Omaggio ad Angelo De Gubernatis,
che aprì la strada di Valsinni a Benedetto Croce
Il volume, elegante, si avvale di una breve introduzione dell’editore e di una lunga postfazione di Giovanni Caserta, attento studioso di Isabella Morra. Un’iniziativa editoriale che rende merito e giustizia, anzi “vendetta”, ad Angelo De Gubernatis.
Eclettica figura, nato a Torino il 7 aprile 1840 e morto a Roma il 20 febbraio 1913, amico e corrispondente dei più grandi intellettuali del suo tempo, fu affascinato – come scrive Giovanni Caserta nella sua postfazione – dal mistero della vita, ricercato nelle sue scaturigini più lontane e ultime. Ciò lo portò ad interessarsi della religione, e anzi delle religioni, con preferenza per quelle orientali e per l’oriente in genere, ove, per lui come per altri, era la “culla del mondo”. Contemporaneamente e con perfetta coerenza, si occupò di sanscrito, fiabe, favole, tradizioni popolari, magie, popoli primitivi e lontani dal consorzio umano. Di qui la sua attenzione alle figure umane escluse ed emarginate, con particolare attenzione alle donne e alle segrete aspirazioni femminili, puntualmente compresse e represse. Fu in questo ambito che l’autore scoprì Isabella Morra, di cui si erano perse le tracce da almeno due secoli. La scoperta e l’amore per la poetessa nascevano dalla conoscenza, sia pure molto vaga, delle sue tragiche vicende biografiche, cui il De Gubernatis si accostò affascinato e con sicura simpatia umana. Il Croce parlò di questo suo interessamento come di un “quasi paterno affetto doloroso”.
La spinta romantica e l’interesse tutto umano per la vicenda di una donna isolata tra le campagne e le montagne di Valsinni, spinsero il De Gubernatis a rovistare ancor di più nelle pieghe della sua storia. Non potendo disporre di documenti d’archivio, né avendo la possibilità e forse la volontà di cercarne, egli si arrovellò intorno alle liriche della poetessa, cercando un filo conduttore che ne arricchisse il portato esistenziale. Non mancarono, allora, notizie e interpretazioni nuove quanto esatte, affidate più che altro all’intuito e alla sensibilità dello studioso; ma non mancò nemmeno la tendenza a romanzare la vicenda, fino a parlare di “romanzo di una poetessa”. Si registrava anche qualche forzatura, dettata sempre dall’entusiasmo per la scoperta effettuata. E tuttavia, pur fra tanto amore, non vanno sottaciute la grande onestà intellettuale e umiltà del De Gubernatis, che, consapevole dei propri limiti e della difficoltà di accedere, per ragioni anche logistiche, al vasto archivio di Napoli, offrendo una copia del suo breve saggio a Benedetto Croce, vi apponeva la seguente dedica: “A Benedetto Croce, critico gagliardo e penetrante, offre affettuosamente Angelo De Gubernatis, perché vendichi anch’esso la povera vittima”.
De Gubernatis moriva, come si è detto, nel 1913. Benedetto Croce non aveva ancora risposto al suo invito. Però era rimasto lui pure affascinato dalla vicenda umana, poetica e sociale di Isabella Morra. Perciò, quando Raffaello Piccoli, suo amico, anglista e docente dell’Università di Napoli, lo sollecitò ad occuparsi di Isabella Morra, rifacendosi all’invito venutogli dal “buon” De Gubernatis, “onesta e gentile persona”, cominciò a frequentare l’archivio di Stato di Napoli, entrando in possesso di interessanti documenti, ancorché non sempre tali da coprire e colmare tutte le lacune. Nel complesso, tuttavia, la vicenda umana, poetica e sociale di Isabella Morra poteva dirsi, ormai, storicamente chiarita.
Le ricerche erudite e documenti d’archivio, però, non offuscarono mai l’affetto e la “pietas” per una donna, che trovò nella poesia l’unica via per uscire dal dramma della sua solitudine. L’esempio e la lezione di De Gubernatis, cioè, trovavano una ideale continuità in Benedetto Croce, non meno interessato alle “vite di avventure, di fede e di passione” e nemico, per logica conseguenza, di quella che chiamava, con un po’ di stizza, e giustamente, “critica degli scartafacci”.
La quale, come è successo di recente in un saggio di Tobia Toscano, pretendendo di leggere con sottigliezza i testi e facendo dello stirato filologismo, spesso traccia veli tanto sottili – direbbe Dante -, che è facile “trapassar dentro”, cioè perdere di vista la realtà. E’ successo per tal via – scrive ancora Giovanni Caserta – che Isabella Morra, secondo lo studio del Tobia Toscano, sarebbe stata uccisa dai fratelli, per strano gioco del destino, proprio dopo aver difeso la sua purezza contro le “aggressioni” di Diego Sandoval De Castro e dopo aver tentato di convertire alla fede religiosa il suo spasimante. Insomma, una morte paragonabile a quella di santa Maria Goretti.
E invece è certo che, senza la sua simpatia per le anime da “vendicare”, Angelo De Gubernatis non si sarebbe tanto appassionato ad Isabella Morra, aprendo la strada ad una delle più belle “vite di avventure, di fede e di passione” di Benedetto Croce. Se così non fosse stato, Isabella Morra sarebbe ancora sconosciuta e, con essa, sarebbe ancora ignota una delle voci più interessanti della poesia meridionale e italiana del Cinquecento. Sia reso merito, dunque ad Angelo De Gubernatis e alla casa editrice Archivia di Rotondella, che, un secolo dopo, ne ha riproposto il saggio.