Violenze nell’Istituto Padri Trinitari di Venosa, intervento di Clemente (A.R.S.S.A.B. – Associazione Regionale Strutture Socio Assistenziali della Basilicata): “Tutela dei diritti dei lavoratori o tutela dei diritti dei disabili?” Di seguito la nota integrale inviata alla nostra redazione.
Era l’aprile del 2016 quando furono diffuse le esecrabili immagini dei maltrattamenti, perpetrati ai danni di pazienti, da parte di alcuni operatori del Centro di Riabilitazione Don Uva di Potenza; le indagini, condotte dai Nas, evidenziarono la sistematica violazione di banali norme igieniche, percosse, offese, uso di sistemi di contenzione spregevoli, ai danni di pazienti con disabilità psichica.
Meno di 2 anni dopo, nuove immagini documentano contenuti di impressionante similitudine, in arrivo questa volta dall’istituto Padri Trinitari di Venosa. Di nuovo vili violenze ai danni di soggetti affetti da disabilità psicofisica.
In mezzo il nulla.
Nessuna iniziativa di carattere politico. Nessuna presa di posizione concreta da parte di chicchessia.
Nessun inasprimento dei sistemi di controllo. Solo ondate furiose di dichiarazioni strumentali, tese a mostrare l’inettitudine altrui e non la propria. Silenzio inaccettabile da parte della politica, dice qualcuno. Giusto, condivisibile. Ma non arriva alcun suggerimento costruttivo.
Qualcun altro replica puntando il dito contro il sistema di accreditamento o contro il sistema di assunzioni del personale all’interno delle strutture accreditate. Come se una procedura concorsuale potesse rendere più accettabile l’adozione di tali immonde condotte da parte di chi le pone in essere;
come se norme di accreditamento più severe potessero sostituire i controlli sull’operato quotidiano;
come se simili violenze fossero meno gravi laddove avvenissero in una struttura non accreditata. Sulla questione di merito, si registra per fortuna una presa di posizione seria e netta da parte del responsabile legale dell’istituto, Giancarlo Viglione, che ha disposto il licenziamento immediato dei dipendenti responsabili delle violenze; licenziamento che avrebbe dovuto essere sollecitato
innanzitutto da parte dei sindacati, a tutela dei numerosi e generosi lavoratori del settore, che con professionalità e sacrificio si dedicano al lavoro di assistenza sanitaria e riabilitazione, in ambiti di intervento tanto gravosi e delicati: piccola cosa ci è sembrata la tiepida minaccia di espulsione da questo o quel sindacato di eventuali lavoratori iscritti, coinvolti nell’inchiesta.
La riflessione che si vuole qui proporre vuole andare oltre e arriva da chi, da imprenditore, opera nell’area socio-assistenziale da oltre trent’anni.
Il problema, è verificato, risiede nel sistema dei controlli, che si operi o meno in regime di accreditamento. Quali sarebbero le misure realmente efficaci per evitare atti di violenza? L’intensificazione del pregevole lavoro dei NAS? Certo, ma non sembra sufficiente.
Si osservi che gli episodi o le condotte violente emergono sempre dopo mesi di indagini, scaturite da denunce o segnalazioni; di sovente, l’istallazione di telecamere nascoste, da parte delle forze dell’ordine, risulta essere risolutiva.
Allora, ci si domanda e si domanda come mai non si renda possibile il controllo preventivo, finalizzato ad evitare soprusi e violenze, piuttosto che la condanna dei responsabili a reati commessi.
L’installazione di telecamere di sorveglianza è severamente disciplinata e limitata ad alcuni contesti, vietata in spazi di lavoro. Il principio ispiratore è la tutela della privacy. Ma il rispettabilissimo e sacrosanto diritto alla privacy può avere maggior valore del diritto alla cura e all’integrità morale e psicofisica di persone in evidente condizione di fragilità?
Alla luce dei fatti, emerge che la tutela dei diritti dei lavoratori prevale rispetto alla tutela di pazienti e ospiti delle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali. Chi scrive ritiene che si debba bilanciare tra le due esigenze. Sarebbe utile rivedere le norme contrattuali e regolamentare in maniera adeguata il settore, soprattutto relativamente ai provvedimenti disciplinari, previsti nei CCNL.
Infatti, le attuali sanzioni disciplinari non sembrano poter contenere in nessun modo condotte violente o dispotiche, in assenza di evidenza di reato. Ragionevolezza vorrebbe che il reato fosse evitato, soprattutto se esercitato nei confronti di fasce deboli della popolazione, quali anziani, disabili e bambini (già… quante volte i nostri occhi dovranno ancora vedere immagini di bambini maltrattati
nei luoghi in cui dovrebbero essere educati?).
Non basta estromettere gli iscritti dalle categorie sindacali – affermazione del Segretario Generale CGIL – bensì prevenire ciò che può ledere i diritti degli indifesi, dei più deboli e delle stesse aziende che operano nel settore, le quali di fronte all’opinione pubblica vengono disonorate, segnate in modo indelebile, precludendone ogni possibilità di riscatto, per la pura follia di operatori a dir poco
pericolosi e disumani.
Occorre una riflessione seria, una ponderazione più attenta dei diritti prioritari, un’analisi meno banale, soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali, da cui ci si aspetterebbe una condanna inequivocabile di comportamenti criminosi di lavoratori che non meritano tutela alcuna.
Quindi, al tema: “Tutela dei diritti dei lavoratori o tutela dei diritti dei disabili?”, l’ A.R.S.S.A.B. risponde che bisogna privilegiare i secondi, anche a costo di sacrifica parziale dei primi, perfino attraverso forme estreme, come l’individuazione di nuove norme contrattuali che sanzionino in modo più severo ogni condotta scorretta e consentano di allontanare più facilmente dalle aziende lavoratori
potenzialmente pericolosi per l’utenza fragile: il maggior ricorso a forme di contratto a tempo determinato e la possibilità di utilizzo di telecamere a circuito chiuso sarebbero ottimi deterrenti per operatori malintenzionati.
L’invito per la politica, i sindacati, le associazioni di categoria è di intraprendere un confronto su queste tematiche, che si discosta dai tratti della provocazione ed assume il rilievo della proposta.
Si conclude esprimendo massima solidarietà alle vittime di soprusi e atti violenti, ai loro familiari, agli innumerevoli lavoratori onesti, ingiustamente buttati nel fango mediatico di questi giorni.
Vincenzo Clemente, Presidente Regionale A.R.S.S.A.B. (Associazione Regionale Strutture Socio Assistenziali della Basilicata)
Di seguito la replica del consigliere regionale Giannino Romaniello alla nota di Vincenzo Clemente
Il Clemente, Presidente regionale strutture socio sanitarie assistenziali costruisce tutto un ragionamento il cui fine, senza dirlo tende a giustificare quanto accaduto nella struttura dei padri trinitari di Venosa facendo affermazioni in cui i responsabili sono i politici, i sindacati, i lavoratori. Questi ultimi a parere del Clemente hanno troppi diritti rispetto agli assistiti come se i diritti degli uni sono indirettamente causa dei non diritti degli altri. Una idea in perfetta sintonia con tanti politici e teorizzatori della destrutturazione della legislazione sul lavoroe sui diritti che in questi ultimi anni ha determinato un abbassamento dei diritti sul lavoro, con effetti devastanti sui bisogni degli stessi cittadini. Teorici dell’uguaglianza con meno diritti per tutti.
Non c’è dubbio che le maggiori responsabilità sono in primo luogo di chi quei crimini ha commesso, ma non c’è altrettanto dubbio che sono dei responsabili della struttura che tra l’altro in questo caso pare sapessero dell’andazzo di quanto accadeva, viste le dichiarazioni emerse sulla stampa di chi aveva tentato di evidenziare quanto in alcuni casi aveva avuto sentore di maltrattamenti. Il problema dei controlli sicuramente esiste, ma questo attiene prima di tutto a chi dirige la struttura accreditata oltre a soggetti esterni, l’azienda sanitaria e la stessa struttura regionale dipartimentale. Nella nota si tenta altresì di affermare che il tema delle assunzioni e delle competenze del personale nulla ha a che vedere con i fatti commessi dimenticando che in questo campo c’è bisogno di personale specializzato e non succube di chi in modo clientelare lo ha assunto. Falso, perché tutti sappiamo che quando si è assunti in questo modo si è riconoscenti e quindi sicuramente non si denuncia chi ti ha dato il lavoro.
Il Clemente pertanto piuttosto che prendersela con leggi sulla privacy e le dichiarazioni su quanti hanno giustamente evidenziato la necessità di rivedere le norme su accreditamento e controlli, farebbe bene a pretendere dai suoi associati il rispetto delle regole più elementari nella gestione delle strutture e di far rispettale tutte le leggi, a partire dai contratti sul lavoro. Invito pertanto lo stesso ad avanzare alla politica che critica in modo indistinto ed a cui mi auguro non abbia, ad alcuni, chiesto corsie preferenziali, ad avanzare proposte in grado di valorizzare il ruolo importante che le strutture svolgono in tema di assistenza e nello stesso tempo a meglio regolamentare il sistema dei controlli esterni ed in primo luogo quelli interni responsabilizzando in modo adeguato le varie figure, evitando di difendere chi è indifendibile.
Di seguito la contro-replica di Vincenzo Clemente al Consigliere regionale Giannino Romaniello
Nessuna difesa dell’indifendibile, bensì la difesa degli indifesi
Con riferimento alla nota del Consigliere Regionale Romaniello, si precisa che l’interpretazione dello stesso, in merito alle nostre dichiarazioni circa gli episodi di violenza ai danni di pazienti disabili, risulta essere del tutto strumentale a mediocre polemica, oltre che arbitraria e non pertinente.
Il Presidente Clemente vuole solo mettere al centro dell’attenzione il problema dell’incolumità dei più deboli, senza nessun addebito di responsabilità a politici e sindacati, avendo solo evidenziato il disinteresse della politica verso tali tematiche e la tiepida reazione del sindacato di fronte ad atti di tale gravità.
Nessuna difesa dell’indifendibile, bensì la difesa degli indifesi.
Si rammenta al Consigliere Romaniello che lo scrivente opera da oltre 30 anni nel settore dell’assistenza ad anziani e disabili ed in questo lasso di tempo, ha dato assistenza a decine di miglia di anziani e pagato decine e decine di miglia di stipendi.
Si rammenta altresì che lo stesso scrivente è ritenuto talmente edotto sulla disciplina di settore che il 14/12/2017, in occasione di una sua audizione presso la IV^ Commissione Consiliare Regionale, presente lo stesso Consigliere Romaniello, fu invitato a scrivere una proposta di regolamento delle Residenze Socio-Assistenziali e Socio-Educative.
In attesa di conoscere le riserve di merito alle nostre proposte da parte del Consigliere Romaniello (circa l’ipotesi di installazione di telecamere a circuito chiuso e di introduzione di meccanismi sanzionatori più efficaci, volti ad evitare le violenze e non a punire i colpevoli, dando la possibilità al datore di lavoro di poter agire prima che sia troppo tardi), si resta a disposizione per capire quali associati A.R.S.S.A.B. “violerebbero le regole più elementari nella gestione delle strutture e non rispettano tutte le leggi”, come
da lui affermato.
Spesso in disaccordo con la politica, nel rispetto di molti aspetti richiamati da Vincenzo Clemente, che dimentica ottusamente in un ipotetico quanto auspicato tavolo di confronto la presenza di una rappresentazione dell’Utenza, senza la quale non esisterebbe lui, l’Associazione che presiede, i Centri di Riabilitazione e Socio-assistenziali, ….., (un bel business, occorre ammetterlo), mi trovo a dover dare ragione al consigliere regionale Giannino Romaniello. E’ il Clemente che deve pretendere dai suoi associati (e ciò vale anche per le altre Associazioni di categoria) il rispetto delle regole più elementari nella gestione delle strutture e di far rispettale tutte le leggi, a partire dai contratti sul lavoro, quasi sempre a partita IVA nei Centri che richiedono specializzazioni, come i Centri Riabilitativi, che deve vigilare sul rispetto delle norme sull’ accreditamento, anche ad evitare che l’accreditamento sia passato in eredità al pari di un titolo nobiliare, magari da persone di spessore a inetti e incompetenti, che deve richiedere più risorse dai suoi soci per i controlli, responsabilizzando in modo adeguato le varie figure, soprattutto di management, evitando di difendere chi è indifendibile.