E’ Natale! E su SassiLive pubblichiamo il testo dell’omelia che l’arcivescovo mons. Antonio Giuseppe Caiazzo ha declamato
stanotte durante la Veglia del Santo Natale del Signore nella Cattedrale di Matera.
Carissimi fedeli,
anche questa notte ci ritroviamo insieme per celebrare il Natale di Gesù con animo rinnovato e la gioia di poter contemplare ancora più da vicino il mistero dell’incarnazione: Dio si è fatto carne per vivere in noi.
Quest’anno per la prima volta, le comunità parrocchiali di Maria SS. Della Bruna e di S. Giovanni Battista, celebriamo insieme nella Basilica Cattedrale. Saluto i parroci in solidum Don Angelo e Don Francesco insieme a Don David, Rettore del Santuario di S. Francesco da Paola. Mentre dal cielo avvertiamo la benedizione di Don Mimì. Questo era il suo desiderio.
Nel brano del vangelo appena ascoltato, l’evangelista Luca ci dice che Gesù è nato a Betlemme in quanto i suoi genitori, partiti dalla Galilea, dovevano recarsi in Giudea, a Gerusalemme, per il censimento. A pochi chilometri dalla città santa, Maria lo diede alla luce in una grotta, non trovando accoglienza in nessun posto.
Consideriamo due aspetti:
1. Giuseppe e Maria sono costretti ad andare a Betlemme per un censimento imposto dall’imperatore di Roma (Lc 2,1-7). Perché questo censimento? Con un linguaggio moderno potremmo dire che l’autorità romana voleva accatastare la popolazione. Ma la finalità andava ben oltre: in questo modo si era in grado di capire quante persone dovevano pagare le tasse. La legge prevedeva che le famiglie ricche erano obbligate a pagare le imposte sia sui beni che possedevano. La classe dei poveri doveva pagare in base al numero di figli.
2. L’evangelista Luca, nel descrivere la nascita di Giovanni Battista, ci dice che avviene nella propria casa, circondato e accolto dal calore di tutti, familiari, parenti e amici. Tutti fanno festa (Lc 1,57-58). Per Gesù avviene esattamente il contrario. Niente casa, niente terra, niente affetti, niente festa. E’ uno sconosciuto. “Non c’era posto per loro nell’albergo”. Trova calore in una stalla, in una mangiatoia (Lc 2,7).
In questo contesto di flusso enorme di gente che arriva e riparte, non c’è posto per Gesù. L’unico luogo che lo accoglie è una stalla, tipico rifugio dei pastori. Un’umanità a parte: uomini costretti a vivere con gli animali e come animali, emarginati, guardati con sospetto. Sono, per questa ragione, considerati impuri, quindi maledetti. Secondo questa mentalità diffusa, nessuna mamma o papà avrebbe mai fatto avvicinare un pastore alla culla di un neonato.
E, invece, accade qualcosa di straordinario: l’Angelo del Signore appare loro ad annunciare qualcosa di meravigliosamente grande, la nascita di Gesù. Dio sceglie gli scartati dalla società per donare il suo sorriso e la sua luce. Loro sono impossibilitati ad andare al Tempio a pregare, ma il Tempio di Dio decide di andare da loro, pregandoli di adorare la vita divina: Dio fatto carne.
Anche oggi assistiamo ad un incessante movimento di persone, da una parte all’altra del mondo, alla ricerca spasmodica di felicità. Si sente il bisogno di una vita autentica, di rapporti umani che siano veri, autentici, improntati alla libertà, alla giustizia. Eppure, a volte, si ha la sensazione che aleggi un’aria irrespirabile. Nel mondo occidentale tutto stanca, tutto delude, tutto annoia. E, nel frattempo, altri flussi migratori si riversano da un continente all’altro: uomini, donne, bambini, spesso considerati numeri, pericolosi, impuri. Proprio come i pastori, vengono relegati in campi profughi, in case possibilmente lontane dal centro abitato. Considerati diversi.
Oggi siamo tutti un po’ pastori, bisognosi di ritrovare la nostra dignità di uomini, forse scoraggiati, delusi, abbrutiti da dolori e delusioni che ci logorano. Ci sono ferite che non rimarginano facilmente, vuoti che non si colmano, solitudini anelanti sospiri e speranze. A questi pastori l’Angelo dice: Non temete! E subito dopo prosegue: Vi annuncio una grande gioia che è per tutto il popolo!
Noi, pastori di questo tempo, non abbiamo bisogno semplicemente di realizzare il presepe in casa, in chiesa, tra i Sassi… I personaggi del presepe siamo noi stessi, invitati a ritrovare forza e coraggio. La grande gioia, che diventa contagiosa, è annuncio che parla con la vita, messa in cammino dal volto sorridente di quel bambino, pieno di luce, proprio oggi, qui, a Matera come a Irsina, a Montalbano come a Metaponto, a Scanzano come a Pisticci, a Ferrandina come a Salandra, a Grottole come a Montescaglioso, a Marconia come a Craco, a Tinchi come a Miglionico, a Pomarico come a Bernalda.
Oggi la nostra vita può cambiare, i nostri rapporti possono ritornare più umani, i muri costruiti nel corso degli anni crollare, la pace seminata tra le mura domestiche, nel condominio, nei luoghi di lavoro, trionfare. Risulterebbe inutile il presepe allestito nelle nostre case, magari sotto l’albero, se oggi non concretizzassimo, quanto Gesù ci mostra con la sua venuta in mezzo a noi.
Oggi il cielo, attraverso la schiera degli Angeli, scende sulla terra facendola sua sposa. Il “Si” di Dio si materializza vivendo l’attesa del “Si” di ogni uomo che agisce e opera a favore dell’umanità. Ciò che avviene in cielo deve avvenire anche sulla terra: Gloria a Dio nel più alto dei cieli. Pace in terra agli uomini che egli ama!
Fino a quando nelle nostre case, nei nostri condomini, nelle nostre comunità parrocchiali, nei palazzi del governo, ci saranno inimicizie, sospetti e inganni, complotti e sotterfugi, potremo anche cantare e osannare la pace, la giustizia, la fratellanza, l’uguaglianza, ma tutto sarà senza anima: c’è bisogno di amore vero, capace di farsi carne. Un amore che diventi contagioso, per contatto, perché circola da persona a persona, nelle case, nei condomini, per le strade di questa umanità, infondendo la forza della vita.
Nel Vangelo di Luca troviamo scritto: I pastori vanno fino a Betlemme e raccontano la visione degli angeli. Questa scena ha il sapore missionario: i primi annunciatori di questo avvenimento sono proprio i pastori. Sono andati, hanno visto che la Parola (detta dall’angelo) era vera, perché la nascita di Gesù non è una favola o un racconto imparato sui libri, ma un avvenimento che è raccontato e testimoniato.
Nessuno nella Chiesa è veramente missionario, capace di essere credibile nell’annunciare la visione degli angeli, se non vive l’esperienza dell’incontro con il divino. Il rischio che a volte corriamo è quello di annunciare noi stessi (vescovi, preti, suore, laici), per affermare noi stessi ed attirare l’attenzione sulla nostra persona. Il missionario è pieno della luce di Dio e per questo sa raccontare un avvenimento che non è degli altri ma gli appartiene. Oggi abbiamo bisogno di testimoni capaci di parlare il linguaggio dei pastori, che si muovono nelle tenebre della vita, illuminando la strada che percorrono, riaccendendo la speranza, colmando le valli della disperazione e spianando le vette dell’orgoglio e dell’io.
Nella Chiesa, come credenti, siamo invitati a ritornare alla fonte della nostro essere cristiani: Gesù Cristo, nato, morto e risorto. E allora, anche noi potremo dire che “Natale è qui, Natale è pace. Vuol dire pace con Dio, col quale Cristo ci ha riconciliati, e vuol dire pace interiore dentro noi stessi, nelle coscienze nei cuori: l’abbiamo noi questa pace? Vuol dire pace nelle famiglie. Non è il Natale la festa dell’intimità domestica? Vuol dire pace sociale. Non siamo tutti fratelli? Vuol dire ancora pace fra le nazioni… Per questa pace internazionale dobbiamo particolarmente pregare”. (Beato Paolo VI).
Ogni grido, ogni denuncia, ogni marcia, ogni celebrazione laica o religiosa, ogni striscione, ogni bandiera, se non sarà dettata dalla forza dirompente che il Bambino di Betlemme ci comunica, resterà grido, denuncia,… nell’attesa del prossimo evento da celebrare.
A Betlemme di Giudea «nel bel mezzo di una tribù, fra i litigi, le gelosie, i piccoli drammi d’una numerosa parentela» (F. Mauriac) Cristo nasce come ognuno di noi, si fa carne. Viene ad abitare la carne che ha bisogno di rinsaldare le ginocchia vacillanti e irrobustire le mani fiacche. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio… Egli viene a salvarvi». (Is 35,4).
Carissimi, la venuta di Gesù sulla terra indica il grande amore che lui ha per noi. Solo chi ama è capace di piegarsi, di rivestirsi dell’umanità dell’altro per aiutarlo a ritrovarsi come uomo, scoprendo di avere Dio dentro. Soltanto la forza dell’amore cambia la vita dei pastori che si lasciano portare verso luoghi che, per quanto conosciuti, scoprono nella novità di Dio, quindi nella loro bellezza. Chi non si lascia conquistare dall’amore che si fa carne resterà sempre inquieto, sofferente, pieno di pregiudizi, insoddisfatto. Esattamente il contrario di quello che ci annuncia il Natale di Gesù.
Ritorniamo a camminare insieme, non da soli, proprio come i pastori. Togliamoci la maschera del perbenismo puritano. Scambiamoci e annunciamoci l’esperienza della potenza dell’amore che ci spinge ad essere protagonisti nella storia. Parliamo il linguaggio di Dio che si riassume così: la Parola vuole farsi carne nelle situazioni concrete della convivenza umana.
Questo è l’augurio che rivolgo a tutti voi, carissimi fratelli e sorelle. Che Dio trovi posto in noi, nelle nostre famiglie, nelle nostre case, perché i nostri cuori si spalanchino con gesti concreti di riconciliazione e di carità. Solo così le tenebre della vita saranno illuminate dalla luce ricevuta. Così sia.
Santo Natale.
† Don Pino
Di seguito il testo dell’omelia che l’Arcivescovo Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo ha declamato nella solenne celebrazione liturgica del Santo Natale nella Basilica Cattedrale di Matera.
Carissimi fedeli, voi qui, nella Basilica Cattedrale e voi tutti, che seguite da casa grazie al servizio di TRM, oggi la Chiesa su tutta la terra annuncia con gioia che Dio è presente in mezzo a noi. Si è fatto come noi per condividere la nostra natura umana bisognosa di essere amata, curata, sanata. Celebriamo la nascita di Gesù. Lo contempliamo presente nella nostra storia, fatta di uomini e donne che camminano insieme e cantano la gioia della vita, costruiscono ponti di solidarietà, fanno circolare l’amore in mezzo a tante forme di violenze assurde e ingiustizie miserevoli.
La nascita di Gesù ci ricorda, come stiamo meditando nel percorso sinodale, che Dio cerca sempre l’uomo e cammina con lui. Se Gesù è nato a Betlemme, in una grotta, non è stato certo perché desiderava che venisse ricordato in un presepe, tradizionale o moderno; cullato da una musichetta dal motivo accattivante; circondato da scenografie e coreografie di luci e colori mozzafiato. E’ nato lontano dai riflettori della storia, nel silenzio di una grotta, nella povertà, per distruggere ogni forma di miseria, di ingiustizia, ridando voce alle grida di disperazione spesso soffocate.
Il prologo di Giovanni, appena ascoltato, ha risuonato ancora una volta con queste parole: In principio. Di certo ci ricorda l’inizio della Sacra Scrittura, nella Genesi: In principio Dio creò il cielo e la terra. Giovanni dice molto di più: In principio era il Verbo. Da parte dell’evangelista c’è la precisa affermazione che il vero Principio di ogni cosa è il Verbo, cioè la Parola che crea. Senza questo Principio non c’è nemmeno la fine, quindi nessun tipo di vita: In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. Il binomio vita-luce esprime l’essenza di quel Principio necessario per respirare e gustare la bellezza dell’esistenza.
Un’esistenza, la nostra, bisognosa di ricostruire rapporti umani, di ritornare a guardarsi negli occhi, a prendersi per mano, uscendo dall’isolamento e camminando insieme per le strade della terra.
Ritornare al Principio della vita significa ritrovare la luce negli occhi, la gioia dei cuori assetati e bisognosi d’amore ma capaci di dilatarsi nel darlo senza riserve.
Il Verbo è la Parola creatrice di Dio, che si mostra concretamente, facendosi carne per stare in mezzo a noi. Pur di aiutare l’uomo a ritornare a quel Principio, Dio decide di farsi carne e stare in mezzo agli uomini: uomo tra gli uomini.
Il Natale è tutto questo. Il Verbo è Gesù, la Via, la Verità e la Vita.
Siamo invitati a farci curare la cecità che ci impedisce di vedere il ritorno del Signore a Sion (Is 52,7-8), e ammirare la sua gloria (Gv 1,16) che si manifesta nei gemiti e nella vulnerabilità di un Bambino quale messaggero che annuncia la pace (Is 52,7).
Vivere il Natale non significa celebrare semplicemente un evento che, per quanto bello e curato nei minimi dettagli, risulta vuoto di Dio. C’è bisogno che la Parola oggi continui a farsi carne. Una carne che appare spesso mortificata e oltraggiata, divisa ed emarginata. Una carne bisognosa di sentirsi come persona accolta, aiutata, incoraggiata. Una carne, invece, sempre più spesso guardata e considerata come un insieme di cellule, diversa e capace solo di farmi del male.
Il Natale è invece La luce che splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.
Spesso si ha la sensazione che il male, le tenebre, siano più forti della luce. Sono i fatti e le circostanze della vita che si abbattono inesorabilmente sulla carne, provocando dolore e lacerazioni.
Quante storie abbiamo vissuto o di cui siamo stati testimoni impotenti! Impotenti per aver subito la rottura di un rapporto matrimoniale; impotenti di fronte all’interruzione improvvisa di una gravidanza; impotenti nell’avanzare di un male incurabile di una persona cara; impotenti di fronte alla sofferenza crocifissa in un letto fino alla morte; impotenti per le ingiustizie subite, per la mancanza o perdita di lavoro; impotenti… Di fronte a questa impotenza dell’umanità Dio si fa “impotente”, cioè Bambino.
Eppure, come dice l’autore della lettera agli Ebrei, “ha parlato, in questi giorni, a noi per mezzo del Figlio”. Da chi umanamente consideriamo impotente, un Bambino, parte la luce che illumina le tenebre stesse, trasformandole anche in luce. Può darsi che la mia preghiera non sarà esaudita ma di certo mi darà pace. Fiduciosi nella Parola fattasi carne, non abbasseremo lo sguardo e il cuore, ma poggeremo su di essa la nostra esistenza e saremo capaci di rigettare rassegnazione e sconforto.
Abbiamo bisogno di luce, di respirare a pieni polmoni la vita. Respirare e far respirare. La Luce ci chiede di riconciliarci con noi stessi, con la storia, con i nostri familiari, con la terra sulla quale viviamo e dalla quale ci nutriamo. Sì, dobbiamo riconciliarci con la terra, la nostra casa comune, affinchè sia liberata da ogni forma di violenza, di sfruttamento che rende amaro e velenoso il cibo che ci nutre. La Luce ci dice che possiamo e dobbiamo tornare a correre tra i prati fioriti, come bimbi spensierati e svezzati. Amiamo la nostra terra, difendiamola da ogni forma di sopruso, prendiamo da essa quanto ci serve ma non sfruttiamola impoverendola.
L’evangelista continua dicendo:“A quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio”. E’ quanto succede a coloro che si fidano del progetto di Dio: diventiamo figli di Dio e, in quanto figli, noi come il Figlio Gesù, siamo invitati a parlare, agire, scegliere secondo la sua logica: la logica dell’amore incarnato.
E’ interessante notare che Giovanni dice esattamente che “Il Verbo si fece carne”, ma non dice uomo. La risposta è molto semplice: dire “carne” significa considerare la parte più debole dell’uomo. Quindi, Gesù si è fatto debolezza venendo “ad abitare in noi”. In questa espressione cogliamo il senso del percorso sinodale che come Chiesa di Matera – Irsina stiamo facendo: Dio non solo si accosta a noi e cammina con noi ma addirittura entra in noi. Entra in questa carne per risanarla e farla pulsare come solo chi ama sa.
La forza dell’amore trascina e mette in moto dei meccanismi di altruismo senza pensare più a se stessi: è dando che si riceve. E’ bello pensare che il vero amore e la fonte dell’amore consistono in questa unione tra il divino e l’umano: una cosa sola che genera vita, confondendo ogni sapienza umana arroccata, a volte, su stessa.
E’ chiaro, allora, che non siamo noi a cercare Dio ma è lui che cerca noi. E’ successo con Adamo ed Eva all’inizio dell’umanità, continua anche oggi negli smarrimenti e fughe dalla realtà. Dio è con noi! Si è fatto vedere, per cui non possiamo raccontare un’esperienza durata il tempo necessario di un incontro, bensì raccontiamo l’esperienza di vita che viviamo con lui. “Dio nessuno lo ha mai visto, il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. Gesù ce l’ha mostrato e continua nel tempo a renderlo presente in lui: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Ed è proprio l’autore della lettera agli Ebrei, nella seconda lettura, che ci spiega questa intimità con Dio nelle diversità delle persone: “Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza”.
L’incarnazione ci insegna che l’uomo, proprio perché cercato da Dio, deve compiere una semplice cosa: accoglierlo, rivestendosi della sua divinità. In questo modo i rapporti umani si modificheranno. Chi è divinizzato agisce da umanizzato. Diventa una corrente di grazia che attraversa le strade della terra, travolgendo, in un rapporto d’amore, ogni uomo incontrato sulla propria strada.
Diversamente, se continueremo a coltivare il rancore, a seminare zizzania, a destabilizzare i rapporti di collaborazione a tutti i livelli, a continuare a nascondersi dietro inconsistenti alibi, a non dire la verità a se stessi, a sfruttare la debolezza degli altri, a coltivare la legge dell’interesse e del profitto a scapito della giustizia e della legalità, a dichiarare il falso pur di avere benefici e consensi vari, ad esercitare il caporalato ledendo la dignità di chi già è povero e bisognoso,… allora non ci sarà nessun Natale.
Non c’è possibilità di scambiarsi gli auguri con chi vive la falsità dell’esistenza. Mancando l’incontro con Gesù Cristo, con Dio che continua a cercare l’uomo, manca la capacità, il desiderio concreto di spogliarsi di tutte le scorie che nascondono la vera identità.
Nonostante tutto, Dio anche se respinto, cerca continuamente l’amato del suo cuore: l’uomo.
Carissimi, fratelli e sorelle, lasciamoci incontrare dalla Parola che si è fatta carne nostra. Viviamo la nostra esistenza consapevoli di non essere soli in questo universo (non mi riferisco agli Ufo): Dio è per noi, è con noi, è in noi.
Ognuno si senta come un anello che indipendentemente dal colore, dalla lingua, dalla nazionalità o dalla religione, deve necessariamente entrare nell’altro per formare una catena capace di abbracciare l’umanità intera. E’ quanto Dio, che si è fatto come noi, ha realizzato per noi, per vivere pienamente la nostra umanità.
Non un semplice augurio, ma a tutti vorrei dire (dai ragazzi ai giovani, dagli adulti agli anziani, dagli ammalati ai sofferenti nello spirito, dai governanti ai politici, dagli imprenditori ai disoccupati, dagli immigrati ai caporali, dagli sfruttati agli sfruttatori):
sarà Natale se tutti, io e voi, saremo capaci di spogliarci delle amarezze che procuriamo e ci lasceremo rivestire dalla tenerezza di Dio.
Santo Natale.
† Don Pino