Riportiamo di seguito la recensione del giornalista Vito Piepoli di Santa, il primo romanzo di Alessandra Macchitella.
Paolo in una lettera a Luana, scrive: “avrei voluto essere più presente, capire quell’enorme lato oscuro che portavi sulle tue spalle di finta normalità. Avrei dovuto spiegarti che non dovevi averne paura e che tutti abbiamo una parte che ci spaventa e che ci libera, tutti siamo fatti anche di Santa.”
Siamo alla fine di questo libro, che si presta ad essere portato in scena, scritto dalla giornalista Alessandra Macchitella, edito da Les Flaneurs edizioni con la prefazione di Aldo Cazzullo.
Vi sono sopratutto due nomi: Santa e Luana che possono far parte di una stessa realtà, come dire, due facce di una stessa medaglia, due aspetti contrastanti di una stessa persona o anche di due persone diverse, portati all’estremo in lotta, come il bene (Luana) e il male (Santa).
A seconda del modo di porsi nell’affrontare la vita e le circostanze da risolvere giorno dopo giorno.
È presente il dubbio se sia più utile per la propria realizzazione, per la propria soddisfazione umana, usare se stessi e gli altri come oggetti in modo leggero e facile, usando le scorciatoie e le furbizie, oppure cercare di fare le cose in modo serio e impegnativo, correndo anche il rischio di faticare di più e di procrastinare i tempi perché si è sfruttati e poco riconosciuti.
Ma si è impastati contemporaneamente di questi due aspetti, di queste due personalità, di Santa e di Luana. E non si è mai del tutto Santa e mai del tutto Luana.
Appunto, come dice Paolo, il personaggio principale maschile, in una finta normalità c’è da capire in noi quell’enorme lato oscuro, che fa capo, io direi, al mistero del bene e del male, presente in ognuno di noi, che ci portiamo addosso, che ci pesa, che ci spaventa e che ci libera, lui dice. Pertanto anche la migliore Luana, non è escluso che possa commettere, da un giorno all’altro un atto estremo per liberarsi definitivamente dal male (Santa), purtroppo con lo stesso male, illudendosi di essersene liberata, ma in effetti finendo essa stessa soggiogata al male. È l’illusione di liberarsi dal male con il male.
Ed è quello che succede nel finale del romanzo, che non vogliamo svelare ed è da brivido. Una conclusione a sorpresa che lascia di stucco e in confusione il lettore. La stessa confusione che prende Paolo che fa fatica a rendersi conto della situazione reale. Tutto ciò induce a pensare ed approfondire l’aspetto della delusione, della disperazione, dell’amore umano e infine della misericordia, che nella storia raccontata nel libro vince e dura come sentimento eterno.
Ciò che è stato non muore mai !!! ….questo non a caso è il titolo dell’ultimo paragrafo del libro.
“Se qualcuno dovesse chiedermi – scrive Paolo in questa lettera finale a Luana – che cosa è l’amore credo che lo spiegherei con questo. Pensare a una persona ogni giorno della tua vita. Sempre. Quando ti svegli, quando guardi il tramonto, quando leggi un libro bellissimo, quando ti incazzi con il capo…..”
Questo è quello che vince eternamente sulla delusione e disperazione, l’amore vero, che può mettere fine ad azioni estreme contro la propria ed altrui esistenza, sperando nella misericordia.
Perché la questione vera è come si esce da questa disperazione : “Non sono stato abbastanza e tu, tu sei stata troppo.”….è sempre Paolo che scrive. Quindi il suo amore non è stato sufficiente, ma nemmeno quello di lei lo è stato verso di lui e purtroppo la disperazione ha vinto, la battaglia terrena, vedrete come.
Ma se è vero che ciò che è stato non muore mai, si apre in ultima conclusione, uno spiraglio a cui non si può non dare somma considerazione.
È una prospettiva di salvezza che abbraccia, salva e riempie tutto e tutti di significato e che riporta in vita chi la coglie, in una prospettiva nuova, in questo caso Paolo e che non esclude nessuno dei personaggi del libro, gettando una nuova luce su tutte le vicende umane raccontate dalla penna dell’autrice, che si dimostra particolarmente attenta nel riportare la descrizione dei particolari e delle circostanze vissute dai personaggi. E c’è la consapevolezza di una bellezza nuova, completa che mette assieme il corpo e lo spirito, in una luce nuova.
Ed è ancora Paolo che scrive, rivolgendosi alla donna amata:”Per colpa tua ho iniziato ad andare in Chiesa la domenica. Prego a un Dio a cui non credo..(…)…mi sveglio di buon’ora e mi raccomando di essere clemente con te. Tanto se esiste, avrà visto quanto sei bella, in tutti i sensi. Ti avrà perdonata …. Non lo so cosa mi aspetta, so che tu sarai al mio fianco, come hai sempre fatto, so che ti amerò sempre e so che non voglio una vita a interruttore spento. Voglio la luce, anche a rischio di bruciarmi la vista.”
E pertanto mi sembra quanto mai appropriato concludere con una citazione di don Luigi Giussani :”….non possiamo vivere se non per la fede. Non come propaganda, ma come passione amorosa, perché in cuor mio penso sempre che altrimenti un uomo non può amare la sua donna e una donna non può amare suo figlio, se non con un vuoto disperato. E l’amare con disperazione vuol dire condannare a morte la persona amata” e anche se stessi.