Segnaliamo una riflessione di Gianni Fabbris pubblicata sul suo blog personale sulla vicenda degli arresti per mafia nel Metapontino.
Fabbris offre la sua visione del problema mafia in Basilicata e ricostruisce alcuni passaggi che lo hanno visto protagonista nello scontro con l’inerzia delle istituzioni che per anni hanno negato il problema continuando, al contrario, a declamare il modello Basilicata Isola felice.
Nello scritto si da conto di una serie di episodi fra cui quello dell’audizione alla Commissione Antimafia disertata dalla dott.ssa Gravina, paladina del fronte che negava qualsiasi problema; si legge, fra l’altro: “Per le organizzazioni professionali agricole il problema mafia non esisteva. Coldiretti, Cia, Confagricoltura e il Distretto Agroalimentare del Metapontino sostenevano che i propri iscritti non riferivano nulla, dunque non doveva esserci nulla. Gli unici che denunciammo l’avanzare della mafia fummo io e Don Marcello Cozzi che intervenimmo più volte descrivendo particolari e illustrando i fatti. Ricordo in particolare una frase che feci mettere a verbale denunciando l’assenza di indagini serie: “Se cerchi la Mafia nel Metapontino e in Basilicata come se la cercassi a Casal di Principe o a Corleone, allora due sono le possibilità: o non sai fare il tuo mestiere o non vuoi fare il tuo mestiere”.
DI SEGUITO L’INTERVENTO INTEGRALE
Se non vogliamo cadere dalla padella alla brace, è ora che la politica buona faccia un passo avanti e rioccupi lo spazio di quella vecchia, prima che le bande armate si stabiliscano definitivamente a casa nostra e nelle nostre menti.
Nei giorni precedenti era stata incendiata l’ennesima azienda agricola e io, come facevo da tempo denunciando l’intreccio fra crisi economica, usura, vendite all’asta, racket e criminalità, avevo ancora una volta chiesto conto del “perché” la procura della Repubblica di Matera, invece di perseguire i responsabili, continuava a sostenere che fossero “cortocircuiti” e a non fare indagini. I giornali ne avevano dato, ancora una volta, ampiamente conto.
Nel pieno del tavolo istituzionale venivo apertamente accusato dal Prefetto di diffondere, insieme a “qualche prete”, notizie false che danneggiavano il territorio parlando di mafia nel Metapontino.
Fu scontro col Prefetto e con alcuni sindaci (si distinse per la virulenza dell’attacco nei miei confronti l’allora sindaco di Policoro, Rocco Leone) che mi accusavano apertamente di “Demagogia e strumentalità” perché il Metapontino non era quello della crisi e dell’avanzare della Mafia che io denunciavo.
Un passaggio mi colpi particolarmente; quando ricordai al Prefetto che persino il Ministro degli interni nella sua relazione annuale al Parlamento aveva sostenuto che “l’aumento della criminalità in Basilicata e i rischi di penetrazione mafiosa erano legati a due circostanze: i ritardi con cui si elargivano gli indennizzi agli alluvionati e l’azione del trust commerciale sui prodotti agricoli”, il Prefetto alzò le spalle e disse: “Quella è politica, si sa come si fa!”.
Io, pur abituato a mille battaglie, rimasi turbato e mi interrogai su cosa stesse accadendo dal momento che percepii quella riunione come una intimidazione nei miei confronti e nei confronti di quanti come me denunciavano la situazione e di quei giornalisti liberi che ne parlavano apertamente.
Non lo sapevo ancora ma, evidentemente, il Prefetto era a conoscenza che stava per arrivare la Commissione Antimafia preoccupata per la situazione; infatti la mattina dopo fui formalmente invitato per conto della Presidente Rosy Bindi all’audizione che qualche giorno dopo avrebbe tenuto a Matera presso la Prefettura.
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L’audizione ebbe dell’incredibile. Per le forze dell’ordine e il Prefetto stesso, tutto era sotto controllo e non c’era da preoccuparsi, la Procuratrice della Repubblica di Matera non si presentò nemmeno mandando una sua sostituta che disse “Io non mi occupo di mafia, sono qui perché ero di servizio e mi hanno chiesto di venire ma non so proprio di cosa si parla”.
Per le organizzazioni professionali agricole il problema mafia non esisteva. Coldiretti, Cia, Confagricoltura e il Distretto Agroalimentare del Metapontino sostenevano che i propri iscritti non riferivano nulla, dunque non doveva esserci nulla.
Gli unici che denunciammo l’avanzare della Mafia fummo io e Don Marcello Cozzi che intervenimmo più volte descrivendo particolari e illustrando i fatti.
Ricordo in particolare una frase che feci mettere a verbale denunciando l’assenza di indagini serie: “Se cerchi la Mafia nel Metapontino e in Basilicata come se la cercassi a Casal di Principe o a Corleone, allora due sono le possibilità: o non sai fare il tuo mestiere o non vuoi fare il tuo mestiere”.
Pagai caro quei passaggi. La Dott.ssa Gravina (Procuratrice della Repubblica di Matera) che io avevo avuto modo più volte di criticare, qualche mese dopo chiese il mio arresto dopo aver esibito alla Commissione Antimafia (dove fu costretta a recarsi per essere ascoltata a Roma) un dossier su di me accusandomi di essere un sovversivo e criminale.
Ma, col senno di poi ed alla luce di quanto sta accadendo con gli arresti nel Metapontino per Mafia, quattro anni dopo quelle denunce, è lecito chiedersi perché sia passato tutto questo tempo prima che la magistratura e le istituzioni intervenissero e, soprattutto, perché hanno negato prima con tanta arroganza il venire avanti del fenomeno e l’intreccio fra crisi economica e istituzionale e penetrazione della criminalità organizzata.
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Ho un’idea sulla questione “mafia” in Basilicata per cui, sintetizzando alla grande, mi sembra divisa in due fasi distinte:
– una prima che è durata decenni (fino a qualche anno fa) in cui la Basilicata non ha conosciuto eclatanti episodi di violenza mafiosa (al netto del ciclo violento e di omicidi di Montescaglioso e altri episodi limitati e circoscritti) non perché la Mafia non ci fosse ma perché qui ha assunto una forma assolutamente inedita nel panorama italiano possibile per un accordo di non belligeranza garantito dalla politica
– una seconda (in cui siamo) che coincide con la crisi istituzionale e del modello “Lucania Isola Felice”, con la politica che si ritrae, il patto che sfuma e la mafia militare che avanza al suo posto nel controllo del territorio.
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Questa Regione, terra di confine fra territori di vecchia storia mafiosa come la Campania, la Calabria, la Puglia, avrebbe potuto essere terreno di scontro militare fra queste diverse mafie che avrebbero dovuto contendersi il territorio e le aree di influenza; se ciò non è accaduto (o almeno non ne abbiamo avuto contezza), è perché, evidentemente, fra di loro c’è stata una sorta di “pace territoriale”, un “accordo di non belligeranza” che, fondamentalmente, ha retto per tanti anni (io penso fino a una decina di anni fa).
Gli accordi (espliciti con la controfirma in calce o taciti per “convenienza oggettiva”) hanno un presupposto imprescindibile: occorrono garanzie e garanti. I garanti, per offrire garanzie credibili, devono essere autorevoli, forti e affidabili.
Cosa c’è stato di più certo, autorevole, forte e affidabile nei decenni scorsi in Basilicata che non la classe dirigente politica che ha governato le istituzioni? Cosa di più “professionale” nel controllo del territorio e dei processi economici?
E cosa c’è di più sicuro che non il flusso enorme di finanziamenti pubblici che le sono passati fra le mani da usare come “bastone e carota” per imporre la pace? Cosa c’è di più certo della stabilità assicurata da un ceto politico che, pur avendo mantenuto una intera regione in povertà per decenni, è riuscita a distribuire prebende e ad assicurare affari tali da garantire al tempo stesso il consenso largo dei più con il voto e le mani libere ad ogni genere di avventurieri?
Lo hanno chiamato “Sistema Basilicata”, vendendolo come un sistema senza Mafie (come se la Mafia fosse solo quella che spara, appunto). Un sistema che ha cooptato tutti quelli che servivano (oppositori politici, professionisti, tecnici, informazione …. ) e che riduceva all’impotenza ed alla marginalità fino all’esclusione gli irriducibili e le voci libere.
Un sistema che non ammetteva di essere contraddetto fino ad arrivare a minacciare, intimidire, isolare qualsiasi tentativo di “guardare oltre” o, se si preferisce, dentro; un sistema che ha pervaso la società non solo “in basso” ma anche “in alto” arruolando un esercito di compiacenti funzionari, tecnocrati fin dentro le procure e i tribunali dove il “sistema” è riuscito per lungo tempo a garantirsi l’ignavia arrivando, nei fatti, ad addormentare, a silenziare e a disinnescare indagini e iniziative investigative o, adirittura, a usarle e orientarle strumentalmente.
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Lo sa bene, per esempio, Luigi Demagistris che quando era magistrato, con l’indagine Toghe Lucane e il sequestro di Marinagri a Policoro, è arrivato ad un passo dallo scoperchiare il pentolone osando perseguire il “presunto comitato d’affari che avrebbe operato in Basilicata con la complicità di politici, magistrati, professionisti e imprenditori”. Sappiamo come finì a quel tempo quell’indagine. Demagistris fu fermato e, probabilmente anche per quello, pagò il prezzo di un forte tentativo di isolamento e, anche se aveva visto giusto, quegli interessi (contraddetti solo per un breve tempo) si ricomposero velocemente.
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Lo sanno bene i Carabinieri di Policoro che cercavano di indagare su “amministratori in carica” e le altre forze dell’ordine che si videro notificare da parte del Procuratore della Repubblica di Matera una circolare in cui si imponeva che le indagini su esponenti “istituzionali” dovevano essere preventivamente comunicate al Procuratore stesso vanificando, così, la giurisprudenza, le regole di legge e costituzionali che impongono l’obbligatorietà dell’azione investigativa in presenza di notizie di reato.
Durante gli anni in cui ho più volte denunciato l’inerzia della Procura della Repubblica di Matera che continuava a considerare cortocircuiti e fuocherelli l’escaletion di incendi e intimidazioni in danno delle aziende agricole del Metapontino mi è capitato più volte di raccogliere lo sfogo di investigatori che mi raccontavano della loro frustrazione e del clima persino di intimidazione nei confronti di chi cercava di fare il proprio lavoro. Cose tipo: “Tu non sai che pena! Noi facciamo le segnalazioni di fatti di cui veniamo a conoscenza che coinvolgono “personaggi eccellenti” o possibili notizie su fatti di criminalità organizzata e ci aspettiamo di avere l’incarico per approfondire indagini e invece niente, veniamo usati per fare relazioni su fatti di corna e tradimenti fra coniugi. Professionalmente umiliante. Alla fine rinunciamo”
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Quando Bray, l’ex Procuratore antimafia di Potenza, fu ascoltato dalla Commissione Antimafia nella stessa audizione a Roma in cui la Procuratrice della Repubblica di Matera (la sua collega Celestina Gravina) fu chiamata a spiegare perché non faceva indagini sui fatti di mafia (la stessa audizione in cui per discolparsi la Dott.ssa Gravina tirò fuori il dossier su di me che la criticavo pubblicamente), sostenne (più o meno) “certo che la Mafia nel Metapontino si sta organizzando. Noi abbiamo più volte segnalato alla Procura della Repubblica di Matera le circostane e richiesto le autorizzazione ad indagini delicate su fatti di mafia ma la Procura della Repubblica di Matera ha sempre fatto cadere le accuse per reati associativi rendendo, cosi, impossibile ricorrere a strumenti di indagine fondamentali come le intercettazioni e vanificando, nei fatti, la possibilità di raggiungere gli obiettivi investigativi”. Il fatto che in quella audizione (tre anni fa) il Procuratore Antimafia di Potenza nominasse con nome e cognome l’ “ex carabiniere” che aveva in dotazione Kalashnikov e lo indicasse come il “capo” sul territorio (quello Schettino arrestato in questi giorni) lascia capire che fin da allora il quadro della conoscenza su come stava penetrando la Mafia “militare” sul territorio era già noto agli inquirenti che avessero voluto vedere quanto stava accadendo e avessero voluto intervenire.
Invece la Procuratrice della Repubblica di Matera ha preferito, evidentemente, usare il suo tempo e i soldi pubblici in altro modo perseguendo altri reati gravissimi come lo spaccio di spinelli fra ragazzini o pericolosissimi delinquenti come quel Gianni Fabbris di cui ha chiesto l’arresto accusandolo di “rapina aggravata e estersione aggravata” per le iniziative in difesa delle aziende agricole oggetto di sciacallaggio sociale.
Il tentativo di intimidirci (e con noi di intimidire quanti denunciavano e resistevano) è fallito ed è stato il canto del cigno di un equilibrio morente.
Abbiamo saputo fare da soli anche grazie al sostegno di tanta parte della società lucana e senza ricorrere ai “padrini politici di riferimento” da dui ci guardammo bene (Matera esprimeva a quel tempo due autorevoli personaggi politici: l’on.le Filippo Bubbico del PD, viceministro degli interni e l’Avv. Nicola Buccico, principe del foro e già componente in quota Forza Italia del CSM) anche perché non siamo abituati a passare per le forche caudine e coltiviamo da tempo i sani principi dell’autonomia come base dell’azione sindacale (il viceministro degli interni se avesse voluto avrebbe potuto intervenire di sua sponte, per esempio).
Io, dopo essere stato costretto agli arresti domiciliari accusato di “rapina aggravata” e “estorsione aggravata” sono stato pienamente assolto e la Procuratrice della Repubblica di Matera è stata trasferita (con un provvedimento disciplinare del CSM), a Matera c’è un nuovo Procuratore e, grazie agli arresti di questi giorni si certifica, finalmente, che nel Metapontino c’è la Mafia (quella che incendia, che spara, che ricatta, che ha un’organizzazione militare). Ma quanti anni si sono persi? Per quanto tempo le mafie militari, indisturbate, si sono organizzate nel controllo del territorio e dei traffici? Quanto consenso sociale hanno saputo costruire mentre la politica si ritraeva e perdeva il suo controllo sociale? Di quanto hanno potuto penetrare?
All’indomani di uno degli incendi a Scanzano in cui era stato colpito il deposito di un commerciante del Nord che operava nel territorio, uno di quelli che imponevano e impongono le dure leggi del trust commerciale che “cannibalizza” le risorse e sfrutta il lavoro, nei bar ho raccolto frasi tipo “finalmente cosi capiranno questi bastardi che vengono a sfruttarci”.
Una politica che non vede la crisi, anzi la nega, anzi la favorisce non ha strumenti e non ha legittimità per parlare di contrasto alle mafie.
Del resto è proprio per questo deficit di credibilità morale che non ha nemmeno più “l’autorevolezza e la forza” di garantire nulla a nessuno, figuriamoci alle mafie.
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Gli arresti di questi giorni nel Metapontino per associazione mafiosa ci dicono che qualcosa sta cambiando, che un equilibrio del passato si è rotto, che la cappa di piombo che impediva alle istituzioni di agire si è lacerata, che la demagogia del “Modello Lucano, isola felice” non riesce più a coprire né il venire avanti della crisi né i rischi che le mafie organizzate si impadroniscano del territorio giocando le armi di sempre: usura, racket, estorsioni, intreccio con le speculazioni finanziarie illecite, trust delle vendite all’asta, droga, controllo delle filiere agroalimentari con prezzi da strozzo.
Ma il tempo è decisivo
Occhio: in questi giorni ho il sentore inquietante che delle persone arrestate si dica “in fondo che male hanno fatto? Si! Ci venivano a chiedere una cassetta di frutta, magari qualche soldo ma sono brava gente che quando gli chiedevi un favore lo facevano”.
In fondo prima, quando il controllo politico ed elettorale era ferreo, chiedevi al politico di turno la raccomandazione, se oggi la politica non ti garantisce più, a qualcuno si dovrà pure chiedere.
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Facciamo presto prima che “l’eccezione diventi regola” e la pace mafiosa sostituisca il controllo del vecchio sistema di potere politico. Facciamo presto perché in politica il vuoto non esiste e gli spazi sono di chi li occupa.
Le prossime elezioni regionali saranno un buon banco di prova e, forse, riuscirà l’impresa di dare vita dal basso a una soggettività nuova, plurale e articolata, non ideologica ma fortemente ancorata a questa terra ed ai suoi bisogni. Se l’impresa riuscirà sarà, comunque, anche perché avrà saputo declinare l’alternativa alla crisi sociale, ambientale e di democrazia di questa terra del Sud e avrà saputo portare nella politica e nelle istituzioni l’impegno antimafia. Ad ogni modo uno dei metri che userò per misurare la credibilità politica delle proposte elettorali sarà guardare a quanto chiaro e forte sarà la qualità delle proposte antimafia per la Basilicata ormai non più isola felice e di quanto saranno credibili gli impegni di chi li propone!