Riportiamo di seguito l’omelia che l’arcivescovo di Matera-Irsina mons. Antonio Giuseppe Caiazzo ha pronunciato nel giorno di Natale nella Cattedrale di Matera. Di seguito il testo integrale.
L’attesa del S. Natale ci ha portati e ripensare la venuta di Dio nella nostra vita, in questa realtà che viviamo. E oggi ci scambiamo gli auguri. E’ cosa buona. Un’occasione per stare insieme, vivere momenti di fraternità e solidarietà, aprendoci di più ai bisogni e necessità degli altri. Questo va bene per tutti ed è sicuramente un bene da non sottovalutare, anzi da valorizzare. Per noi cristiani è molto di più. Noi celebriamo non solo la nascita di Gesù nella carne a Betlemme ma oggi nella nostra vita, nelle nostre case. Gesù viene per promuovere la nostra umanità, quindi ci impegna
In questo giorno santo del Natale di Gesù ci ritroviamo insieme per ringraziare e benedire il Signore per la sua incarnazione.
Farsi gli auguri potrebbe essere una abitudine. C’è un pensiero che rubo al Card. Carlo Maria Martini e che in questo giorno faccio mio: Benché il Natale sia una splendida manifestazione della gloria di Dio in Cristo e del suo amore per noi, i discorsi che si fanno a partire dal Natale sanno spesso di buonismo e di speranza a buon mercato. Essi sono un segno di poca lealtà con se stessi e con gli altri. Infatti diciamo delle cose che non sono vere e a cui nessuno crede. Ci auguriamo a vicenda lunga vita, felicità, successo, ci facciamo doni che vogliono dire l’affetto che ci portiamo, ma per lo più sappiamo che non è così. La prima lettera espone bene questo stato di cose. Il Natale fa emergere le storture della politica, la gravissima crisi economica che stiamo attraversando, le violenze quotidiane fisiche e psicologiche. E si potrebbero aggiungere tante altre cose ancora.
E’ importante, allora, che in questo giorno, ci lasciamo illuminare dalla Parola che abbiamo ascoltato per riflettere e applicarla alla nostra vita.
I Padri della Chiesa ci aiutano a capire meglio il mistero del Natale con molta semplicità. Sant’Atanasio di Alessandria dice “Il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio”. Diciamo, con ancora più semplicità: Dio si è fatto come noi, per farci come lui. Famose sono le omelie sul Natale di san Leone Magno. Riprendo un passaggio: “Se noi ci appelliamo alla inesprimibile condiscendenza della divina misericordia che ha indotto il Creatore degli uomini a farsi uomo, essa ci eleverà alla natura di Colui che noi adoriamo nella nostra”.
Se abbiamo chiara questa verità capiamo cosa comporta per noi credenti celebrare il Natale. Di una cosa siamo certi: tutti celebriamo questa solennità e tutti ci scambiamo gli auguri. Sono pochi coloro che ormai hanno tempo per celebrare e vivere il Natale di Gesù. Eppure il festeggiato è lui ma è come se non ci fosse.
Noi ricordiamo la sua venuta in mezzo a noi: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Il Verbo, cioè la Parola, il modo di comunicare di Dio con gli uomini, è persona che, come abbiamo sentito, crea, sostiene e salva il mondo.
Una storia, quella che Dio fa con gli uomini, segnata da una ricerca continua di una umanità che spesso preferisce il mondo delle tenebre a quello della luce. Eppure tutti sentiamo il bisogno di luce, di gustare la vita, amarla. Ogni uomo che nasce si apre al mondo della luce e man mano che cresce i suoi occhi scrutano cose nuove, la sua intelligenza lo porta, attraverso lo studio e l’apprendimento, ad una conoscenza di quel mondo che meraviglia sempre di più per la ricchezza che contiene.
Quando si rimane disincantati significa che la luce si è spenta. Si va avanti a tentoni, ci si trascina nella vita senza riuscire a dare senso a quel quotidiano nel quale siamo inseriti, che ci appartiene. Si perde la fiducia, si smarrisce la speranza. Le delusioni, i tradimenti, le mortificazioni a volte si abbattono come macigni che schiacciano e rendono incapaci di risollevarci.
Celebrare il Natale di Gesù significa esattamente questo: contemplare Dio che scende nella miseria umana per farla risalire dalla fossa della morte e ritornare a respirare, riaprire gli occhi pieni di luce.
In questi giorni ho avuto modo di visitare quasi tutti i luoghi di speranza sparsi sull’intero territorio della nostra Diocesi di Matera – Irsina. Dico luoghi di speranza perché in essi circola l’amore di fratelli e sorelle attenti ai bisogni e necessità di tanti altri che, pur nelle loro disabilità o malattie, regalano sorrisi e cercano affetto. Sono luoghi di luce che brillano nel quotidiano, nel condividere insieme ogni momento. In questi luoghi ho colto il nascere di Gesù più che nelle nostre chiese e liturgie che, per quanto ben preparate, a volte non coinvolgono e non parlano alla nostra vita.
Anche in questo momento, noi qui presenti e quanti ci state seguendo tramite TRM, che ringrazio per la disponibilità e servizio che rende all’intera comunità lucana, chiedo: il dire della Parola cosa ci sta comunicando? E ancora: il mio pronunciarla è capace di arrivare a voi?
Quanto bisogno di mani tese per stringere ed accompagnare i tanti uomini e donne, giovani e bambini che chiedono aiuto! Mani tese negli ospedali, nelle case di cura, nel carcere, tra i disabili, gli anziani spesso mortificati dalla solitudine perché dimenticati, tra gli immigrati che chiedono di essere accolti sgranando i loro occhioni terrorizzati e pieni di speranza…, ma i porti sono chiusi e, non c’è posto per loro così come non c’era per Giuseppe e Maria a Betlemme quando doveva nascere Gesù.
Gesù chiede oggi di farsi carne per liberarci dalle tante schiavitù che stanno seriamente minando la nostra convivenza civile seminando discredito, paura, terrore. C’è bisogno di luce perché possiamo camminare insieme con un unico obiettivo: costruire ponti dove le relazioni umane promuovano la dignità della persona rigettando ogni forma di violenza, di discriminazione e spargimento di sangue in nome di un dio che non esiste.
Gli operai della Val Basento che ho incontrato nelle diverse aziende, piccole o grandi, mi hanno convinto ancor di più di come sia possibile creare opportunità di nuovi posti di lavoro facendo spazio ai tanti giovani e papà di famiglia che spesso sono mortificati e delusi dalla mancanza di una seria programmazione che aiuti a guardare al futuro positivamente. Ci sono le capacità, c’è la professionalità, ci sono le idee, devono necessariamente venire fuori programmi condivisi con investimenti seri e concreti.
Riprendendo il pensiero di S. Giovanni Paolo II, condivido che bisogna convincersi che il cristiano deve testimoniare un “modello di sviluppo” alternativo. Cambiare la convinzione che sviluppo è uguale alla continua crescita economica e alla ricerca di un benessere più opulento, quando invece è dare a tutti gli uomini il necessario alla vita. Ecco l’impegno politico del cristiano, convinto che Gesù e il suo Vangelo indicano l’ideale di un’umanità nuova secondo la volontà di Dio e che la Dottrina sociale della Chiesa traduce al meglio cosa dicono il Vangelo e la Tradizione cristiana riguardo ai problemi dell’uomo. Però non bastano soldi e macchine, leggi e giustizia internazionale, ci vogliono persone, perché lo sviluppo è un problema di educazione, di formazione delle mentalità, di evoluzione delle culture, di condivisione.
Solo così possiamo impedire lo spopolamento di questa meravigliosa terra che tutti dobbiamo amare aiutandola a disintossicarsi dei tanti veleni che, nel corso degli anni, ha dovuto accogliere. La terra non può continuare ad essere sfruttata e inquinata. E’ la nostra casa comune e come tale deve essere amata e coltivata perché tutti ricevano il necessario e il giusto.
Gli auguri di questo Santo Natale sono rivolti alla provvida realizzazione di tre grandi eventi che ci riguardano da vicino: Matera Città Europea della cultura, la Marcia della Pace il 31 dicembre, sempre nella nostra città, e il Primo Sinodo della nostra Diocesi di Matera – Irsina
Il binomio fede e cultura e carità e cultura non può essere ridotto a un’esperienza della carità fondata su dei gesti, per quanto siano importanti, in favore dei più bisognosi. C’è bisogno di una carità diversa: bisogno di nutrire la persona nella sua interezza, nei suoi bisogni e nella sua ricerca di verità e di senso. Solo così Fede e Cultura e Carità e Cultura potranno camminare insieme.
Matera Capitale Europea della Cultura 2019, esprime e dovrà esprimere, come è stato da sempre nel suo DNA, la “cura dell’Umano”: L’immagine che Matera ha trasmesso di sé lungo i secoli (una delle città più antiche del mondo: 8000 anni di storia) è quella di un luogo di elaborazione del senso del vicinato aperto alla solidarietà, alla partecipazione, alla promozione umana, espresse dall’arte delle chiese rupestri, e dalla cultura di un popolo aperto all’altro. La nostra città ha una particolare attenzione verso i vari bisogni e necessità, siano essi lucani che immigrati. A Matera, da quanto ho appreso, come in tutto il comprensorio materano e direi lucano, non c’è stata mai una divaricazione tra dimensione culturale e dimensione sociale.
La nostra Chiesa è fortemente impegnata in prima linea in questa azione a favore dell’uomo su tutto il territorio, attraverso la Caritas Diocesana e quelle parrocchiali. Ringrazio quanti, a cominciare dai confratelli sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, i tanti volontari, ogni giorno sono impegnati (non solo a Natale) per far fronte alle tante necessità ed emergenze ma soprattutto alle tante proposte di promozione umana.
Il 31 dicembre a Matera non ci sarà soltanto il Capodanno su Rai1. Già nei mesi estivi mi ero attivato affinchè la Conferenza Episcopale Italiana accogliesse l’invito a scegliere Matera come città per la Marcia della Pace. Invito che è stato accolto e che insieme a Pax Christi, Caritas italiana, Azione Cattolica, abbiamo organizzato.
Il messaggio che Papa Francesco ci ha dato è il seguente: “La buona politica è al servizio della pace”
Dalla nostra città parte per il mondo intero un annuncio ben preciso: Offrire la pace. Come appunto dice Papa Francesco nel suo messaggio, sta al cuore della missione dei discepoli di Cristo. E questa offerta è rivolta a tutti coloro, uomini e donne, che sperano nella pace in mezzo ai drammi e alle violenze della storia umana. La “casa” di cui parla Gesù è ogni famiglia, ogni comunità, ogni Paese, ogni continente, nella loro singolarità e nella loro storia; è prima di tutto ogni persona, senza distinzioni né discriminazioni. È anche la nostra “casa comune”: il pianeta in cui Dio ci ha posto ad abitare e del quale siamo chiamati a prenderci cura con sollecitudine.
Abbiamo tanto bisogno di luce durante il prossimo anno per la celebrazione del Primo Sinodo Diocesano di Matera – Irsina. Un evento che coinvolgerà, dopo il percorso sinodale concluso, tutte le comunità parrocchiali: porteranno i loro contributi ai padri sinodali che, guidati dallo Spirito Santo, sapranno scegliere per versare vino nuovo, Gesù, in otri nuovi che siamo noi.
Dunque, si apre davanti a noi un anno dove Gesù chiede di nascere concretamente per essere luce ai nostri passi e illuminare il nostro cammino.
S. Natale a tutti.