoratori alla vita aziendale. I segnali di trasformazione che provengono dal quadro economico cambiato ci dice che questa è la strada obbligata del futuro, dai sui ritmi e dai suoi cicli; il legane con la tecnologiaci indica la strada della collaborazione tra impresa e capitale umano. Per il sindacato sarebbe una straordinaria occasione per mettersi alle spalle gli ultimi deludenti anni e ripartire con nuove basi e nuovi paradigmi. A patto di darsi come obiettivo la soluzione dei problemi e non qualche posto in più nei consigli di amministrazione, ricalcando la solita tradizione del manuale Cencelli, tutto sommato l’esternazione dell’onorevole Di Maio non nuoce più di quanto abbia nuociuto l’atteggiamento di supponenza e pressapochismo delle centrali sinadacali.
Pietro da Eboli – quadro sindacale FCA di Melfi.