Prima di esprimere soddisfazione e cantare vittoria su mafia, camorra e ndrangheta, per il numero, sicuramente consistente, di arresti avvenuti nel giro di un anno, il Ministro dell’Interno Salvini e quello alla Giustizia Bonafede farebbero bene a verificare cosa fanno nuovi e vecchi detenuti nelle carceri italiane perché i problemi di sicurezza, a quanto ci risulta, sono solo spostati dentro gli istituti penitenziari italiani.
Ad affermarlo è il segretario generale del S.PP. (Sindacato Polizia Penitenziaria) Aldo Di Giacomo che aggiunge: a costo di essere considerato controcorrente, non me la sento di condividere il troppo facile entusiasmo basato esclusivamente su numeri e statistiche. Intanto – sostiene – ci sono mafiosi che hanno preferito finire in carcere perché soprattutto in Sicilia la feroce lotta scatenata dalla morte di Totò Riina sta provocando una guerra tra cosche e capimafia per la successione che mette a rischio la vita di tanti capi mandamento e persino di latitanti che sfuggono alla ricerca delle forze dell’ordine ma non sfuggono alle cosche rivali. E poi come testimonia il continuo ritrovamento nelle celle anche di carceri di massima sicurezza gli ordini ai clan si possono comodamente impartire dalle celle.
Per Di Giacomo inoltre i nuovi arresti determinano un carico di lavoro per il personale di polizia penitenziaria ampiamente sotto organico in tutti gli istituti di pena e un’ulteriore situazione di stress.
Non vorremmo che gli arresti servano esclusivamente a tacitare le coscienze di chi ha responsabilità dell’ordine pubblico fuori e dentro le carceri per accreditare una situazione che è tutt’altro che rassicurante.
Ago 18