Al cospetto di un gremito Auditorium Antonianum di Roma, comprensivo di una folta delegazione lucana, il coordinatore nazionale di Articolo Uno- Mdp, Roberto Speranza, ha svolto un applaudito intervento nell’ambito della manifestazione nazionale #Ricostruzione. l’iniziativa politica aperta per costruire una nuova sinistra ed un’alternativa di governo alle destre. Di seguito il testo integrale inviato alla nostra redazione.
Grazie a tutti per essere qui. La vostra presenza straordinaria è la prima fondamentale mattonella per quella ricostruzione di cui c’è molto bisogno. Abbiamo scelto la parola giusta, ne sono convinto. Bisogna ricostruire tutto perché tutto è cambiato in pochi mesi. Nel mondo, in Europa, in Italia. Nell’economia, nella società, nella politica. Serve un discorso nuovo e soprattutto un pensiero nuovo per riattrezzare la Sinistra in questo tempo e organizzare un’alternativa alle destre nel nostro Paese.
Il primo messaggio di fondo di questa giornata è che non ci arrendiamo. Non ci rassegniamo. Vogliamo batterci per rialzare le nostre bandiere e costruire l’alternativa. Abbiamo scelto di aprire con tre relazioni esterne di importanti personalità che voglio sinceramente ringraziare proprio per questa ragione. Oggi nessuno basta a se stesso. E serve, nel profondo, rimettere tutto in discussione. Servono idee, esperienze ed energie nuove. Serve aprire porte e finestre. Qui e ora.
Partiamo da un dato, semplice ed inequivocabile: Quello che c’è nel nostro campo non basta, non è sufficiente. Come si fa non vederlo? Sigle vecchie e nuove, personalità di generi e generazioni diverse, piccole storie con più o meno senso, si intrecciano e si sovrappongono, ma vogliamo capirlo o no che serve davvero andare oltre e costruire qualcosa di nuovo? Qualcosa che ancora non c’è. Noi siamo pronti. Ci rimettiamo oggi in cammino e ci rimettiamo in discussione senza paura e con il massimo di determinazione. E voglio dirlo subito. Non ci fermeremo più. Abbiamo aspettato sin troppo. Vogliamo dare al Paese quella forza della sinistra e del lavoro, ecologista e socialista, che ancora manca. Basta aspettare e basta evocare leadership esterne a cui affidare la nostra rappresentanza. Abbiamo già dato. Con risultati deludenti.
Ma partiamo dai fondamentali. Una sinistra nuova nascerà solo se avrà il coraggio di un pensiero nuovo capace di leggere questo tempo. Non è un problema solo italiano. Sono profondamente colpito dal voto in Andalusia. È una delle regioni storicamente più di Sinistra d’Europa, ha una vicenda politica simile all’Emilia o alla Toscana. Per la prima volta alle elezioni regionali di pochi giorni fa i partiti di destra superano quelli di sinistra e nel parlamentino andaluso entra una forza di estrema destra. La Spagna è uscita dal franchismo nel 1975. È una democrazia giovane che dovrebbe avere anticorpi molto forti. Non si può mettere la testa sotto la sabbia e sottovalutare quello che sta accadendo.
C’è una nuova destra che avanza in tutto il mondo. Da Trump a Bolsonaro, dalla Andalusia alla Germania. Salvini è dentro questa onda. È una destra diversa da quella che abbiamo conosciuto in passato. Non più una destra delle libertà, ma una destra della protezione che raccoglie quell’angoscia sociale crescente a cui i partiti classici non riescono più a rispondere. Questa destra si radica e si diffonde dove la sinistra ha smesso di rappresentare l’ansia di riscatto di chi è rimasto indietro. Nelle periferie, nei luoghi del disagio, trai ceti medi impoveriti, nella bolla dei lavori precari e senza rappresentanza, emerge sempre più forte una legittima domanda di protezione. La sinistra è stata incapace di ascoltarla e di capirla. Quel mondo si è voltato dalla nostra parte e non ci ha trovato. Eravamo con la testa altrove. Se ne sono accorti, e hanno cercato altri capaci di rappresentarli o quantomeno di sintonizzarsi con le loro paure.
Per questo, per ripartire e costruire un’alternativa a questa destra, serve cambiare nel profondo. Non è questione di una leadership, di un simbolo o di un’alleanza. Si tratta, prima di tutto, di ridefinire un pensiero politico, una visione compiuta della società. Non basta una formula organizzativa o politicista. Serve molto di più. Ed è quello che noi vogliamo provare a fare.
Per molti anni la sinistra è stata subalterna al neoliberismo. Dalla caduta del muro di Berlino in poi, durante la fase espansiva della globalizzazione, la sinistra ha accresciuto a dismisura la sua fiducia nel mercato e nella sua capacità di generare ricchezza e felicità, rinunciando, un po’ alla volta, alla sua visione del mondo. Immaginando che bastasse assecondare gli spiriti animali del mercato e aggiustare di tanto in tanto le esternalità negative che venivano prodotte. Così la sinistra ha smarrito la sua anima e perso la sua gente. Una studiosa americana, Nancy Fraser ha parlato di “neoliberismo progressista”. È apparentemente un ossimoro. In realtà racconta bene il cuore delle politiche di molti governi progressisti degli ultimi anni: la difesa dei diritti sacrosanti delle minoranze è stata portata avanti dentro la sostanziale accettazione del mainstream del mercato senza regole e dello stato minimo.
Per ripartire serve archiviare definitivamente questa stagione di subalternità e proporre un nuovo pensiero socialista, neosocialismo ha scritto in un bel libro Gigi Agostini, ecosocialismo, come capacità di immaginare e costruire un mondo nuovo sostenibile ed egualitario. L’economia circolare è la chiave per la sostenibilità ed il completamento di quella riconversione ecologica ormai indispensabile per salvare il nostro pianeta. Il socialismo resta la prospettiva per una società in cui eguaglianza e libertà si tengano assieme e in cui la democrazia possa esercitarsi realmente fuori dall’egemonia dei mercati e della finanza.
La premessa ad ogni opzione organizzativa, anche in Italia, è una grande svolta culturale. Di questo noi dobbiamo essere protagonisti. È questo che ancora non si vede nel campo democratico e progressista dopo la sconfitta del 4 marzo. Una nuova forza rosso verde, un nuovo grande partito della sinistra e del lavoro nascerà solo dentro una revisione profonda della cultura politica e del pensiero. Si tratta di ridiscutere il capitalismo di oggi, di pensare ad un nuovo ruolo dello stato, di interrogarsi sulla fase regressiva della democrazia e del suo rapporto con le nuove tecnologie in un tempo in cui la rete non solo fotografa ma orienta consumi e comportamenti elettorali. Si tratta di ripensare la globalizzazione e suoi effetti sulla vita materiale di milioni di persone.
Lo stesso disegno europeo va declinato dentro questo nuovo impianto culturale. Difendere acriticamente l’Europa di oggi non ha senso. È un favore a chi l’Europa vuole abbatterla. Serve una riforma radicale su almeno due assi tra loro connessi: democrazia e politiche economiche. La democrazia e la partecipazione dal basso alle decisioni sono la chiave per riavvicinare istituzioni e comunità. Non possiamo o non vedere la domanda legittima di sovranità, di poter contare e incidere soprattutto in un momento in cui peggiorano le condizioni materiali di troppe persone. Cambiare le politiche economiche è fondamentale per far ripartire la crescita e ridurre le diseguaglianze. Su questi temi mi sembra molto apprezzabile il manifesto per la democratizzazione dell’Europa promosso da Piketty che credo noi tutti dovremmo sostenere. È utile perché riconosce il problema democratico e quello sociale e perché prova ad indicare risposte tracciando una nuova idea di europeismo sociale e democratico.
L’Italia di oggi è dentro questo mondo nuovo. Non siamo un’isola lontana e sperduta. Il voto del 4 marzo ha elementi di continuità con i principali fenomeni sociali ed
elettorali che si palesano in giro per l’Europa e per il mondo. Dalla vittoria di Trump alla Brexit, dalle elezioni brasiliane alle ultime tornate nei paesi europei o ancora la rivolta dei gilet gialli in Francia. Il governo gialloverde è dentro questo quadro. Eppure c’è una differenza sostanziale. Questa prospettiva non era inevitabile. Ci sono precise responsabilità politiche.
È stato un errore storico aver favorito la saldatura tra lega e cinque stelle. Oggi il quadro lo vediamo tutti con chiarezza. La lega sta egemonizzando i 5 stelle sempre più relegati al ruolo di servo sciocco. È il classico vaso di coccio tra i vasi di ferro. Un movimento in cui c’è dentro tutto e il contrario di tutto messo al servizio della destra lepenista.
Si è visto in modo particolare sul decreto sicurezza, un testo manifesto della peggiore destra europea, che violenta alcuni fondamentali principi costituzionali e avrà effetti di maggiore irregolarità e insicurezza. In quel passaggio tutta la destra italiana si è unita, ai voti di Salvini si sono aggiunti quelli di Berlusconi e Meloni. E i 5 stelle sono rimasti lì a fare da tappetino. Eppure qualcosa al loro interno si è mosso. Nell’elettorato soprattutto, ma anche dentro i gruppi parlamentari. È chiaro che sono sempre più compromessi dal rapporto con la lega. Ma noi dobbiamo continuare a sfidarli. Non rassegnarci a questa saldatura. Un’alternativa in Italia agli assetti di potere di oggi si potrà costruire solo dentro una scomposizione delle forze politiche oggi in campo. Io credo che la faglia destra/ sinistra prima o poi emergerà anche dentro i 5 stelle.
Le difficoltà nel governo aumenteranno nei prossimi mesi. Lo stiamo vedendo in queste ore complicate di discussione attorno alla legge di bilancio. Lega e 5 stelle hanno interessi fondamentali divergenti e sarà sempre più difficile tenerli assieme. La trattativa fallimentare con una commissione europea che pure appare sempre meno difendibile, le scelte di merito tutte legate alla prossima prospettiva elettorale sono il segno di una debolezza che prima o poi scaturirà in una crisi di governo.
Noi dobbiamo farci trovare pronti. E lavorare per costruire quell’alternativa che ancora manca. Dobbiamo coltivare un orizzonte politico di alternativa alle destre. Questa è la nostra priorità. Non possiamo rassegnarci all’idea che Salvini sia il dominus della politica italiana per i prossimi anni. Per farlo serve un pensiero nuovo, come ho già detto, e serve un’iniziativa politica forte. Un’iniziativa della sinistra nei confronti del Movimento 5 Stelle come ho provato ad indicare e un’iniziativa politica anche verso il Partito Democratico che è ormai alla fine del suo ciclo storico.
Siamo stati chiari e netti nei nostri documenti sin dal giorno dopo il 4 marzo. Il Pd è figlio di un tempo che non’è più, di una stagione politica ormai superata. Non c’è più il bipolarismo nel nostro Paese che aveva oggettivamente favorito l’aggregazione tra socialisti e liberal-democratici, e non siamo più nella fase espansiva della globalizzazione in cui la sinistra, in tutto il mondo, è stata subalterna al neoliberismo. Sono venute a mancare le ragioni storiche per cui è nato il Pd. Non so quali saranno i tempi, ma a me pare chiaro che siamo dentro un processo ormai inarrestabile. E mi pare che la discussione attorno al loro congresso sia un’altra prova molto chiara di ciò che sta avvenendo.
Per queste ragioni sono sciocche, misere e in malafede le voci di chi dice che abbiamo intenzione di rientrare in questo Pd. Ma quello che avviene in quel campo ci interessa perché li, in un modo o nell’altro, si libereranno presto energie per conseguire quello che è il nostro obiettivo, la costruzione di una nuova forza della sinistra e del lavoro, capace di disegnare l’orizzonte dell’alternativa alla destra.
Nei momenti di difficoltà e nelle fasi di cambiamento come quella che stiamo vivendo, bisogna farsi guidare dalla politica e provare a leggere le grandi dinamiche, guai a farsi guidare da piccole schermaglie o dalle polemiche quotidiane, non ci interessano. Abbiamo perso tanto in questi anni, dentro la più grande crisi planetaria della sinistra. Non senza nostre dirette responsabilità che dobbiamo saper riconoscere, io
personalmente mi assumo tutte le mie per la funzione che ho rivestito. Quel che ci resta e che non possiamo disperdere è la credibilità di una cultura politica, di una storia con radici ben piantate. Su questo non possono esserci sbandamenti o sbavature. Ricominciamo a costruire a partire dai fondamentali. Per questa ragione di fondo ho detto subito no alla ipotesi della costruzione dell’ennesimo cartello della sinistra antagonista che ha l’unico obiettivo di superare il quorum alle prossime elezioni europee. Ho rispetto per chi pensa che quella sia l’opzione giusta e non mancherà mai da parte nostra la disponibilità al dialogo e al confronto. Ma quella non è la nostra strada, non siamo nati per fare testimonianza, noi vogliamo essere l’innesco per costruire il campo dell’alternativa nel nostro Paese.
Per noi Leu ha sempre avuto questo segno è questo obiettivo. Oggi le differenze politiche e l’impossibilità di costruire reali percorsi democratici ci impongono di metterci in cammino con tutti coloro che condividono questa prospettiva politica.
Il campo dell’alternativa e per la costruzione di una nuova sinistra è più ricco di quello che appare. Ci sono tante energie fuori dai partiti e fuori dal parlamento. Penso al movimento degli studenti che tornano in strada contro le politiche sbagliate del governo gialloverde. Penso alle donne che si sono mobilitate in modo straordinario anche contro ipotesi neomedievali di riscrittura del diritto di famiglia, e poi le piazze da Lodi a Milano, dalla Perugia Assisi a Catania, a Riace. C’è un Italia che chiede un’alternativa, a testa alta. Un Paese migliore di chi ci governa. Energie e passioni di mondi e culture politiche diverse. C’è una sinistra diffusa che ricomincia ad organizzarsi e c’è un mondo cattolico che rivendica i propri valori di accoglienza e solidarietà. Ascolterete le bellissime parole che ha voluto rivolgerci il prete dei poveri, della scuola di Dossetti, Don Giovanni Nicolini.
Questa Italia dobbiamo ascoltarla e provare a rappresentarla ogni giorno nel nostro lavoro politico e nell’iniziativa parlamentare. Le prossime elezioni amministrative saranno un momento decisivo anche da questo punto di vista. Si vota in 4000 comuni, circa la metà dei comuni italiani, oltre che in Abruzzo, in Sardegna, in Basilicata e in Piemonte. È un passaggio che potrà cambiare il volto del Paese reale e che ci riguarda da vicino. Io credo che dobbiamo organizzarci subito per provare a costruire alleanze larghe civiche progressiste e ambientaliste capaci di offrire un’alternativa alle destre. Dobbiamo essere noi il motore di questa proposta politica anche dinanzi ad un Pd sempre più avvitato su se stesso e dinanzi alle difficoltà oggettive del centrosinistra per come lo abbiamo conosciuto in questi anni.
Per farlo abbiamo bisogno di ricucire quella frattura che c’è stata tra sinistra e popolo. I problemi reali della vita delle persone devono essere la nostra priorità. Il lavoro prima di tutto. La sicurezza ad esempio, oltre 1000 morti da inizio dell’anno, una vera e propria strage inaccettabile, abbiamo in commissione una importante proposta di legge che punta su prevenzione e stabilità del lavoro come precondizioni per la sicurezza. Si parla di sicurezza in Italia solo per immigrazione e legittima difesa. Basta. La mancanza di sicurezza sul lavoro fa più danni di tutto il resto. O ancora la riduzione dell’orario di lavoro che è una prospettiva giusta per ridurre l’impatto delle nuove tecnologie sui processi produttivi.
Poi dobbiamo insistere sugli investimenti come leva essenziale per la nuova e buona occupazione. Il Green new Deal che ha proposto il nostro gruppo parlamentare egregiamente guidato da Federico Fornaro. La clausola Ciampi per il Mezzogiorno che è ancora il simbolo delle più atroci e inaccettabili diseguaglianze nel nostro Paese e sui cui dobbiamo promuovere una grande iniziativa politica anche alla luce delle ultime iniziative
in materia di autonomia regionale che costituirebbero una vera e propria ecatombe per il sud come ha ben scritto il prof. Viesti.
Ancora dobbiamo difendere la Sanità e la Scuola pubblica come le principali leve per la redistribuzione della ricchezza e il principio della fedeltà e progressività fiscale in una stagione in cui tornano i condoni e si afferma l’ideologia della Flat tax. Non dobbiamo avere paura di dire che chi ha di più deve dare di più o di pronunciare la parola patrimoniale sulle grandi ricchezze.
Fare tutto ciò significa rialzare le bandiere della sinistra. Ed essere parte di quella ricerca mondiale per costruire un’alternativa alle destre. È la ricerca di una nuova alleanza progressista come la chiamano Sanders e Varufakis, o di un nuovo socialismo europeo come vorrebbero Sánchez, Costa o lo stesso Corbyn. Mi fa particolarmente piacere l’attenzione che un gruppo nutrito di europarlamentari, qui rappresentati da Maria Arena, provenienti da diversi Paesi, hanno voluto rivolgere a questa nostra iniziativa. Noi siamo dentro questo sfida e questo orizzonte.
Oggi partiamo. Con le nostre idee e con i nostri valori, porte aperte a tutti e nessuno già seduto a capotavola. Mettiamoci in cammino, insieme, per costruire quello che ancora manca. Ci rimettiamo tutti in discussione. Senza rete. Non avrebbe senso alcuna operazione di vertice. Serve ripartire dal basso. Dai territori e da nuove relazioni con la società e la politica. Per questo vi chiedo di rendervi protagonisti nel prossimo mese e mezzo di iniziative come questa che abbiamo fatto oggi a Roma in ogni territorio, e di dare vita, nel modo più aperto e plurale possibile, a comitati promotori territoriali per una nuova forza rosso verde e per costruire l’alternativa alla destra.
Il 16 e il 17 febbraio tireremo le somme di questo lavoro con un appuntamento nazionale di due giorni e avvieremo una fase compiutamente democratica. Nel frattempo sarà fondamentale anche un approfondimento di merito, attraverso focus group aperti sulle principali questioni che riguardano la nostra agenda politica e che dovremo insediare già nel mese di gennaio.
Da metà ottobre ho girato molto da sud a nord. Conosco le difficoltà, il disorientamento e l’ansia per un quadro politico così drammatico. Ora però è il momento di chiudere la fase post 4 marzo. La botta è stata tremenda, ma ora è il momento di ripartire.
Mettiamoci tutta la forza possibile.