Ancora una mostra fuori regione per il fotografo materano Michele Morelli. Dopo la prestigiosa vetrina a Stoccarda – dove terminerà il 7 dicembre “Matera, Paesaggi dell’Uomo” – dall’ 8 dicembre 2018 al 31 gennaio 2019 due suoi lavori saranno presenti a Fanano (Modena) presso le Cantine degli Scolopi.
Si tratta di “Si sta come le foglie” e “Matera e le sue cave di tufo” con, rispettivamente, 25 e 15 opere. L’esposizione è organizzata da “Fanano è Ufficio Turistico”, “Fanano Incontri d’Arte e Cultura” in collaborazione con Comune di Fanano, Comune di Modena, Simposio Internazionale di Scultura su Pietra e Arti Visive Gallery Matera e col patrocinio morale di Matera-Basilicata 2019
Nei suggestivi scatti di Morelli due soggetti insoliti ma carichi di significati: le foglie – metafore perfette dell’esistenza umana, come già osservò Omero – e gli scenari maestosi delle cave di tufo rese ancora più imponenti dall’obiettivo del fotografo che ne ha esaltato i contrasti.
Morelli, fotografo professionista, è da tempo impegnato nella valorizzazione del territorio e dei suoi aspetti antropologici. Ha collaborato a numerosi progetti insieme ad altri artisti nel campo dell’arte contemporanea, musica e cinema, nonché in progetti editoriali di vario tipo tra cui la pubblicazione di alcuni volumi fotografici su Matera. Sue fotografie sono inserite in periodici e riviste specializzate nazionali. Ha esposto in varie città italiane e all’estero. Le sue foto raccontano il paesaggio urbano, la materia (colori, forme, contrasti), il territorio in tutti i suoi aspetti.
Nelle cave di tufo la memoria del pianeta
Qui c’era il mare. Adesso, sotto il peso del tempo, quella massa di acqua si è pietrificata. Si è trasformata in natura carsica, severa, decisamente matrigna. Ma, a modo suo, è materia ancora viva. Le abitazioni del centro storico sono costruite con questa pietra docile. Una materia che respira e tramanda a futura memoria l’epopea di infinite distese di alghe, immensi banchi corallini lentamente emersi e, poi, tagliati in blocchi ben squadrati, faticosamente sottratti al sottosuolo per dare forma ad ardite costruzioni capaci di sfidare nei secoli la forza di gravità. Il tutto senza neppure l’ombra di uno schizzo di cemento.
Oltre gli archi e le eleganti volute, al di là del paesaggio urbanizzato, lungo i tranquilli rilievi grigio-verdi della Murgia, di colpo fanno la loro apparizione enormi pareti tagliate perpendicolarmente. Affondano nel terreno in un impressionante moto di discontinuità geometrica e cromatica.
Al primo impatto visivo, superato il contrasto abbagliante con il paesaggio circostante, dentro le cave si avverte la vertigine di uno spazio improvviso, più grande delle piazze e più alto delle abitazioni edificate nella vicina città. Sale un’emozione che diventa indescrivibile quando si cerca di leggere su quella matrice antica la sequenza dei gesti misurati impressi da anonimi cavamonti. Si scivola verso lo spaesamento allucinato se poi si prova a cogliere i respiri profondi ritmati dai colpi di piccone e imprigionati per sempre nei solchi del tufo.
Attraversare l’instabile silenzio di una cava, adattarsi gradualmente al lucore delle sue intimità esposte all’ossidazione naturale, è come essere risucchiati in un’altra dimensione, dove diventa possibile mettersi all’ascolto degli intimi ingranaggi che regolano l’universo. Esperienza unica: si sottrae ad uno stato di subalternità chi si commuove al cospetto di un simile spettacolo. Ma non si eleva più di tanto se in qualche modo non muove le sue pur deboli forze per impedire che queste testimonianze, autentici monumenti/documenti dell’infanzia del nostro globo terracqueo, degradino fino all’umiliazione che le consegna alla tragica sorte di mute discariche.
Negli anni Cinquanta anche nelle cave furono ritrovate a più riprese ossa di mammiferi particolarmente grandi e difficilmente attribuibili a specie conosciute dei nostri tempi. Prove di cetacei intrappolati nella notte dei tempi nella calcarenite, l’acqua del mare, ora pietrificata, testimone dell’ultimo canto di quelle balene affidato alla nostra sensibilità nelle registrazioni incise sul tufo: sono lì, basta riavvolgere il nastro della memoria per condividere la loro remota e struggente bellezza.
Pasquale Doria, Giornalista Gazzetta del Mezzogiorno, direttore della rivista “Mathera”
Si sta come le foglie
Le foglie cadute, per alcuni, sono protagoniste effimere di un’epica silenziosa, per altri, a partire già da Omero, sono metafore perfette dell’umana esistenza.
Ognuna ha vissuto e vive il tempo che le spetta, ciascuna assolve ad un preciso compito per poi consegnarsi ad un “sacrificio” inevitabile, che soggiace a regole non scritte ma non per questo meno cogenti.
Sono queste solo alcune delle riflessioni che scaturiscono dalla visione delle foto di Michele Morelli raccolte in questa mostra dal titolo…..
Attraverso l’uso di un linguaggio espressivo diretto e immediato, fatto di immagini semplici solo in apparenza ma in realtà ricercate, complesse e mai improvvisate o casuali che partono sempre e comunque da un’idea progettuale, di “costruzione” della visione secondo una precisa impostazione ed un vero e proprio “metodo di lavoro” che ne caratterizzano da sempre la personale cifra stilistica ed artistica, l’autore riesce nell’intento di avvicinare la sensibilità dell’osservatore alla propria, di condurre l’osservatore in prossimità del proprio mondo interiore.
Le fotografie esposte producono, in chi guarda, l’effetto di “rallentare” il tempo, premessa necessaria per chi voglia soffermarsi ad ascoltare con attenzione la “voce” delle foglie, a decifrare i messaggi che portano con sé e che rimandano inevitabilmente a tematiche esistenziali e di senso se è vero, come scrive Tonino Guerra, che “vivere è un respiro che sta chiuso anche in una foglia”.
Franco Di Pede, artista, direttore Arti visive gallery di Matera