Rapporto Svimez 2018, Flovilla (vice presidente nazionale FederAnisap): “Due Italie anche nella sanità”. Di seguito la nota integrale inviata alla nostra redazione.
Il recente rapporto Svimez 2018 certifica che esistono due Italie anche nella sanità: nel Mezzogiorno l’intero comparto sanitario presenta livelli di prestazioni che sono al di sotto dello standard minimo nazionale, come dimostra la griglia dei Livelli Essenziali di Assistenza e non solo nelle regioni sottoposte a Piano di rientro (Molise, Puglia, Sicilia, Calabria e Campania). Numeri e dati, in verità non nuovi,dimostrano come il gap tra il Nord e Sud del Paese sia ben lungi dall’essere colmato. E infatti “la soddisfazione per l’assistenza sanitaria e, in particolare ospedaliera, nel Mezzogiorno è molto più bassa che nel resto del Paese: appena il 27% delle persone si dichiara soddisfatto dell’assistenza medica al Sud, a fronte del 44,6% del Centro-Nord”.
E poi c’è il grande tema dell’emigrazione sanitaria. “I dati sulla mobilità ospedaliera interregionale sono la fotografia più chiara delle carenze del sistema ospedaliero meridionale, soprattutto in alcuni specifici campi di specializzazione, e della lunghezza dei tempi di attesa per i ricoveri. Il saldo netto di ricoveri extra-regionali dalle regioni meridionali ha raggiunto nel 2016 le 114 mila unità, con la conseguenza di un cospicuo trasferimento di risorse dal Sud verso Nord”.Inoltre, i lunghi tempi di attesa per le prestazioni specialistiche e ambulatoriali è anche alla base della crescita della spesa sostenuta dalle famiglie, con il conseguente impatto negativo sui redditi.
Strettamente collegato a ciò è il fenomeno della cosiddetta “povertà sanitaria”, secondo il quale si verifica sempre più frequentemente, soprattutto nel Mezzogiorno, che l’insorgere di patologie gravi costituisca una delle cause di impoverimento delle famiglie: “in Italia, nel 2015, l’1,4%% delle famiglie italiane si è impoverito nel 2015 per sostenere le spese sanitarie non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale”.
Inoltre, il Rapporto evidenzia i rischi del nuovo progetto di regionalismo differenziato. “L’avvio del “regionalismo a geometria variabile” – si legge nel Rapporto – che il governo asseconda, allarma la SVIMEZ, perché va ben oltre il federalismo fiscale della riforma del titolo V della Costituzione, tradotto nel 2009 nella mai applicata legge Calderoli. Quest’ultima si ispira a un Federalismo Fiscale basato sul principio di equità orizzontale che legittima l’azione redistributiva e perequativa di uno Stato come l’Italia che è Federale ma Unitario, e non Confederale”.
Il primo motivo di preoccupazione per la SVIMEZ è “che occorre fare chiarezza sulla ripartizione delle funzioni tra Stato e Regioni se saranno accolte le proposte di Lombardia, Veneto ed Emilia – Romagna, alle quali si stanno accodando anche altre Regioni del Centro-Nord, tendenti a ottenere forme di autonomia rafforzata. Fin dai primi accordi istituzionali sottoscritti non si è diradata la nebbia su come si dovranno esercitare i poteri dei diversi livelli di governo. Secondo la SVIMEZ, per alcuni beni e funzioni, quali la sanità e l’istruzione, è necessario che siano definiti chiaramente i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, da garantire con uniformità su tutto il territorio nazionale. Invece, alcune Regioni del Nord si chiamano di fatto fuori dal sistema di perequazione nazionale, con riferimento sia alle dotazioni infrastrutturali che ai diritti di cittadinanza, mentre spetta allo Stato la scelta di determinare, insieme alle Regioni, i livelli essenziali di bisogni da soddisfare.
Dunque la nuova sanità, soprattutto al Sud dove il gap con la sanità del Nord è ancora marcato, dal nostro punto di vista, ha bisogno di una seria e realistica riconversione del ruolo e delle funzioni dell’esistente, con precisa indicazione delle strutture e dei territori coinvolti. E’ condivisibile in particolare l’indicazione di realizzare una rete tra regioni limitrofe che devono poter lavorare su progetti condivisi, in modo da concentrare in pochi chilometri strutture sanitarie altamente specializzate
Il nodo centrale resta il riordino dei Sistemi Sanitari Regionali chenon si può limitare ad adeguare l’assetto strutturale ed organizzativo agli standard qualitativi e di sostenibilità economico-finanziaria, mediante interventi di promozione della produttività e dell’efficienza delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale, al fine di garantire l’erogazione dei LEA. Tale riforma nella sostanza vorrebbe definire la governance senza interventi concreti sulle questioni aperte.
Si continua pertanto a disconoscere che il modello di cura lineare – il paziente si rivolge prima al medico di famiglia, poi allo specialista, poi all’ospedale e se ne ha ancora bisogno al centro di eccellenza – ha fatto il suo tempo. Quello cui invece bisogna pensare sono percorsi di cura integrati che puntino a riabilitare il paziente e insieme a contenere l’insorgere di altre patologie.
Tutto ciò perdurando nell’atteggiamento di ignorare del tutto il ruolo da assegnare al privato accreditato e lo spazio da riservare alla libera iniziativa. L’idea di una sua possibile integrazione a pieno titolo nel sistema pubblico di erogazione dei servizi e prestazioni sanitarie, di un suo possibile coinvolgimento nella riduzione delle liste di attesa e nella capacità di agire sul territorio per sopperire alle tante carenze del sistema pubblico, non viene nemmeno sfiorata.
Sullo sfondo per noi resta il ruolo centrale della sanità distrettuale protagonista della rivoluzione copernicana in fieri per dare la migliore assistenza al minor costo. Il distretto è fondamentale per garantire continuità di cure nel post ospedaliero, nel governare la zona di confine tra assistenza sanitaria e sostegno sociale, per definire percorsi omogenei di cura, organizzare le cure domiciliari, ridurre le diseguaglianze e assolvere agli impegni sui nuovi Lea.