Sabato 28 luglio 2018 nel Castello del Malconsiglio di Miglionico l’artista Vera Portatadino aprirà uno studio all’interno del Castello del Malconsiglio e nello stesso luogo sarà allestita una mostra dal titolo Atelier del Sud con alcune sue opere.
Il 4 agosto ci sarà l’evento finale “Open Studio” per raccontare l’esperienza ai cittadini e conoscere da vicino la ricerca della pittrice.
La terza edizione di BAR, curata da Francesca D’Aria, è promossada Spazio Estesoe realizzata con il patrocinio del Comune di Miglionico, in collaborazione con SeRestate a Miglionico 2018 e Generazione Lucana.L’artista Vera Portatadino avrà a disposizione uno studio all’interno del Castello del Malconsiglio, dimora storica (VIII – XI secolo), aperta alla pittrice anche per una mostra personale dal titolo Atelier del Sud.
Il paese si configura come uno sconfinato bar nel quale poter conoscere, esplorare, farsi ispirare, entrare in relazione con i cittadini e laloro tradizione, così da ampliare la possibilità di confronto e scambio tra il pubblico e i fenomeni delle produzioni artistiche contemporanee. Miglionico è un luogo di tradizione figurativa, testimone di ricerche di astisti locali e custode di importanti e raffinate opere d’arte conservate nelle chiese, quali il polittico di Cima da Conegliano, e permeato di un’elegante architettura sacra e civile. Questo territorio diventa occasione per lavorare a un progetto comune non solo creativo, ma anche sociale e antropologico, nel quale il paese stessodiventa un museo aperto, sia per l’ideazione e la fruizione delle opere, sia per l’attivazione di un dialogo tra artista e cittadinanza, possibile attraverso giornate di open studio e dibattiti,occasione per creare reti e scambi culturali nell’ottica di una promozione del patrimonio paesaggistico-culturale del luogo, anche in relazione alla futura centralità di Matera Capitale Europea della Cultura 2019.
Il lavoro pittorico di Vera Portatadino sarà protagonista di una mostra fruibile per tutta la durata della residenza. Atelier del Sud è un progetto utopico nato nel 1888 ad Arles e mai realizzato da Vincent Van Gogh che desiderava ardentemente aprire un circolo per pittori all’interno della Maison Jaune nella quale abitava. Una comunità di menti vivaci pronta a condividere il linguaggio figurativo senza restrizioni, trovando nei colori della Provenza le ragioni di una pittura trascinante e sperimentale lontana dalla frenesia della vita parigina. L’arte, per Vincent, era un esercizio di osservazione, non solo dedicato alla mimesi personale della realtà ma votatoad un’esplorazione più profonda. Così come Arles era zona di confine e di luce per Van Gogh, il piccolo comune lucano è terra lontana dai grandi centri, landa assolatae desolataper chilometri dove scorgere di tanto in tanto una struttura abbandonata, un altarino, un villaggio defilato. Questa condizione urbana e paesaggistica si lega ed accoglie l’elegante lavoro artistico della pittrice, capace di una ricerca raffinata ed arcaica dei pigmenti, definita da una rappresentazione certosina dei soggetti. Le tele sono eco di una cultura medievale di terra fiamminga e italiana, lenti di ingrandimento per la contemplazione di particolari apparentemente effimeri che l’artista accumula nel suo immaginariogiorno dopo giorno.Lo studio delle nature morte si presenta vitale come quadri di figura, in questi piccoli oggettii dettagli vivono di vita propria e interpretano la complessità del mondo tangibile con estrema pulizia formale. Le opere nascono da stratificazioni pittoriche e assemblage di oggetti trovati per caso, reperti archeologici della quotidianità esposti come reliquie sulla tela. Nell’analisidi questi quadri tornano alla mente le scelte iconografiche di alcuni manufatti del XV e XVI secolo, nei quali il dettaglio, spesso nascosto, svela la ragione iconologica del soggetto: nonostante siano quasi invisibili, sono proprio i piccoli fiori e i fruttiad essere allegorie di unmessaggio simbolico rivelatore; anche qui è proprio la minuzia a margine dello sguardo ad essere centrale e a questa si fa riferimento per cogliere il senso più alto delle cose. E ancora la scelta di una dimensione ridotta fa pensarealle icone bizantine,manufatti facili da spostare al fine di non interrompere il dialogo domestico con il proprietario. Allo stesso modo le opere selezionate richiedono un’attenta osservazione in qualità di scrigno di una realtà in miniatura, e come le tavole lignee si offrono ad una devozione quasi privata, condividendo con esse il valore per il particolare, che non è mai puramente decorativo.Nella ricerca di Vera Portatadino le nature morte, oggetti fisici e contemplativi della pittura, sono contemporanei Floresmicant,come li definiva Federico Borromeo nel suoMusaeum ma dal sapore laico, con i quali dialogare in modo intimo e silente.