Franco Vespe, Presidente della “Officina del Bene Comune”, ha inviato alla nostra redazione alcune riflessioni sul rapporto dei giovani nei confronti della politica. Bisogna farli tornare ad innamorarsene.
Di seguito la nota integrale.
Qualche settimana fa ho assistito alla presentazione dell’associazione di giovani “Studenti 21“. Nel loro roboante e “virile” manifesto ricorre in modo quasi ossessivo la parola “speranza”. L’associano a delle cose da fare per migliorare la “Polis”. Se invece usano il termine politica la aggettivano in termini negativi. Nella stessa presentazione dal vivo fatta dell’associazione ci hanno tenuto a precisare che il loro non era un movimento politico. Anni ed anni di cattivi esempi dati dalla politica hanno di fatto creato una feroce idro-repellenza nei suoi confronti associandola alle cattive pratiche sviluppate in suo nome che nulla hanno a che fare con il suo alto significato etico/morale. Ma quei ragazzi con quel magnifico manifesto intriso di meravigliosa ingenuità mista a coraggioso slancio vitalistico, hanno declinato il significato vero e nobile della politica. La politica è infatti indissolubilmente legato al concetto di speranza. Essa è una delle modalità per cui le speranze degli uomini possano camminare nella storia. La politica muore quando si impongono modelli di società perfette. Se esistono società perfette non c’è bisogno di cambiarle e migliorarle. Con esse si spegne il soffio della speranza. Nel secolo breve (il 900) queste società perfette furono imposte da Fascismi e Comunismi. Oggi è il pensiero unico liberista, cinghia di trasmissione culturale e politica dei grandi interessi economici multinazionali e transcontinentali, ad imporla. La vecchia ma mai morta teoria di Adamo Smith secondo la quale una società retta da individualistici interessi economici che, perseguendo i propri fini, consentono alla mano invisibile del mercato di ri-equilibrare le condizioni di vita delle persone, rivive su scala globale oggi. Il grande economista Milton Friedmann, ispiratore delle politiche neo-liberiste Reaganiane e Tatcheriane degli anni ottanta, è stato il profeta della dottrina: più economia e finanza e zero politica! E’ davanti agli occhi di tutti che ancora una volta questa “mano invisibile” del libero mercato non sta funzionando. La cartina al tornasole di questo fallimento sono le sperequazioni sempre più accentuate fra poveri e ricchi. Se questa forbice si allarga significa che la politica non sta facendo il suo dovere. Non c’è bisogno di essere complottista per capire che una politica debole, squalificata, arrendevole (come quella della UE!), popolata ed animata ad arte da “asini” impresentabili (con rispetto parlando per i veri asinelli!) sia desiderata, orchestrata e pilotata da questi grandi interessi e gruppi economici che operano con cinismo efferato su scala mondiale fino a pervadere le nostre piccole comunità. Nel nostro piccolo basti pensare alle scellerate politiche estrattive implementate nella nostra regione ed alla sospetta arrendevolezza del ceto politico regionale verso ENI e TOTAL. Ma non divaghiamo! Da questo pantano selvaggio in cui la globalizzazione di stampo neo-liberista ci ha cacciato, ci può tirar fuori solo una politica più forte. La politica forte la si potrà avere però solo se essa tornerà a riconciliarsi con il popolo. Dovrà per questo recuperare la sua dimensione etica, educativa e, perché no, estetica (le tre “E”). Ai nostri giovani consiglierei di non vergognarsi di farla e di attribure ad essa una cogente priorità riscoprendone invece la bellezza. Infatti uno dei compiti della politica è quello di saper prendere il meglio ed il bello di ciascun cittadino per sintetizzarlo in un percorso di speranza per le nostre comunità. Questo lavoro abbiamo iniziato a farlo nella “Officina del Bene Comune” con i nostri giovani. Cominciamo con l’affermare che obiettivo della politica è affermare il primato del bene comune.
Francesco Vespe, Presidente della “Officina del Bene Comune”