Nel 2016 il consumo di suolo in Basilicata, secondo il rapporto ISPRA, ammonta a 33.818 ettari (23.933 ha in provincia di Potenza, il 3,6% e 9.884 ha in provincia di Matera). Sono questi i dati che – sottolinea la Cia-Confederazione Agricoltori Basilicata rende non certamente celebrativa la Giornata Mondiale del Suolo, lanciata ogni anno il 5 dicembre dal Global Soil Partnership, un’alleanza internazionale fra stati, istituzioni e ong promossa dalla Fao, l’agenzia agroalimentare dell’Onu. Scopo della Giornata è richiamare l’attenzione sull’importanza di un suolo sano e promuovere la gestione sostenibile delle risorse del terreno. Il rischio da combattere è un consumo del suolo insostenibile, ovvero la sua copertura con cemento o asfalto in modo incontrollato. In Italia, secondo dati Ispra, il consumo di suolo procede a un ritmo di 3 metri quadrati al secondo.
Il tema di quest’anno della Giornata è “La cura del pianeta parte dalla terra”.
Altri dati riferiti alla Basilicata: poco meno di 80.500 ettari di cereali sono “scomparsi” in Basilicata in un decennio, con l’effetto del quasi dimezzamento delle aziende cerealicole (da 40 mila a 22 mila); stessa sorte per 665 ettari di colture ortive, 523 ettari di patata, 517 di barbabietole da zucchero, mentre i cosiddetti “terreni a riposo” sono aumentati di 12.700 ettari. Ancora, la Basilicata ha perso 3.500 ettari di vigneti, 5.600 ettari di coltivazioni legnose, 1.900 ettari di agrumi, 967 di olivo. Persino gli orti familiari, da sempre simbolo di un’economia agricola di sostentamento, registrano un arretramento di 484 ettari, pari al 32,2% in meno.
Il nostro Paese – sottolinea la Cia – ha bisogno di una legge per il contenimento del consumo di suolo e la difesa delle aree agricole, già approvata dalla Camera nel maggio 2016 e ferma da più di 500 giorni in Senato. Sono anni che la sollecitiamo e la attendiamo perché il suolo, soprattutto quello coltivato, continua a sparire, divorato dall’avanzata di cemento, incuria e degrado. Ma perdere terreno agricolo – aggiunge la nota – vuol dire, da un lato, aumentare la nostra dipendenza dall’estero nel capitolo agroalimentare e, dall’altro, mettere a rischio un patrimonio paesaggistico che, tra il turismo rurale e l’indotto legato all’enogastronomia tipica, vale più di 10 miliardi di euro l’anno. L’estensione della superficie agricola è legata direttamente alla sicurezza alimentare, ma se da una parte cresce la domanda globale di cibo, dall’altra diminuiscono le terre coltivate. Una contraddizione che va fermata e affrontata, prima di tutto a livello nazionale. E poi una nuova attenzione al territorio oggi è assolutamente necessaria anche per motivi ambientali. La mancata manutenzione del suolo, il degrado, la cementificazione selvaggia e abusiva, l’abbandono delle zone collinari e montane dove è venuto meno il fondamentale presidio dell’agricoltore, contribuiscono a quei fenomeni di dissesto idrogeologico del Paese che sono alla base di tragedie anche recenti.
La Cia evidenzia: Nonostante tutto l’agricoltura lucana è bioresistente. Perché è capace di distinguersi, produrre artigianalmente e arrivare sul mercato globale; perché è capace di ridare valore ai prodotti della tradizione adeguandoli ai gusti moderni; perché un’idea di investimento privata può contagiare favorevolmente una piccola collettività; perché l’agricoltore con le sue conoscenze, date dalla convivenza continua con gli elementi della natura, è in grado di prevenire e tamponare con la sua opera quotidiana gli eventi climatici avversi; perché la nostra terra tanto bella quanto fragile, va tutelata innanzitutto con il presidio umano.
Dic 04