Si è tenuta nella serata di martedì 27 marzo la Messa del Crisma presso la cattedrale di Matera. Di seguito il testo dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo di Matera-Irsina mons. Antonio Giuseppe Caiazzo in una chiesa affollatissima e
con il presbiterio diocesano al completo.
Messa crismale – Omelia di S. Ecc. Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo
Carissimi confratelli nell’episcopato, Mons. Michele Scandiffio e Mons. Rocco Favale, confratelli nel sacerdozio, diaconi, religiose e religiosi, popolo santo di Dio, convenuti questa sera per la celebrazione della Messa crismale, “Grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra”.
Stasera siamo riuniti come Gesù e i discepoli nel Cenacolo. Questa Basilica Cattedrale è il Cenacolo nel quale contempliamo l’amore senza limiti di Gesù per noi sacerdoti: “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.
Il Cenacolo stasera è qui, come a Gerusalemme, intriso di presenza divina che, attraverso la potenza dello Spirito Santo, trasforma il pane e il vino in corpo e sangue di Gesù. Scendendo sotto forma di lingue di fuoco, lo Spirito Santo infiamma di entusiasmo e di coraggio gli apostoli, noi sacerdoti, facendoci uscire dal chiuso della paura e della rassegnazione per dialogare col mondo intero, con ogni uomo, in ogni lingua.
Sento di esprimere a voi confratelli nel sacerdozio, l’apprezzamento per il vostro servizio in questa porzione di Chiesa di Matera – Irsina. Vi ringrazio per la vostra testimonianza, spesso faticosa, tra tanti problemi e incomprensioni. Vi ringrazio perché, nel silenzio, esprimete in tanti modi la fedeltà alla vostra missione, annunciando il Vangelo e servendo la Chiesa.
Oggi, più di ieri, la vostra testimonianza diventa preziosa e indispensabile. Viviamo in un momento storico in cui un albero che cade fa molto rumore e procura ferite. Al contrario, non ci si accorge adeguatamente che c’è una foresta che silenziosamente cresce e porta molti frutti. Questa foresta difficilmente apparirà sulle prime pagine dei giornali.
Nel Cenacolo Gesù ha istituito l’Eucaristia e il ministero sacerdotale e ai nuovi sacerdoti ha affidato il memoriale della passione, morte e risurrezione. Contemplando questo luogo, noi sacerdoti siamo invitati a riscoprire quanto abbiamo ricevuto. La pienezza dell’amore di Gesù, Sommo Sacerdote, è stata riversata in ognuno di noi nel giorno dell’ordinazione presbiterale, attraverso l’imposizione delle mani del vescovo e dei presbiteri presenti. Ma c’è stato un altro gesto che ha intriso di profumo le nostre mani e il Cenacolo stesso: l’unzione con il Sacro Crisma che proprio in questa solenne concelebrazione, fra poco, sarà confezionato e consacrato.
In Cristo siamo stati investiti come mediatori tra Dio e gli uomini, con un compito ben preciso: stare in mezzo agli uomini come il pastore in mezzo al gregge. Siamo ministri della Parola, voce di Dio, suoi collaboratori; padri misericordiosi e non giudici dei fratelli a noi affidati, sacerdoti che benedicono con le mani consacrate, curando le ferite dell’anima e provvedendo alle esigenze del corpo.
Dal Cenacolo di questa Basilica Cattedrale, il Signore ci rinnova l’invito ad essere, come Lui ci chiede attraverso il Vescovo, sua presenza al servizio dell’uomo, attraverso l’annuncio della bella notizia del Vangelo. Fortificati dalla discesa dello Spirito Santo si risveglino l’entusiasmo missionario e la disponibilità.
Papa Francesco ebbe a dire lo scorso anno: “Unto dallo Spirito, porta il lieto Annuncio ai poveri. Tutto ciò che Gesù annuncia, e anche noi, sacerdoti, è lieto Annuncio. Gioioso della gioia evangelica: di chi è stato unto nei suoi peccati con l’olio del perdono e unto nel suo carisma con l’olio della missione, per ungere gli altri. E, al pari di Gesù, il sacerdote rende gioioso l’annuncio con tutta la sua persona. Quando predica l’omelia – breve, se possibile – lo fa con la gioia che tocca il cuore della sua gente mediante la Parola con cui il Signore ha toccato lui nella sua preghiera. Come ogni discepolo missionario, il sacerdote rende gioioso l’annuncio con tutto il suo essere. E, d’altra parte, sono proprio i particolari più piccoli – tutti lo abbiamo sperimentato – quelli che meglio contengono e comunicano la gioia: il particolare di chi fa un piccolo passo in più e fa sì che la misericordia trabocchi nelle terre di nessuno; il particolare di chi si decide a concretizzare e fissa giorno e ora dell’incontro; il particolare di chi lascia, con mite disponibilità, che usino il suo tempo…”.
Oggi, in questo Cenacolo, siamo invitati, carissimi, a rimeditare il “dono” e il “mistero” che abbiamo ricevuto. ‘Lo Spirito del Signore è sopra di me’… ‘Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi’. Un dono e un mistero perché Gesù ci ha scelti, comunicandoci il suo stesso Spirito e affidandoci la stessa missione che il Padre affidò a lui.
E sempre in questo Cenacolo, Gesù ci ricorda, attraverso S. Giovanni Paolo II, che cosa l’uomo chiede a noi sacerdoti: “Se si analizzano le attese che l’uomo contemporaneo ha nei confronti del sacerdote, si vedrà che, nel fondo, c’è in lui una sola, grande attesa: egli ha sete di Cristo. Il resto — ciò che serve sul piano economico, sociale, politico — lo può chiedere a tanti altri. Al sacerdote chiede Cristo! E da lui ha diritto di attenderselo innanzitutto mediante l’annuncio della Parola. I presbiteri — insegna il Concilio — «hanno come primo dovere quello di annunziare a tutti il Vangelo di Dio» (Presbyterorum ordinis, 4). Ma l’annuncio mira a far sì che l’uomo incontri Gesù, specie nel mistero eucaristico, cuore pulsante della Chiesa e della vita sacerdotale. E un misterioso, formidabile potere quello che il sacerdote ha nei confronti del Corpo eucaristico di Cristo. In base ad esso egli diventa l’amministratore del bene più grande della Redenzione, perché dona agli uomini il Redentore in persona. Celebrare l’Eucaristia è la funzione più sublime e più sacra di ogni presbitero. E per me, fin dai primi anni del sacerdozio, la celebrazione dell’Eucaristia è stata non soltanto il dovere più sacro, ma soprattutto il bisogno più profondo dell’anima”.
Siamo, dunque, chiamati a dare Gesù Cristo nella sua Parola, soprattutto nell’Eucaristia. Un parroco viene nominato e inviato in una determinata comunità perché in essa deve celebrare l’Eucaristia, tutti i giorni, anche se ci dovesse essere un solo fedele. Siamo chiamati a celebrare la S. Messa nella nostre parrocchie o Rettorie indipendentemente se c’è l’intenzione. Come abbiamo sentito: “Celebrare l’Eucaristia è la funzione più sublime e più sacra di ogni presbitero”.
Sull’altare, sul quale vengono presentati ogni giorno il pane e il vino perché diventino corpo e sangue di Gesù, noi rinnoviamo la nostra offerta come sacrificio gradito a Dio in favore di tutti i fedeli e non solo dei presenti. Quale grande dono il Signore ha fatto alla nostra vita! Noi, come sacerdoti, siamo nati oggi insieme all’eucaristia. Gesù ci ricorda: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,16). E l’autore della lettera agli Ebrei dice: “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati”.
Un dono e un mistero insiti nella scelta dell’essere liberi dalle cose, dai beni materiali per non correre il rischio di diventare schiavi del denaro e dell’avarizia. Liberi per servire a tempo pieno gli altri ed essere disponibili ad accogliere, ascoltare, accompagnare, donando volentieri il proprio tempo. Liberi di obbedire a Dio e alla Chiesa perché quanto ci è stato donato, in virtù di questo essere liberi, venga restituito a Dio. Questa libertà la vogliamo chiamare povertà?
Cerchiamoci e stimiamoci di più. Evitiamo di farci del male, screditandoci gli uni gli altri. Non isoliamoci nelle nostre certezze: facciamo del male a noi stessi e all’intero presbiterio. Non chiudiamoci nelle nostre sofferenze e incomprensioni: apriamo il cuore, mostrando le ferite spirituali e morali, per farci curare, attraverso la grazia sacramentale che Dio ci comunica, da un confratello. Questa apertura vogliamo chiamarla castità?
Il percorso sinodale, che stiamo portando avanti, ci aiuterà certamente a rafforzare tra di noi l’essere presbiterio, ad accrescere tutto l’amore che sentiamo verso l’intero territorio Diocesano. Vogliamo il bene delle nostre comunità per servirle con gioia e rinnovato entusiasmo, ungendole con il profumo dello Spirito Santo. Con il fuoco dello stesso Spirito, che ravviva la fiamma dell’amore, parliamo nel suo nome. Vogliamo chiamarla ubbidienza?
Nella preghiera di ordinazione sacerdotale viene detto: “Ora, o Signore, vieni in aiuto alla nostra debolezza e donaci questi collaboratori di cui abbiamo bisogno per l’esercizio del sacerdozio apostolico. Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del presbiterato. Rinnova in loro l effusione del tuo spirito di santità; adempiano fedelmente, o Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da te ricevuto e con il loro esempio guidino tutti a un integra condotta di vita. Siano degni cooperatori dell’ordine episcopale, perché la parola del vangelo mediante la loro predicazione, con la grazia dello Spirito Santo, fruttifichi nel cuore degli uomini, e raggiunga i confini della terra. Siano insieme con noi fedeli dispensatori dei tuoi misteri, perché il tuo popolo sia rinnovato con il lavacro di rigenerazione e nutrito alla mensa del tuo altare; siano riconciliati i peccatori e i malati ricevano sollievo. Siano uniti a noi, o Signore, nell’implorare la tua misericordia per il popolo a loro affidato e per il mondo intero. Così la moltitudine delle genti, riunita a Cristo, diventi il tuo unico popolo, che avrà il compimento nel tuo regno”.
Durante i due anni del mio ministero episcopale tra voi, carissimi confratelli sacerdoti, ho cercato di conoscervi, condividendo molti momenti comunitariamente e singolarmente. Apprezzo il vostro zelo e il vostro spendervi senza riserve. E’ di grande consolazione e incoraggiamento per me, vedere preti contenti del proprio ministero. Preti che sanno soffrire in silenzio ed offrire ogni cosa per il bene della Chiesa e la santificazione del presbiterio. Mi procura gioia la testimonianza di fedeli contenti della disponibilità all’ascolto del proprio parroco, che tiene la chiesa sempre aperta, sta in mezzo alla propria gente, per condividerne gioie e dolori. Mi procura gioia la testimonianza che date il giorno del vostro insediamento nell’affidamento di un nuovo ministero. Grazie per la vostra obbedienza, grazie perché avete dimostrato di non essere legati a un luogo, a dei volti, ma a Cristo Maestro e Signore. Grazie perché amate tutta la Chiesa.
Vi invito, nello stesso tempo, a pregare e a stare vicini ai confratelli che mostrano segni di stanchezza, a volte sconforto. Stiamo vicini a quanti soffrono e sono malati: Don Mimì Morelli, Mons. Antonio Tortorelli, Don Nicola Tommasini, Don Nicola Colagrande, Don Giovanni Punzi. Il tempo che dedichiamo ad un confratello è prezioso.
Ringraziamo il Signore perché la nostra Chiesa di Matera – Irsina ha dato a quella di Fermo un vescovo: Mons. Rocco Pennacchio; per i confratelli sacerdoti che quest’anno celebrano il 10° anniversario di sacerdozio: Don Gabriele Chiruzzi, Don Donato Di Cuia, Don Nicola Gurrado, Don Giuseppe Manavalan, P. Antonio Monaco; per Don Vincezo Sozzo che ricorda il 50° di sacerdozio e Don Nicola Colagrande il 60°.
Infine sentiamoci particolarmente in comunione con la Chiesa celeste nella quale sono entrati Don Mimì Falcicchio e Don Nicola Di Pasquale.
Concludo con una bella esortazione di S. Giovanni Paolo II: “Restiamo fedeli alla consegna del Cenacolo, al grande dono del Giovedì santo. Celebriamo sempre con fervore la Santa eucaristia. Sostiamo di frequente e prolungatamente in adorazione davanti a Cristo eucaristico. Mettiamoci in qualche modo alla scuola dell’eucaristia. Tanti sacerdoti nel corso dei secoli hanno trovato in essa il conforto promesso da Gesù la sera dell’Ultima Cena, l’alimento per riprendere il cammino dopo ogni scoramento, l’energia interiore, per confermare la propria scelta di fedeltà”.
Camminiamo insieme nella fedeltà, certi di essere accompagnati dalla Beata Vergine Maria, la nostra Madonna della Bruna. Sarà Lei ad aiutarci a vivere da uomini liberi ed essere santi. Viviamo con gioia e non per costrizione la libertà di essere poveri, casti e obbedienti. Liberi, legati a nessuno ma disponibili per tutti. Questo senso di libertà ci farà sentire più uniti a Cristo: è Lui il nostro modello, colui che ascoltiamo e imitiamo. E’ Lui che annunciamo perché presente realmente nell’Eucaristia che quotidianamente celebriamo come se fosse la prima volta, l’ultima volta, l’unica volta.
S. Eufemia, S. Eustachio e San Giovanni da Matera preghino per noi. Così sia.
† Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo