Per ricordare il quarantesimo anniversario della scomparsa di Aldo Moro l’attore lucano Ulderico Pesce ha portato in scena a Matera lo spettacolo teatrale “Aldo Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia”, un monologo partorito da un testo del giudice Ferdinando Imposimato, coinvolto nella rappresentazione scenica attraverso un video. Un testo che, come ha ricordato Ulderico Pesce, coinvolge anche Matera perchè proprio nel carcere della città dei Sassi, ubicato all’epoca in piazza San Giovanni, nella sede che oggi ospita mostre ed eventi culturali, il detenuto Salvatore Senatore il 16 febbraio 1978 riferì di aver appreso da compagni di cella la notizia di un imminente rapimento di un grande politico della Democrazia Cristiana, ovvero Aldo Moro.
“Non l’hanno ucciso le Brigate Rosse, Moro e i ragazzi della scorta furono uccisi dallo Stato.” Questa frase è il fulcro dell’azione scenica ed è documentata dalle indagini del giudice Ferdinando Imposimato, titolare dei primi processi sul caso Moro, che nello spettacolo compare in video interagendo con il protagonista e rivelando verità terribili che sono rimaste nascoste per quarant’anni.
Il titolo dello spettacolo è “moro” con la “m” minuscola a voler sottolineare che nel cognome del grande statista c’è la radice del verbo “morire”. Come se la “morte” di Aldo Moro fosse stata “scritta”, fosse cioè necessaria per bloccare il dialogo con i socialcomunisti assecondando i desideri dei conservatori statunitensi e dei grandi petrolieri americani in Italia rappresentati da Giulio Andreotti e Francesco Cossiga che, dopo la morte di Moro, ebbero una folgorante carriera e condannarono l’Italia alla “sudditanza” agli USA.
Moro sente che uomini di primo piano del suo stesso partito “assecondano” la sua morte trincerati dietro “la ragion di Stato” e lo scrive in una delle ultime lettere che fanno da leit motive dello spettacolo: “Il mio sangue ricadrà su di voi, sul partito, sul Paese. Chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato, né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno voluto veramente bene e sono degni di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore”.
Il racconto scenico parte dai fatti del 16 marzo 1978 quando fu rapito Aldo Moro e furono uccisi gli uomini della scorta: Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Oreste Leonardi.
Raffaele Iozzino, unico membro della scorta che prima di morire riuscì a sparare due colpi di pistola contro i terroristi, era di Casola di Napoli e proveniva da una famiglia di contadini. Raffaele, alla Cresima, aveva avuto in regalo dal fratello Ciro un orologio con il cinturino in metallo. Ciro, quella mattina del 16 marzo era a casa e casualmente, grazie al vecchio televisore Mivar, vide l’immagine di un lenzuolo bianco che copriva un corpo morto. Spuntava da sotto al lenzuolo soltanto il braccio con l’orologio della Cresima. Questa è l’immagine emblematica che ricorre più volte nelle video proiezioni, questa immagine è la radice prima del dolore di Ciro, protagonista dello spettacolo. Questo dolore diventa rabbia, e questa rabbia lo spinge a rintracciare il giudice Imposimato titolare del processo al quale chiede di sapere la verità. Sarà il rapporto tra Ciro e il giudice, strutturato su questo forte desiderio di verità, a rendere chiaro al pubblico che la morte di Moro e dei giovani membri della scorta furono è “assecondata” dai più alti esponenti dello Stato italiano con la collaborazione dei Servizi segreti americani.
Nello spettacolo assume una funzione altrettanto importante l’incontro e l’amicizia tra Ciro Iozzino e Adriana, la sorella del poliziotto Francesco Zizzi, altro membro della scorta di Moro, proveniente da Fasano in provincia di Brindisi, che quella mattina del 16 marzo era al suo primo giorno di lavoro sostituendo la guardia titolare che la sera prima, “stranamente”, era stata mandata in ferie. Francesco, diventato da poco poliziotto, aveva una grande passione per la chitarra e cantava le canzoni di Domenico Modugno, pugliese come lui e come lo stesso Aldo Moro che, in macchina, quella mattina, affrontava gli ultimi giorni della sua vita, ascoltando Zizzi che cantava “La Lontananza” di Modugno.
L’ingenuità e la leggerezza dei membri della scorta irrobustiscono la disperata determinazione di Ciro Iozzino nella ricerca della verità. Questa ricerca lo porterà di fronte a molte “stranezze” portate avanti da statisti come Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. Tra le “stranezze” scoperte e denunciate da Ciro Iozzino nello spettacolo ne ricordiamo alcune: in genere un’ora dopo il rapimento di una persona le indagini venivano assegnate, come stabilito dal Codice di procedura penale, al giudice istruttore che a Roma, il giorno in cui avvenne la strage, era Ferdinando Imposimato. Invece le indagini, trasgredendo il Codice, rimangono nelle mani della Procura della Repubblica di Roma che le affida al giudice Imposimato solo il 18 maggio 1978 quando Aldo Moro è già stato ucciso da nove giorni.
Le “stranezze” denunciate nello spettacolo continuano. Il 31 gennaio del 1978, circa due mesi prima del rapimento Moro, nasce l’UCIGOS, un organismo di polizia speciale che va a lavorare alle dipendenze del Ministro dell’Interno che all’epoca era Francesco Cossiga. La famiglia di Iozzino non si spiega come mai nasca una squadra speciale di polizia investigativa senza l’autonomia che la Costituzione gli affida perché alle strette dipendenze di un ministero.
Qualche mese prima della strage di via Fani accade una cosa ancora più inspiegabile, viene smantellato l’Ispettorato antiterrorismo diretto da Santillo che aveva raggiunto risultati eccellenti contro i terroristi e contro la Loggia Massonica P2. Fatto fuori Santillo e la sua “squadra”, a indagare sul terrorismo, prima del rapimento di Moro, rimaneva solo l’UCIGOS, che era alle strette dipendenze del ministro Cossiga.
Chi aveva interessi a cancellare la squadra antiterrorismo di Santillo per fondare una polizia alle strette dipendenze di Cossiga? –si chiede Ciro Iozzino. Altra terribile verità scoperta da Ciro e denunciata nello spettacolo è quella secondo la quale uomini dell’ UCIGOS ad agosto del 1978 erano già stati in via Montalcini n. 8, la prigione di Moro e che il quadro generale dei fatti fosse chiaro a pezzi dello Stato già allora.
La denuncia finale che Ciro Iozzino fa nello spettacolo, e che allontana ogni dubbio sulla partecipazione dello Stato alla condanna a morte di Moro, suffragata da documenti, riguarda le rivelazioni di Pieczenik, un esperto di terrorismo mandato segretamente in Italia dal governo USA per la gestione del caso Moro. Pieczenik fa delle rivelazioni di cui è in possesso il giudice Imposimato e che riportiamo in parte, che diventano un momento importante dello spettacolo e, nel contempo, la rivelazione finale della verità sui mandanti dell’assassinio di Moro: “Quando Moro ha fatto capire attraverso le sue lettere che era sul punto di rivelare dei segreti di Stato e di fare i nomi di coloro che quei segreti detenevano, in quel momento mi sono girato verso Cossiga dicendogli che ci trovavamo a un bivio: se Moro potesse continuare a vivere o dovesse morire con le sue rivelazioni. La decisione di far uccidere Moro non è stata una decisione presa alla leggera. La decisione finale è stata di Cossiga, e presumo anche di Andreotti: Moro doveva morire.”
Al termine dello spettacolo Ulderico Pesce ha ricordato i due “miracoli” che sono stati raggiunti grazie ad alcune iniziative portate avanti con il giudice Ferdinando Imposimato sulla vicenda di Aldo Moro. Quella lapide che ricordava lo statista e gli uomini della sua scorta non è più a terra ma è stata posizionata in modo decoroso in via Fani, la richiesta di mettere sotto inchiesta Steve Pieczenik, psichiatra, scrittore, editore e pianista statunitense che ha raggiunto notorietà internazionale per il suo coinvolgimento nel caso Moro in qualità di funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, è stata accolta e adesso si punta al terzo miracolo. Far si che tutti gli atti secretati sul caso Moro vengano resi pubblici. In realtà durante il Governo Renzi il senatore Gero Grassi ha svolto un grande lavoro in tal senso visto che la metà degli atti segretati oggi sono diventati pubblici ma c’è ancora tanto da fare e per raggiungere l’obiettivo Ulderico Pesce ha invitato il pubblico a sottoscrivere la petizione su Moro aperta sul suo sito www.uldericopesce.it . Il prossimo appuntamento con il teatro di Ulderico Pesce è il 24 giugno a Matera per raccontare storie e vicende di personaggi che hanno incrociato la storia materana come Togliatti e De Gasperi, la ribellione della città di Matera all’oppressione nazifascista e i fatti registrati a San Mauro Forte, dove ci fu un’insurrezione popolare contro i fascisti. Tutte vicende che vogliono esaltare la storia di Matera capitale europea del mondo contadino meridionale. Nel 2019 Ulderico Pesce porterà invece un altro spettacolo a San Paolo Albanese, paese lucano dove ancora oggi vivono 8 donne che sono arrivate dall’Albania e vestono ancora oggi i costumi della cultura arbereshe,
Michele Capolupo