Con la presentazione del libro “Oltre i cento passi” di Giovanni Impastato, fratello del giornalista e attivista antimafia Peppino ucciso all’età di trent’anni in un attentato mafioso, è stata inaugurata questa sera a Casa Cava, nei Sassi di Matera, la rassegna “Onyx Libro, Presidio del Libro Matera”. A dialogare con l’autore Anna Maria Montinaro e alcuni studenti coinvolti in questo interessante progetto culturale: Raffaella Cipolla, Francesco Contini, Francesco Colucci, Gaetano Esposito. “Oltre i cento passi” è un romanzo pubblicato nel 2017, a distanza di 17 anni dal film “I cento passi”, diretto dal regista Marco Tullio Giordana. Di solito accade il contrario, è un libro ad ispirare un film. Questa volta è accaduto il contrario e le motivazioni le abbiamo chieste all’autore: “L’obiettivo di questo libro è quello di fare giustizia sulla figura di Peppino, nel senso che noi Peppino lo dobbiamo considerare non un eroe, un mito, un’icona ma un punto di riferimento importante sopratutto per le nuove generazioni perchè i giovani hanno bisogno di questo messaggio. Il film ci ha aiutato tantissimo, non c’è ombra di dubbio però nello stesso tempo la figura di Peppino la dobbiamo difendere pure dal film. Perchè in buona fede l’immagine di Peppino non voglio dire che è stata stravolta ma si è data un’immagine diciamo sbagliata: il mito, l’eroe, il piccolo Che Guevara. I miti, gli eroi, vengono immortalati e si ha quell’idea che bisogna smontare che sono irragiungibili e allora noi non possiamo fare niente perchè loro sono eroi e noi possiamo fare mai quello che hanno fatto loro perciò non facciamo nulla, non è così. Noi Peppino lo dobbiamo seguire perchè il suo pensiero è importante, le sue idee politiche, il suo impegno, il fatto di aver operato in un contesto difficile come il nostro ambiente e dobbiamo andare avanti e “Oltre cento passi” racchiude grandi esperienze che abbiamo vissuto in tutti questi anni, in questi ultimi venti anni. Perchè il libro non è un film su Peppino, non è la biografia di Peppino ma la storia di questi ultimi 20 anni dopo il successo del film, incontri memorabili, persone che abbiamo conosciuto sia a casa sia fuori in giro per l’Italia”.
Michele Capolupo
«Non ci sono davvero cento passi per andare da casa di Peppino a quella del boss: si tratta solo di attraversare la strada. La mafia è ancora più vicina di quanto sembra. Eppure quella distanza, anche se minima, segna un abisso tra due mentalità opposte.» E’ questo l’incipit del libro di Giovanni Impastato dedicato a suo fratello Peppino.
È la primavera del 1977 quando Peppino Impastato, insieme a un gruppo di amici, inaugura Radio Aut, una radio libera nel vero senso della parola. Da Cinisi, feudo del boss Tano Badalamenti, e dall’interno di una famiglia mafiosa, Peppino scuote la Sicilia denunciando i reati della mafia e l’omertà dei suoi compaesani. Una voce talmente potente che poco più di un anno dopo, la notte tra l’8 e il 9 maggio, viene fatta tacere per sempre. Ma pure questo è uno degli errori della mafia: pensare corto. Perché, anche se non era scontato, la voce di Peppino da allora non ha mai smesso di parlare, di lottare per la dignità delle persone, di illuminare la strada. È una strada lunga, se si pensa che ancora oggi chi ha depistato le indagini sull’omicidio di Peppino ha fatto carriera, mentre chi invocava la verità non c’è più. Ma è una strada percorsa ormai da migliaia di persone. Per la prima volta, Giovanni, fratello di Peppino, che ne ha raccolto il testimone, fa il punto della situazione delle mafie – e delle antimafie – in Italia, dall’osservatorio di Casa Memoria e del Centro Impastato, da quarantanni in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata. Con le illustrazioni di Vauro.
La storia di Pepppino Impastato
Giuseppe Impastato nacque a Cinisi (Palermo) il 5 gennaio 1948 in una famiglia mafiosa. Il padre Luigi durante il conflitto mondiale aveva trascorso tre anni al confino proprio per il suo coinvolgimento nella malavita organizzata. La madre, Felicia Bartolotta, mostrò sempre ostilità nei confronti delle attività del marito. Peppino fu molto colpito dalla morte dello zio, il boss Cesare Manzella, che nel 1963 fu fatto saltare in aria nella sua auto imbottita di tritolo. Il ragazzo, allora quindicenne, realizzò la vera natura della sua famiglia e il significato dei valori omertosi che il padre gli aveva trasmesso sin dall’infanzia. Per il suo atteggiamento entrò in forte contrasto con il padre, che lo allontanò da casa. Nel 1965 fondò il giornalino “L’Idea socialista”, in cui prese posizione con un duro articolo contro la mafia che la madre, preoccupata per le conseguenze, lo scongiurò di non pubblicare. Aderì al neonato Psiup, Partito Socialista Italiano di Unità Proletariae. Influenzato dal pensiero di Danilo Dolci, partecipò alla sua Marcia della protesta e della pace nel 1967. Dal 1968, l’anno della rivolta studentesca, militava nei gruppi di Nuova Sinistra. Si schierò dalla parte dei contadini le cui terre erano state espropriate per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, ma anche dei lavoratori edili e dei disoccupati. Influenzato anche dalla frequentazione con Mauro Rostagno, nel 1975 costituì il gruppo “Musica e cultura”, che svolgeva attività culturali, punto di riferimento per i ragazzi del paese. Il circolo si occupava di ambiente, di campagne contro il nucleare e di emancipazione femminile attraverso cineforum, musica, teatro, dibattiti. Nel 1977 fondò “Radio Aut”, radio libera autofinanziata, con cui denunciava i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti (da lui beffardamente definito “Tano seduto”), che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto. Il programma più seguito era “Onda pazza”, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici. Nel 1978 si candidò come consigliere comunale nella lista di Democrazia Proletaria e alla vigilia delle elezioni, nella notte tra l’8 e il 9 maggio, venne assassinato. Lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Peppino, a Roma venne rinvenuto anche il corpo del presidente della Dc Aldo Moro. Gli elettori di Cinisi scelsero simbolicamente di indicare il suo nome che risultò quindi tra gli eletti al consiglio comunale. La sua morte fu frettolosamente archiviata come suicidio avvenuto nel corso di un attentato terroristico. Era stata infatti organizzata una messa in scena, e il suo corpo era stato fatto saltare con un carico di tritolo sui binari della ferrovia Trapani-Palermo. Grazie alla tenacia della madre Felicia e del fratello Giovanni, nel 1984 fu riconosciuta la matrice mafiosa dell’omicidio, ma il caso fu archiviato nel 1992 (l’anno del doppio attentato a Falcone e Borsellino). Nel 1994 il Centro di documentazione di Palermo dedicato a Peppino Impastato presentò la richiesta di riapertura del caso, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo di interrogare il nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla cosca mafiosa di Cinisi. Badalamenti fu indicato come il mandante dell’omicidio, successivamente estradato dagli Stati Uniti, e l’11 aprile 2002 fu condannato all’ergastolo.
La fotogallery della presentazione del libro “Oltre i cento passi” di Giovanni Impastato (foto www.SassiLive.it)