I dati di flusso delle Comunicazioni Obbligatorie all’Inps riferiti ai rapporti di lavoro attivati nei primi 9 mesi del 2017, fotografano un lavoro flessibile che raggiunge la più alta incidenza dell’ultimo quadriennio: l’82,5%, a fronte dell’80% nel 2016, del 77,4% nel 2015 e dell’80,7% nel 2014. E’ quanto evidenzia una nota congiunta del Centro Studi Sociali ed Economici del Lavoro e della Uil Basilicata.
In dettaglio nel periodo gennaio-settembre 2017 in Basilicata le assunzioni a termine sono state 35.948 rispetto alle 26.483 dello stesso periodo del 2016 (erano 27.526 nei primi nove mesi del 2015); quelle a tempo indeterminato invece sono 8.873 (8.859 nel 2016 e 13.654 nel 2015). Inoltre, le assunzioni in apprendistato ammontano a 1.138 (erano 953 nel 2016 e 592 nel 2015) e quelle stagionali ammontano a 4.384 (erano 3.231 nel 2016 e 3.732 nel 2015).
Una incidenza, questa, fortemente influenzata dalle attivazioni di contratti a tempo determinato: ogni 100 contratti avviati, 80 sono stati a tempo determinato. Nel 2015, con l’introduzione dell’esonero contributivo totale e triennale, l’incidenza del tempo determinato, comunque alta, era inferiore (67,5%) ed il tempo indeterminato assorbiva il 21% dei rapporti di lavoro accesi.
Cosa continua a spingere i datori di lavoro ad utilizzare i contratti a tempo determinato in luogo dei contratti stabili?
La risposta, secondo noi – si afferma nella nota Csel e Uil – è principalmente da attribuire ad un costo del lavoro non sufficientemente conveniente del contratto a tempo indeterminato. I dati ci dicono infatti che, in presenza di sgravi/esoneri contributivi e fiscali (Irap) che abbassano il costo del lavoro del tempo indeterminato in maniera “concorrenziale” con il contratto a tempo determinato, le aziende sono “incentivate” ad assumere in maniera stabile. Diversamente, quando gli sgravi si riducono o cessano, i contratti temporanei crescono. E’ quindi, e principalmente, una questione di “costo del lavoro” su cui occorre intervenire per colmare il gap tra flessibilità/precarietà e stabilità lavorativa.
Ma attenzione – avverte la nota – alle assunzioni a termine sempre nei primi 9 mesi dell’anno hanno fatto seguito le cessazioni di rapporti a termine: 30.204 (erano state 21.313 nel 2016 e 22.346 nel 2015); ad esse si aggiungono le cessazioni dei rapporti a tempo indeterminato: 9.798 (9.413 nel 2016 e 9.945 nel 2015). Anche sommando le trasformazioni dei contratti a termine a tempo indeterminato (1.877) il numero di posti di lavoro non precari resta basso.
Certamente quello della durata di tali contratti è una questione su cui deve aprirsi una riflessione, visto il forte aumento in questi anni di contratti di breve e brevissima durata.
Riteniamo, però, che non è semplicemente intervenendo sulla riduzione della durata del/i contratto/i a tempo determinato (oggi fissata dalla legge a 36 mesi complessivi) o sulla contrazione del numero di proroghe (attualmente 5), che si raggiunge l’obiettivo di incentivare i contratti di lavoro stabili, bensì è necessario intervenire sulla “non convenienza economica”, per i datori di lavoro che attivano contratti a termine non giustificati da una necessità oggettiva nell’instaurare rapporti temporanei che, spesso, vengono utilizzati per prolungare, in maniera patologica, periodi di prova o per tenere il lavoratore “sotto pressione”.
Le proposte della UIL
Crediamo sia utile, come più volte sostenuto, che si intervenga sul far costare di più la temporaneità dei contratti, aumentando per i contratti a tempo determinato (ad esclusione del lavoro stagionale o nei casi di sostituzione), il contributo addizionale aggiuntivo dell’1,4% introdotto con L. 92/2012, portandolo almeno al 4%.
Tale addizionale, che confluisce nelle casse dell’Inps, potrebbe essere destinato o in un aumento della Naspi (durata o importo) proprio a favore di questi lavoratori che vivono spesso nella discontinuità ed incertezza dei rapporti di lavoro, oppure, visto il rischio di carriere discontinue, al sostegno dei versamenti nella contribuzione previdenziale pubblica o nei fondi pensione.
Se la media annua delle attivazioni con contratti a termine continuasse ad aggirarsi intorno ai 6,7 milioni di avviamenti, si avrebbe un introito aggiuntivo per le casse dell’Inps di oltre 320 milioni di euro annui.
Per meglio comprendere questa nostra proposta, abbiamo simulato il risparmio per un datore di lavoro che decidesse di assumere un lavoratore con contratto a tempo indeterminato in luogo di un contratto a tempo determinato in presenza di un’aliquota contributiva aggiuntiva del 4%.
Nel caso in cui l’azienda optasse per il contratto a tempo indeterminato, il risparmio per il datore di lavoro, sarebbe di € 2.379 annue per singola assunzione (su una retribuzione lorda di € 24mila), pari ad una diminuzione rispetto al tempo determinato, del 7,6%.