Si è spento lunedì scorso a Matera il senatore comunista Angelo Ziccardi. Di seguito il ricordo dello storico materano Giovanni Caserta.
Giovanni Caserta: “Angelo Ziccardi, il politico dai passi piccoli, ma con la mente che andava verso il futuro, cioè al passato”. Di seguito la nota integrale.
Ho scritto per la morte di Peppino Pace, di Mimì Notarangelo, di Michele Guanti, di Nicola Cataldo, di Minuccio De Florio. Non no so perché non mi è venuto, di getto, alla prima notizia, l’impulso a scrivere della morte di Angelo Ziccardi, uno degli ultimi compagni della prima guardia, tanto impegnati, nell’immediato dopoguerra, per una città, una regione, una Italia più giusta e più grande. Forse è dipeso dal fatto che, con lui, ho avuto scambi di idee fino a ieri, e non sempre concordi; forse perché troppe volte, quando ci incontravamo, chiacchieravamo del più e del meno, ridendo e ironizzando, per poi finirecol parlare, seriamente, di politica e del mondo di oggi; forse perché, alla fin fine, ci trovavamo d’accordonella delusione al vedere come il mondo fosse cambiato in peggio, almeno per quanto riguardava lanostralontanaaspirazione a non veder mai più casi di ingiustizia, abbandono, povertà, mancanza di lavoro, emigrazione, disoccupazionesoprattutto giovanile, piccoli comuni abbandonati, soprattutto al Sud. Erano i temi a lui cari. E, magari, per la soluzione dimolti di questi problemi, aveva pronta la risorsa dell’agricoltura, sua antica passionee oggetto dei suoi studi edel suo lavoro all’interno della Alleanza Contadini, a fianco a Emilio Sereni.
Spesso, se volevo il suo consenso, dovevo parlargli di una agricoltura nuova, moderna, attività primaria. Lo trovavo con me anche quando, a proposito di Matera capitale europea della cultura, nevedevo distorto il progetto, tutto concentrato sul turismo, cioè sullo spettacolo, sull’evasione, sul divertimento.Gli dava fastidio, fra l’altro, sentir dire che l’evacuazione dei Sassi, per cui si era battuto con lo stesso coraggio con cui si era impegnato nella lottaper la terra, gli dava fastidio – dicevo – che qualcuno, soprattutto se giovane e politicamente a sinistra, pensasse che era stato un errore portare diciottomila abitanti fuori delle caverne!Forse, però, la mia esitazione a scrivere di lui, trova la sua spiegazione nel fatto che era uomo “difficile”, perché dalle molte sfaccettature, sia pure tutte unite dalla signorilità e dal gran rispetto che aveva degli altri e delle idee altrui, anche quando erano lontanissime dalle sue.
Passeggiando, aveva un passo lento; ogni tanto si fermava per chiarire il suo pensiero. Era il suo modo di fare politica. Lento e ponderato riguardo al presente, lungimirante verso il futuro, ma sempre con il sogno e il segno di una società comunista. Non c’è da meravigliarsi se uso la parola “comunista”, tanto desueta, e anzi carica di paura e di terrore. Per Ziccardi, però, la parola “comunista” avevail suo significato tutto nascosto nella etimologia della parola, che riconduce a comunità e, attraverso comunità, alla comunione nei“munera”, cioè nei doveri che l’uomo deve avere verso l’altro uomo. Cosache, significa, di fatto, anche affermazione e possesso dei diritti.
Da questa idea, anzi da questa grande idea, non si separò mai. Quando, per telefono, scherzosamente, lo chiamavo “compagno”, gli chiedevo se si sentiva di ciò contento.Rispondeva che ne era fiero. “Compagno” riconduce a fratellanza, comunione, amore di sé e degli altri:persone con cui si divide il pane. Era un sentimento che metteva in pratica, nel suo vivere quotidiano, non sovrapponendosi mai agli altri, ma sempre cercando l’unità, il consenso. Era sicuramente convinto che, col buon senso e con la costanza della ragione, si può arrivare dappertutto.Si possono fare lerivoluzioni,naturalmente pacifiche. Perciò non si ritrovava con l’evoluzione o involuzione cheil suo partito aveva avuto, ignorando le lezioni di Amendola, Chiaromonte, Sereni, Bianco, suoi maestri. Negli ultimi tempi, non si sa da quando, non aveva più preso la tessere del PD, in cui non riconosceva più la matrice del PCI. Diceva che si era perso il senso del comune, a vantaggio dell’individuo, cioè degli interessi particolari. I partiti si identificavano con le persone o i personaggi; parallelamente, nella intitolazione dei partiti, era scomparsa la parola “italiano”. Non rimaneva che la lezione del passato e della storia. Aveva fiducia che, col tempo, si ritrovasse, almeno a sinistra, il recupero del vecchio, quando si era convinti che la politica non è un impegno individuale, ma un impegno collettivo. E’ il monito che ha lanciato e lasciato con il suo libro di memorie, che, significativamente, porta il titolo di “La politica come impegno collettivo”, cioè sociale. Il che, però, presuppone la rinunzia a molte se non a tutte le proprie ambizioni personali. Dire “politica come impegno collettivo”, è la stessa cosa che dire politica come servizio, in cui la direzione ladanno gli altri. E quando si dice “gli altri”, nel pensiero di Ziccardi, si voleva dire i deboli, gli oppressi, gli ultimi, comunque configurati, fosserogli emigrati, fosseroi giovani disoccupati,fosseroi campi deserti, fosseroi piccoli Comuni dissanguati dallo spopolamento. Soprattutto al Sud.