Festa della Bruna a Matera. Intorno alle 11 è partita la Santa Messa nella Cattedrale di Matera in onore di Maria Santissima dlela Bruna, concelebrata dall’Arcivescovo materano Monsignor Rocco Pennacchio, da Monsignor Pino Caiazzo e dal presbiterio diocesano.
Al termine della Santa Messa le autorità civili e religiose hanno raggiunto la chiesa della Madonna del Riscatto per prendere in consegna la statua della Madonna della Bruna ed avviare la processione con la Sacra Immagine di Maria Santissima della Bruna verso la Parrocchia Maria Santissima Annunziata nel quartiere Piccianello, dove si è conclusa la prima parte dei festeggiamenti in onore della patrona di Matera. Hanno partecipato alla cerimonia il sindaco di Matera Raffaello De Ruggieri, in carrozza insieme al presidente dell’associazione Maria Santissima della Bruna, Mimì Andrisani, l’assessore regionale Luca Braia, il consigliere regionale Achille Spada, il presidente della Provincia di Matera, Francesco De Giacomo, l’assessore regionale Ernesto Bocchetta e il consigliere comunale Gaspare L’Episcopia. Due delle carrozze che hanno sfilato per la processione mattutina sono state concesse dalla Masseria Pantaleone.
Michele Capolupo
Il Magnificat (Lc 1, 36-56)
Di seguito il testo dell’omelia di Mons. Rocco Pennacchio alla Santa Messa della Cattedrale
All’Annunciazione, Maria non aveva richiesto un “segnale stradale” che confermasse la sua gravidanza. L’invito dell’angelo a rallegrarsi per la presenza del Signore rassicurò Maria sulla verità della parola ricevuta.
Posto tra l’Annunciazione e la nascita di Gesù, il Magnificat è un inno gioioso che nasce dalla consapevolezza della vicinanza del Signore nella storia e nella vita personale. Due donne sono protagoniste, con due inni di lode in cui si incontrano l’ispirazione di Dio e la sensibilità tutta femminile di vedere ed intuire la storia.
Anche noi, che oggi celebriamo la nostra Patrona, meditando questo Vangelo siamo certi della vicinanza del Signore. Anche ad ognuno di noi, l’angelo dice: “Il Signore è con te”. E poiché l’anelito di ogni uomo di ogni tempo è di vivere in pienezza, siamo certi che questo sarà possibile solo alla presenza di Dio: Maria ci accompagnerà in questo cammino.
Spinta dallo Spirito Santo, Ella crede all’annuncio e “si muove in fretta”: il Signore che ha in grembo si manifesta nei segni che dissemina nella storia. E il segno è la gravidanza di sua cugina. Elisabetta, a sua volta, intuisce subito la scelta misteriosa di cui la sua giovane parente è stata oggetto; si rallegra con Maria che ha creduto e le predice la gloria che gliene verrà.
La prima beatitudine che registra il Vangelo è, quindi, per la madre di Gesù e segnala quel che in lei è stato decisivo: la sua disponibilità radicale ad accogliere l’iniziativa di Dio, un “Eccomi” che né lei né alcun altro avrebbero mai potuto immaginare dove l’avrebbe potuta condurre. Il “sussulto” di Giovanni fa a sua volta esultare di lode Elisabetta che confessa per prima Cristo (“la madre del mio Signore”), accolto in grembo da Maria.
Il primo dato, allora, è muoversi. Il nostro Arcivescovo ha sottolineato questa dimensione della vita cristiana nell’introduzione all’opuscolo del programma della Festa. Anche la nostra vita è posta, come Maria, tra promessa e compimento ma se non ci muoviamo – e in fretta – non riusciamo a scorgere la presenza di Dio, né ad annunciarlo. Non si tratta semplicemente di mettere in cantiere iniziative, né di opere da costruire ma innanzitutto di uscire fuori dal torpore delle nostre precomprensioni, dei nostri pregiudizi, della nostra idea di Chiesa nel mondo, sempre a rischio di intimismo e di evasione dalle sue responsabilità. Ci si può muovere anche solo con lo sguardo, col discernimento comunitario, con una parola appropriata, con un gesto di accoglienza e di perdono. Come non interrogarsi oggi, per esempio, sulle storie disperate dei migranti, respinti in mare con la prospettiva quasi certa di morire? Il Signore potrebbe averli posti sulla nostra strada per compiere ancora oggi la sua Visitazione verso di noi. Per questi popoli in cammino, a nostra volta potremmo essere noi il Signore che si affianca e cammina insieme a loro per sollevarli dallo scoraggiamento e dallo sfinimento. Certo, non solo i migranti ci parlano di Dio, anche se Gesù, nel giudizio finale ci sfida a riconoscerlo in loro e il papa li definisce la carne sofferente di Cristo. Muoversi ed accogliere sono due atteggiamenti che sicuramente ci fanno incontrare il Signore. Il percorso del Sinodo che la chiesa locale di Matera-Irsina sta vivendo aiuti a riscoprire le rinnovate presenze di Dio nella nostra storia.
Maria, alla luce di ciò che vede compiersi nella storia di Elisabetta, comprende che la sua esperienza di Dio è vera. Celebra le meraviglie che il Signore ha compiuto in lei, proietta la sua mente al di sopra di se stessa, fissa lo sguardo alla luce e si mette al cospetto di Dio. La lode di Maria contempla le promesse fatte ad Abramo e l’azione potente di Dio che nella storia stende di generazione in generazione la sua misericordia, compassione viscerale, apertura del cuore. Come accade in Maria, la lode nasce dal vedere che, senza nostro merito, il Signore compie attraverso di noi molto più di quanto possiamo prevedere, a condizione che ne sentiamo la vicinanza. Del resto, sperimentiamo un’infinita tristezza quando ci allontaniamo da lui, quando per gioire cerchiamo altre vie. La gioia che il mondo propone è passeggera perché ci rallegra per un momento… Non lasciamoci ingannare da promesse di benessere e di pace che nascono da chiusure: sono destinate a generare tristezza. E poi: chi l’ha detto che è sufficiente non avere problemi per essere felici? La gioia del cristiano è “dentro”, nella grazia che la sua anima ha in Dio. Essa è compatibile col dolore, con la malattia, con le contrarietà, con le difficoltà di accogliere, integrare e condividere. Nulla è più anticristiano della chiusura, nulla è più autenticamente cristiano della gioia: se Cristo, che si rispecchia nel volto dell’Altro ne è l’oggetto, la gioia è contagiosa e chi ci sta vicino ne resta colpito. Nasce la gioia quando sperimentiamo la sua misericordia ricevuta e donata ma occorre essere umili: chi è troppo occupato di sé difficilmente si aprirà alla presenza di Cristo. Chi invece accoglie sperimenta misericordia, gioia, umiltà… atteggiamenti indispensabili per riconoscere il Signore vicino. Non si tratta di una predisposizione dell’animo, esse vanno tradotte in gesti concreti, come ci ha ricordato San Paolo nella seconda lettura: “Non siate pigri nel compiere il bene… siate premurosi nell’ospitalità”.
Maria comincia a vedere la storia con gli occhi di Dio, che può ribaltare la situazione politica (saranno invertiti i rapporti di forza tra potenti e deboli) e sociale (ribaltate le condizioni del benessere). Il nuovo ordine è un inno a nome di tutti i poveri: questo farà il servo di JHWH, a questo sono chiamati i suoi discepoli. La storia che Dio costruisce non passa per la logica del potere, della ricchezza, delle pretese umane di costruire o di comandare la storia; passa invece per le vie più assurde, ad esempio la nascita del Figlio di Dio per il seno di una donna vergine, un crocifisso che porta la salvezza al mondo, una tomba che si spalanca e vince la morte, un grido di aiuto ascoltato ed accolto.
Siamo inseriti in una storia di benedizione che, nella fede, possiamo far progredire o no. Dio è imprevedibile, sconvolge i piani dell’uomo: abbiamo il dovere di comprendere quando le azioni di Dio incontrano le deviazioni umane e agire di conseguenza, muovendoci in fretta, imparando ad interpretare la storia con gli occhi di Dio per innestare in essa piccoli segni di cambiamento nella direzione auspicata dal Magnificat.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente; lasciamo che ancora oggi, nella nostra Chiesa, nella nostra città, il Signore continui a compiere grandi cose, a realizzare storie di accoglienza, di prossimità, di vicinato, un’eredità di cui andiamo fieri ma che non può essere semplicemente citata come esperienza del passato.
La nostra diocesi, la nostra città, “Civitas Mariae”, da tempo sono impegnate in iniziative che tante persone di buona volontà portano avanti con gioia e senza clamore. Elisabetta – diremo nel Prefazio – riconobbe la madre del suo Signore nel premuroso gesto di carità di Maria; allo stesso modo, i nostri segni di carità dicono l’incarnazione di Dio in mezzo al suo popolo e sono il modo più efficace per portare agli altri il Signore Gesù.
I valori umani di cui siamo orgogliosi, la storia millenaria che ci precede e ci accompagna, ci spingano ad attivarci sempre di più perché Matera diventi veramente capitale di un nuovo umanesimo, di una nuova cultura.
La fotogallery della processione dalla Cattedrale a Piccianello (foto www.SassiLive.it)
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