Riportiamo di seguito il messaggio per il Natale 2018 di monsignor Giovanni Intini, Vescovo di Tricarico.
Care amiche e amici,
ancora una volta ci è concesso di celebrare la nascita di Gesù, di contemplare laf olle decisione di Dio di entrare nella storia degli uomini da Bambino: è la condiscendenza di Dio che vuole essere alla portata dell’uomo.Gesù per noi diventa “il Verbo abbreviato”: la Parola di Dio che si è fatta pic-cola, così piccola da entrare in una mangiatoia; una Parola che prima ancora di diventare voce, è diventata volto: il volto del Bambino Gesù.Gesù, una Parola piccola, col volto di un Bambino, perché destinata ai piccoli, ai semplici, ai bambini, ai poveri, agli ultimi della terra.Natale: Dio alla portata dell’uomo; Dio mescolato nelle vicende dell’umanità; Dio che pianta la sua tenda nelle periferie esistenziali dell’umanità; Dio in cammino sulla strada che va da Gerusalemme a Gerico, sulle tracce dell’uomo.Se questa è la bella notizia del Natale: chi può avere paura del Natale?Si può avere paura di un Dio che in Cristo Gesù “non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,6-7)?Lasciamoci, dunque, avvolgere dalla luce benefica del Dio Bambino di Betlemme per tornare a camminare con Lui sulle strade spesso tortuose del nostro vivere quotidiano.Il Natale però ci pone anche davanti a precise responsabilità; mi sembra di rintracciarle in un versetto del racconto della nascita di Gesù, secondo Luca, quando l’evangelista annota: “C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” (Lc 2,8).Potrà sembrare strano commentare un versetto marginale di un annuncio ben più importante, però mi sembra che in questo versetto ci siano le condizioni necessarie per poter accogliere la verità del Natale.In primo piano sono i pastori, in loro hanno volto tutti gli uomini e le donne a cui nel corso dei secoli è stato ripetuto il lieto annuncio: “oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,11). Nei pastori siamo rappresentati anche noi.Ma noi siamo ancora in grado di ascoltare il lieto annuncio della salvezza che viene da Dio che nasce tra gli uomini?I pastori di Betlemme, intanto, furono capaci di accogliere il lieto annuncio degli angeli perché erano uomini abituati alla transumanza, a lunghi cammini che non lasciavano spazio alla sedentarietà.Uomini in cammino, alla ricerca di pascoli freschi e verdi da offrire ai loro greggi; uomini capaci di premura e di cura che volentieri condividevano i percorsi a volte tranquilli ma spesso travagliati dei loro greggi.Uomini che spesso non avevano nemmeno una pietra dove posare il capo, anche perché per loro era vietato addormentarsi per non farsi sorprendere dal lupo che viene per rubare e uccidere.A questi uomini, pellegrini ma spesso considerati stranieri nei loro percorsi, è giunta la buona notizia del Natale.Noi vescovi, presbiteri, religiosi, religiose, laici, uomini e donne, ragazzi e giovani siamo ancora in grado di accogliere come buona notizia l’annuncio del Natale?“Vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge”: questo è detto di quegli antichi pastori e questa è la condizione che li rende ricettivi del messaggio degli angeli.E noi, oggi, siamo ancora capaci di vegliare? Noi che abitiamo sempre di più la terra dimezzo tra ricerca di Dio e indifferenza nei suoi confronti.Siamo ancora disponibili a vivere le nostre responsabilità in termini di cura, di premura,di accoglienza dell’altro, di condivisione, sfuggendo alla tirannia assoluta del benessere personale da difendere ad ogni costo?Anche noi, oggi, per accogliere la buona notizia di Dio che nasce dobbiamo riscoprire la capacità di “vegliare di notte facendo la guardia al nostro gregge”.Di notte: non è solo una annotazione temporale ma il richiamo a un clima esistenziale e culturale che caratterizza oggi il nostro vissuto quotidiano. È la notte della paura, vero motore che ispira le scelte politiche e personali,trasformandoci in statue di sale, anziché in frequentatori di futuro. È la notte dell’egoismo elevato a legge delle relazioni, che ci fa costruire muri e creare distanze, continuando tranquillamente a cantare salmi e vantarci di professioni di fede. È la notte della parola,sempre più portatrice sana di bullismo gentile e sempre meno di significati che profumano di dialogo e incontro. È la notte del grande abisso tra poveri e ricchi, che rende il nostro mondo sempre meno una tavola a cui affluiscono tutti i popoli, come annunciato dal profeta Isaia, e sempre più una tavolaper pochi epuloni che lasciano cadere le briciole che affamano la dignità di moltitudini di popoli e li costringono a estenuanti esodi senza meta. È la notte della vita, sempre meno apprezzata come dono del Creatore e sempre più umiliata da violenze, da eccessi, da dipendenze di ogni tipo, da una scienza
tecnologicamente inebriata dalle sue possibilità ma moralmente bloccata da una mentalità individualista.Questa è la notte in cui noi come credenti siamo chiamati a vegliare esercitando le nostre responsabilità e continuando a coniugare i verbi del Vangelo.Consapevoli che la notte può trasformarsi in una grande opportunità se oggi come al tempo della nascita di Gesù: “…la gloria del Signore li avvolse di luce” (Lc 2,9).La luce squarcia improvvisamente la notte e avvolge coloro che la sanno accogliere; un annuncio di gioia, di vita risuona nel buio pieno di silenzio e solo i cuori vigilanti e-semplici sono in grado di udirlo.Vegliare nella notte per noi significa abitare la notte senza rassegnazione ma considerando la notte come luogo della gestazione della luce; luogo in cui fermenta il-futuro e germina la vita.Nove mesi passa il feto nel buio del grembo materno come il seme nel grembo della
terra; la notte è necessaria per la formazione di una nuova vita.Perciò se ci lasciamo avvolgere dalla luce del Verbo fatto carne, la notte che viviamo diventerà occasione di nuova generatività. Diventare generativi è l’imperativo del Natale!Essere generativi nella vita, nella fede, nella mentalità, nelle relazioni, nella carità è il modo migliore per dire con la vita a tutti: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un-Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 10-12).Per poter annunciare Cristo come salvezza, luce, antidoto alla paura di vivere, noi credenti siamo chiamati a “rinascere dall’alto” come richiesto da Gesù a Nicodemo.Vale a dire a svegliarci dal sonno della coscienza che ci fa essere sempre più assuefatti“a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come «il più prezioso degli elisir del demonio»” (EG 83).“Così prende forma la più grande minaccia, che «è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normali-tà,mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità (Joseph Ratzinger, 1996)»” (EG 83). Per sfuggire a questa minaccia è necessario tornare a riassaporare la vita secondo ivalori dello Spirito e ad essi uniformare la nostra vita per darle nuovo senso.Ci potrà aiutare in questa operazione uno dei protagonisti senza volto dei vangeli dell’infanzia: il silenzio, non tanto quello esterno, quanto quello interiore.Il silenzio dei sensi, dei desideri, dei sentimenti, dei pensieri, dell’immaginazione, della volontà. È il silenzio fecondo, in cui tacciono tutte le voci per creare lo spazio dell’ascolto della voce del cuore e rendere possibile la nascita del Figlio di Dio in noi. È il silenzio del raccoglimento, della meditazione; stato di vuoto e di stupore che ci permette di percepire il battito di una presenza, il bisbiglio di quella “voce di sottile silenzio”, che parlò ad Elia. Solo quando tace ogni rumore nasce una Presenza, che può prendere per mano e guidare la nostra vita. E allora trasformiamo il Natale in una svolta generativa da imprimere alla nostra vita e non in un momento isolato di buonismo qualunquista, che finisce per regalarci solo vuoto spirituale.A che serve riscoprire solo per un giorno bontà, solidarietà e amicizia, se per il resto dell’anno ci pavoneggiamo ipocritamente in atteggiamenti anti evangelici?Il Bambino di Betlemme non è una dottrina, non è il buon senso di un giorno, non è una
spada da brandire contro chi non la pensa come noi, non è un cartone animato della Walt Disney ma è un concreto progetto d’amore da esprimere nel mondo e di cui diventare servitori e collaboratori come “uomini di buona volontà”: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3, 16-17).A chi non si arrende, non si rassegna, non si ferma nel cammino della vita, è rivolto l’appello ad attingere dalla celebrazione annuale della nascita del Signore, la forza non solo di resistere al buio della notte ma anche di progettare l’aurora alzando lo sguardo agli orizzonti della fede che rendono generativa la vita, senza dimenticare la parola del salmo: “Sto in silenzio e non apro la bocca, perché sei tu che agisci” (Sal 39,10).
O piccolo bambino,
mio unico tesoro!
Non voglio altra gioia
che quella di farti sorridere.
(Santa Teresa di Lisieux)
Buon Natale
Di seguito il testo dell’omelia pronunciata da Monsignor Giovanni Intini, Vescovo di Tricarico nella Santa Veglia in occasione della Messa di Natale nella Cattedrale di Tricarico
Pensando ad un pensiero da condividere con voi in questa Notte Santa, mi è ritornata alla mente una poesia tanti di noi hanno imparato o anche solo sfiorato negli anni della scuola. È una poesia di Guido Gozzano: La notte santa.
Il poeta immagina Maria e Giuseppe in cerca di un posto dove far nascere il loro bambino.
«Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell’osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.
Il campanile scocca
lentamente le sei».
Il tempo passa inesorabile, la poesia è scandita dal verso che segna lo scoccare delle ore del campa-nile. Le porte degli ostelli sono tutte chiuse, perché occupate da astronomi, negromanti, magi, cava-lieri, dame, mentre per un falegname e sua moglie non c’è nessuna accoglienza.
L’oste di Cesarea dà voce al rifiuto di ieri, di oggi, di sempre:
«[…] non amo la miscela dell’alta e della bassa gente».
Così non resta che una stalla. L’ora della salvezza scocca proprio lì, in una stalla, Dio si “mescola” con “la bassa gente” perché «per loro non c’era posto nell’alloggio».
La “cultura dello scarto” continua ancora oggi e attraversa i secoli. Ieri Maria e Giuseppe bussavano alle osterie di Betlemme, oggi tanti “di-sperati” bussano perché desiderano una possibilità: quella di generare speranza. Bussano alle porte della nostra civiltà, ma la risposta è sempre la stessa: «[…] non amo la miscela dell’alta e della bassa gente».
Questa notte, tuttavia, celebrando la nascita del Bambino povero di Betlemme, dobbiamo con forza e chiarezza affermare che non accogliere non è cristiano, è una nefasta dissonanza dirsi cristiano è non lasciarsi turbare da chi è nel bisogno, non accoglierlo.
Davanti al Dio-bambino urge e sorge -nello stesso tempo- il dramma della coscienza che diventa verifica della nostra vita di fede: ritornare nell’alveo genuino del Vangelo, perché possa essere ac-colto, vissuto, annunciato.
Ad accogliere la bella notizia del Natale sono i pastori: «C’erano in quella regione alcuni pastori, che pernottando all’aperto, vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.» (Lc 2,8). Il primo annuncio della nascita di Gesù è dato ai pastori, a uomini semplici, senza fissa dimora, in transu-manza continua con il loro gregge. Per la loro condizione di vita erano ritenuti moralmente depre-cabili, pur tuttavia uomini tenaci, capaci di cure e vigilanti.
Anche noi, oggi, riceviamo la bella notizia del Natale perché, nonostante sia notte, loro vegliano. Loro, quei pastori. Il loro volto nei secoli è stato il volto delle generazioni di credenti a cui è stata rivelata la Parola del Vangelo. Oggi è il nostro volto di credenti, di questa stagione storica, chiamata ad attraversare l’ambigua notte di una cultura che ci educa all’indifferenza. Essa si declina nell’esclusiva ricerca e cura del benessere personale, nell’analfabetismo affettivo, nell’opportunismo delle relazioni, nel virtualismo dei proclami, nel bullismo istituzionale e relazionale.
In questa Notte, il compito di credenti è:
resistere,
vegliare,
non addormentarsi,
non adeguarsi.
Ci dobbiamo chiedere se siamo capaci di vegliare, se siamo ancora disponibili a vivere la nostra re-sponsabilità in termini di
cura,
premura,
accoglienza dell’altro,
condivisione.
Addormentarsi nel sonno dell’adeguamento, dell’indifferenza, dell’egoismo, dell’apatia, significa spegnere la luce del Natale. Abbiamo ascoltato che i pastori furono «avvolti di luce», la luce di Dio. Questa luce, pur essendo divina, è estremamente “fragile”, al punto che l’uomo può spegnerla, rifiu-tarla, ignorarla, perché è la luce di un bambino.
Un bambino, ecco il segno di Dio per noi. Un bambino nel suo bisogno e nella sua povertà.
L’angelo di Dio invita anche noi ad incamminarci col cuore per vedere il bambino che giace nella mangiatoia. Dio si è fatto piccolo per noi, è la sua “logica”. Egli viene a noi come bambino per to-glierci la paura della sua grandezza, un Dio grande che schiaccia e ricatta l’uomo non è il Dio del Bambino di Betlemme. Così nel Natale avviene un “misterioso scambio”: Dio prende su di sé la no-stra fragilità e ci dona la sua forza. È la forza dell’amore, della speranza, della vita, della pace, della giustizia. Dio ci rende generativi. Non solo. Ci indica anche la sorgente della fecondità della vita, della fede, della mentalità, delle relazioni. È ai piedi del Bambino di Betlemme. Lì deponiamo le nostre rassegnazioni, i nostri compromessi, le nostre rivalità, le nostre ambiguità, le nostre insensi-bilità, per imprimere alla nostra vita una svolta generativa, capace di progetti di speranza.
Il Natale, dunque, è per il cristiano quella “resistenza attiva” che veglia nella notte e diventa stile di legalità, responsabilità, creatività.
Rassegnati? No, grazie, generativi!
Generativi, perché credenti e educati dal Vangelo.
Così saremo pronti a progettare l’aurora e frequentare il futuro.
Gli auguri, allora, che voglio rivolgervi siano auguri “scomodi”, come diceva il santo vescovo, don Tonino Bello. Non siano auguri innocui, formali, di routine. Gli auguri che vi rivolgo vorrei che to-gliessero il sonno, perché possiamo tutti abbandonarci a Dio, per scrutare l’aurora e progettare il fu-turo. Auguri scomodi perché finalmente ci facciano decidere di vivere da cristiani.
BUON NATALE!