Giovedì 5 luglio 2018 alle ore 18 presso la Biblioteca Provinciale Stigliani di Matera nell’ambito della Rassegna letteraria “Tre giorni di…versi”, organizzata dall’associazione Matera Poesia 1995, sarà presentata la terza raccolta di poesie “Io Accado” della poetessa e docente materana Antonella Radogna. Interverranno il vicesindaco Nico Trombetta, Maria A. D’Agostino pres. di Matera Poesia 95, i poeti e scrittori Dante Maffia e Davide Rondoni e l’attore Mimì Orlandi.
Di seguito riportiamo la recensione del testo realizzata dal Prof. Carmine Chiodo, Docente di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea all’Università Tor Vergata di Roma.
Dopo il fortunato libro Paesaggio liquido, che si è imposto all’attenzione della Giuria del Premio Farina vincendo all’unanimità, Antonella Radogna, che è docente presso il Liceo Classico-Artistico “Duni-Levi” di Matera, dà alle stampe un testo che si impone immediatamente innanzi tutto per il titolo. “Io accado”, cioè io ci sono per caso. Io avvengo, almeno a stare a ciò che i dizionari ci dicono. Dunque Antonella arriva a noi per caso, inaspettata, non programmata, quindi libera di agire a proprio piacimento, libera di muoversi, restare immobile, scardinare gli eventi, polverizzarli o renderli piacevolezza.
Come dovrebbe essere la poesia, cioè un accadere inimmaginabile, impensato, improvviso che arriva fuori dalle assuefazioni, dalle norme, dalle registrazioni, quali che siano.
Pedante ma necessaria spiegazione, la mia, per cercare di entrare in questo libro che si annuncia, fin dai primi versi, fibrillante: “La mia dimora / è sull’orlo d’un precipizio / di una terra / dove il familiare inquieta. / Dove la verità è mutevole, / inganna / e turba il gesto quotidiano”.
Quindi Antonella esiste ma posta in una dimora sull’orlo d’un precipizio, precaria al punto che un qualsiasi soffio di vento più forte del solito potrebbe spingerla nel baratro, sfracellarla e cancellarla. E il fatto che questa precarietà si incolli addosso al lettore, lo pone scomodo, teso, e lo fa sentire un fuscello che da un momento all’altro potrebbe essere travolto.
Da qui il “tutto” che “accade come un miraggio / che si fa carne e sangue / di desiderio”.
L’atmosfera non muta al punto che poi “l’ombra illuminerà la luce” e le voci saranno “liquide” e parleranno di “arcaici crateri / di misteri inesplorati”.
Non voglio annoiare con un’analisi dettagliata che disegna comunque un percorso complesso fino al mollare degli ormeggi (com’è detto in “Partenza”), ma almeno sottolineare che si tratta di una poesia di forte intensità espressiva nell’economia della quale contano le singole parole, le singole espressioni e le metafore nate da una miriade di singolari catarsi che, nell’insieme, danno l’idea di una gimcana di esperienze brucianti e che solo miracolosamente sono riuscite a prendere il largo, a salvarsi dall’annientamento.
La Radogna ha la mano salda, è poetessa a tutto tondo e sa risparmiare al punto giusto il suo vocabolario, senza mai diventare avara. Il suo “fare” mi pare che consista nell’analizzare ciò che vive e si rigenera al suo interno e attorno a sé per amalgamarlo poi nel momento in cui ha necessità di non restare al passo.
Sono stato affascinato moltissimo dagli incipit: “Troppe volte ho bevuto / il calice amaro / del dolore”; “Ti ucciderò, lo prometto, / se mai avrò il sospetto / che le tue parole non vengano / dal cuore”; “Non si sa quando, / ma un giorno accade”; “Abitare poeticamente il mondo”; “Sei la felicità e il suo contrario”, e se è vero, come sostiene Apollinaire (ma prima e dopo di lui tanti altri) che un incipit è la prova del nove della bellezza poetica, non c’è dubbio che Antonella Radogna sia nel giusto. Ma lo è anche per la forza con cui sa condurre il verso fino alle conclusioni che ritiene siano condensazione della sua verità.
Insomma, si tratta di una poesia corroborata da una forte tempra umana e culturale di rara efficacia. Nella Radogna non c’è nulla di improvvisato, come a dire che il suo “accadere” è invece frutto di esercizio assiduo, di lavoro e di scavo.
Del resto non si raggiungono esiti così alti come quelli che si riscontrano in “Io accado” se non si è passati dentro le forche caudine di letture infinite e di lotte continue fatte con i classici. Una poesia così è l’affermazione che le Muse ancora hanno da dire tanto al mondo e fanno bene a servirsi di voci così sicure, di azioni poetiche così autentiche.