Aperto nel pomeriggio nella Cattedrale di Matera il 1° Sinodo diocesano della Diocesi di Matera-Irsina. Si tratta di un evento storico se si considera che Matera ha vissuto un Sinodo quando ancora era unita ad Acerenza nel 1935 sotto l’episcopato di Monsignor Anselmo Pecci.
Il rito è cominciato con la consegna della preghiera del Sinodo, a seguire l’indirizzo di saluto e le indicazioni pratiche da parte del Segretario del Sinodo, quindi la Prolusione Solenne da parte dell’Arcivescovo Monsignor Pino Caiazzo, l’invocazione dello Spirito e appello dei “delegati al Sinodo”, la lettura della Bolla di Apertura del Sinodo, la professione di fede e il giuramento di fedeltà dei “delegati al Sinodo”, lo scoprimento e presentazione dell’Icona del Sinodo, la celebrazione eucaristica e la consegna dell’icona a tutte le comunità parrocchiali, alle rettorie e alle religiose.
Questo è il Primo Sinodo dopo il Concilio Vaticano II e da quando la diocesi si configura come Matera-Irsina dal 1976.
138 sono i delegati al Sinodo, di cui solo un terzo sacerdoti e religiosi mentre gli altri sono tutti laici. Dopo il 12 gennaio si riuniranno per 18 sessioni a scadenza quasi quindicinale per ascoltare la Parola di Dio e quanto è stato segnalato dai Consigli pastorali parrocchiali, per discernere le proposte di rinnovamento della vita ecclesiale e della pastorale per essere Chiesa in uscita, secondo una felice espressione di Papa Francesco, Chiesa più missionaria.
Per un anno nel 2018 si è tenuto un percorso sinodale per studiare e approfondire l’Evangelii gaudium e le quattro Costituzioni conciliari: Sacrosanctum Concilium (sulla liturgia), Dei Verbum (sulla Parola di Dio), Lumen gentium (sulla Chiesa), Gaudium et spes (su la Chiesa nel mondo contemporaneo). Al termine del percorso sinodale è stato prodotto l’Instrumentum laboris, una pista di lavoro e di riflessione per acquisire proposte dalle comunità parrocchiali, che saranno oggetto di discernimento da parte dei delegati al Sinodo.
Sinodo, che vuol dire camminare insieme, vede la Chiesa di Matera-Irsina impegnata nello stile sinodale, già dalla Visita Pastorale di Mons. Ligorio e dopo l’auspicio formulato da Papa Francesco al Convegno della Chiesa italiana di Firenze: “permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno”.
Riportiamo di seguito l’intervento del Segretario del Sinodo Monsignor Filippo Lombardi che ha relazionato su quanto ha preceduto l’apertura del Sinodo, le difficoltà, le risorse in campo, i propositi della Chiesa di Matera-Irsina.
Carissimi do il mio Benvenuto a tutti:
al Popolo santo di Dio protagonista del Sinodo, Chiesa in cammino nelle varie comunità, associazioni e movimenti, e che insieme forma l’unica Chiesa di Matera – Irsina;
ai delegati al Sinodo, sacerdoti, religiosi e religiose e laici, che avremo la responsabilità di ascoltare, discernere, individuare vie nuove per l’annuncio del Vangelo in questo nostro tempo;
al Carissimo Padre Arcivescovo che ci ha convocati per condividere con lui la gioia e la responsabilità della guida della nostra Chiesa;
a S. E. Mons. Salvatore Ligorio, già nostro arcivescovo e ora Metropolita di Basilicata, che ci onora della sua presenza orante e che, dopo la Visita Pastorale durata ben quattro anni dal 2011 al 2015, stava maturando la decisione di proporre un Sinodo;
agli Ecc.mi Arcivescovi e Vescovi delle Chiese di Basilicata, S.E. Mons. Vincenzo Orofino, S.E. Mons. Francesco Sirufo, (S.E. Mons. Ciro Fanelli), S.E. Mons. Giovanni Intini, S.E. Mons. Michele Scandiffio, S.E. Mons. Agostino Superbo, S.E. Mons. Rocco Talucci, la Vostra presenza qui esprime visibilmente e testimonia la grande e sostanziale comunione tra Voi Vescovi e tra le Chiese di Basilicata;
al Pastore della Chiesa Battista in Matera, Dott. Luca Reina, con la comunità Battista è in atto da molto tempo un dialogo ecumenico nella preghiera e nell’amicizia;
alle Autorità Civili e Militari presenti con le quali la Chiesa è in dialogo e cammina insieme per realizzare il bene comune.
Un particolarissimo pensiero e ringraziamento va a papa Francesco, che al Convegno di Firenze del novembre 2015 ha incoraggiato le Chiese che sono in Italia a intraprendere un percorso sinodale, “permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno” intravvedendo in questo stile di Chiesa sinodale l’urgenza di una conversione pastorale, perché la gioia del Vangelo raggiunga tutti e in modo particolare coloro che vivono le periferie esistenziali.
Un’occasione storica ci vede qui riuniti in questa Basilica – Cattedrale, Chiesa Madre della nostra Diocesi, l’apertura del Primo Sinodo della Chiesa di Matera – Irsina, da quando nel 1976 ha preso questa configurazione, Primo Sinodo dopo la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.
È proprio dal Concilio e dal Convegno di Firenze che la nostra Chiesa ha preso a muoversi nel realizzare l’anno scorso il percorso sinodale studiando l’Evangelii gaudium e le quattro costituzioni conciliari Sacrosanctum Concilium, Dei Verbum, Lumen gentium e Gaudium et spes.
Ora dopo l’indizione del Sinodo avvenuta il 19 maggio 2018 e la preparazione e la consegna dell’Instrumentum laboris siamo pronti per metterci in ascolto di ciò che lo Spirito suggerirà alla nostra Chiesa, in ascolto della Parola fatta carne che è viva ed efficace e che continua a manifestarsi nella carne dei poveri e a parlare attraverso il sensus fidei del popolo di Dio.
Le diciotto sessioni del Sinodo toccheranno alcuni punti essenziali della vita della Chiesa e della vita delle persone destinatarie dell’annuncio evangelico.
Partiremo sicuramente dal riscoprire la freschezza e la novità perenne della persona di Gesù Cristo e del suo Vangelo.
Gesù, vino nuovo, ha bisogno di essere accolto in otri nuovi e sempre capaci di rinnovarsi al contatto con Lui, per assumerne i sentimenti.
Papa Francesco a Firenze ha suggerito che il cristiano deve avere i sentimenti di Cristo per realizzare il nuovo umanesimo:
Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente.
Una Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più di una volta e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium, 49).
Vorremmo che lo stile sinodale fatto di ascolto di tutti, di parresia, di franchezza, di valorizzazione dei doni presenti in ciascuno, che sperimenteremo nel Sinodo, diventi lo stile ordinario e feriale delle nostre comunità, attraverso un reale funzionamento degli organismi di partecipazione ecclesiale. Una Chiesa in uscita che sappia andare incontro alle persone, che non si chiude nelle sacrestie, nei riti, in un devozionismo rassicurante o nel “si è fatto sempre così”, nell’autoreferenzialità.
Il Sinodo ci chiederà di rivedere le strutture ecclesiali perché siano a servizio dell’evangelizzazione e non fini a sè stesse o per preservare un certo prestigio.
L’azione pastorale bisogna che abbia al centro Gesù Cristo e il fine per cui è venuto: salvare l’uomo, tutto l’uomo e tutti gli uomini. Bisogna allora che conosciamo e amiamo gli uomini e le donne di questo nostro tempo, con le loro risorse e fragilità, con il desiderio di felicità e di verità che li anima, evitando giudizi facili o pregiudizi che allontanano.
La Chiesa “madre e maestra” oggi deve essere più madre, più capace di accoglienza e di tenerezza, capace di offrire speranza e di suscitare domande prima di dare risposte preconfezionate che magari non trovano riscontro nel cuore delle persone.
Dovremo rivedere il modo di fare catechesi, le forme di primo annuncio, di predicazione; dobbiamo riscoprire l’ars celebrandi, in questo ci aiuterà anche la pubblicazione del nuovo Messale, perché le nostre liturgie siano più vibranti dell’azione dello Spirito ed esperienza del mistero e meno spettacolo.
Vorremmo che la Chiesa tutta e ogni suo membro diventi più missionaria, più aperta alle novità dello Spirito alle necessità dei fratelli in umnaità.
Il Sinodo dovrà aiutare la Chiesa a farsi carico degli ultimi, dei piccoli, dei poveri, delle famiglie in difficoltà, dei senza speranza…
“A tutta la Chiesa italiana raccomando ciò che ho indicato in quella Esortazione: l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune.
L’opzione per i poveri è «forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 42). Questa opzione «è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà» (Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi). I poveri conoscono bene i sentimenti di Cristo Gesù perché per esperienza conoscono il Cristo sofferente. «Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche a essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro»” (Evangelii gaudium, 198).
Non è un caso ma una scelta voluta che il Sinodo cadesse proprio nell’anno in cui Matera è capitale europea della cultura. Al grande impegno che come Chiesa stiamo mettendo per dare un contributo significativo di eventi e di progettualità bisogna che cresca in ogni cristiano e in tutte le comunità la consapevolezza che la cultura non è appannaggio di poche élite, ma che è patrimonio comune e che la Chiesa tanto ha fatto e continua a fare perché la fede generi cultura.
Sempre papa Francesco a Firenze:
Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangelii gaudium, 227).
Ma dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile. …
La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media… La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia.
Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà.
(Un grande esempio ci viene da tutto il lavoro che la Fondazione Matera – Basilicata ha messo in atto da tempo per questo anno 2019).
Il Sinodo con coraggio e senza timori dovrà affrontare temi spinosi e difficili: “Una Chiesa che ha al centro il Signore, dove si impara ad amarsi gli uni gli altri, dove la preghiera e la lettura della Bibbia sono centrali, dove si incoraggi e valorizzi la condivisione delle storie di fede. Una Chiesa che non abbia paura di affrontare questioni spinose e temi difficili; una Chiesa attiva e impegnata, accogliente e comunicativa, attrezzata per affrontare le sfide del mondo con i suoi linguaggi, le sue tecnologie, i suoi problemi. Una Chiesa gioiosa e pellegrina, che entra nei condomini, nelle carceri, negli ospedali, nelle attività culturali e sociali con maggior entusiasmo, a partire da questo anno tutto particolare, il 2019, che abbiamo la grazia di vivere”.
Quello che ho delineato è solo un piccolo saggio del lavoro che ci attende tutti.
Sì, sappiamolo, il Sinodo è di tutta la Chiesa, dell’intero popolo di Dio: attraverso le proposte formulate dai Consigli pastorali in seguito alla lettura dell’Instrumentum laboris, la preghiera per il Sinodo che ogni giorno si eleverà da parte dei singoli e delle comunità, l’offerta di sacrifici e sofferenze da parte dei nostri anziani e malati, attraverso quanto verrà riportato puntualmente dai delegati delle parrocchie alle comunità… tutti siamo protagonisti del Sinodo.
Un compito tutto speciale, però, è riservato ai delegati al Sinodo.
Tra un po’, dopo la prolusione dell’Arcivescovo, saremo chiamati per nome, per fare la nostra professione di fede, come è uso prima di assumere ogni incarico ecclesiale, faremo un giuramento di fedeltà al Magistero della Chiesa e alla responsabilità che assumiamo dietro la nomina che l’Arcivescovo ha approntato per ciascuno, firmeremo il verbale di apertura del Sinodo.
Preghiamo per i delegati e in modo particolare per la segreteria del Sinodo che ha il compito di coordinare, di raccogliere materiali, di approntare in seguito il documento finale.
Lo Spirito Santo illumini il nostro Padre e Pastore perché possa guidare con saggezza e prudenza la Chiesa di Matera – Irsina, doni a Lui un cuore che ascolta e la fermezza nell’assumere decisioni per il bene del popolo di Dio e della missione della Chiesa in questo tempo di grazia che il Signore ci concede di vivere.
Buon Sinodo a tutti.
Riportiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata da Monsignor Pino Caiazzo per l’apertura del 1° Sinodo diocesano a Matera sul tema “Vigilia solennità del Battesimo di Gesù” e la prolusione di inizio Sinodo diocesano e la fotogallery della cerimonia religiosa che ha aperto il 1° Sinodo diocesano a Matera.
OMELIA PER INIZIO PRIMO SINODO DIOCESANO DI MATERA IRSINA
Carissimi, “è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”. Le parole che S. Paolo rivolge a Tito stasera sono annunciate a noi tutti che abbiamo dato inizio a questo primo Sinodo Diocesano di Matera – Irsina.
La solennità del Battesimo di Gesù, a conclusione delle feste natalizie, ci dona l’opportunità di ripensare al nostro Battesimo.
L’evangelista Luca ci aiuta a capire la differenza che esiste tra il Battesimo di Giovanni Battista e quello di Gesù: il primo amministrato solo “con acqua”, il secondo “in Spirito Santo e fuoco” che ci fa Chiesa. Per l’evangelista non è tanto importante presentare la descrizione del battesimo di Gesù, così come più esplicitamente fanno Marco e Matteo, quanto piuttosto “il dopo”, ciò che da quel momento in poi avviene.
Il Sinodo è una ulteriore opportunità che la grazia di Dio ci dona per riscoprire il nostro Battesimo e il senso di appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Ogni battezzato, figlio nel Figlio, è unto di Spirito Santo e come tale è chiamato a scoprire, a riscoprire la propria vocazione. Direbbe S. Paolo: “non adeguatevi alla mentalità di questo mondo”. Ecco perché abbiamo bisogno di professare la nostra fede con la vita ancor prima che con le parole. Sant’Ambrogio dice: “E’ con la fede che si tocca Cristo; è con la fede che si vede Cristo (Fide tangitur Christus, fide Christus videtur)” (Expos. ev. sec. Luc., VI, 57).
Gesù viene battezzato per ultimo, quando tutto il popolo era stato battezzato: “Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo”. Cosa significa? Finisce la missione del Precursore, è il suo ultimo atto del “tempo di Israele”, servito per preparare la strada al Signore. Finisce questo tempo e inizia quello di Gesù.
Noi siamo e viviamo nel tempo di Cristo e della Chiesa. Ma abbiamo bisogno di nutrirci della Parola evangelica, in ascolto della voce dello Spirito che parla attraverso la Chiesa. Le divisioni nel corpo di Cristo che è la Chiesa ci sono sempre state: visioni personalistiche e interpretazioni a sostegno delle proprie idee lacerano la Chiesa stessa. Pericolo che la Chiesa corre prevalentemente dall’interno oltre che dall’esterno.
La CEI, dopo il Convegno di Verona, in una nota pastorale dice: “A Verona Benedetto XVI ci ha ricordato che l’incontro con il Signore faccia emergere ‘soprattutto quel grande ‘sì’ che in Gesù Cristo ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza; come, pertanto, la fede nel Dio dal volto umano porti la gioia nel mondo’. Il ‘sì’ che continuamente e fedelmente Dio pronuncia sull’uomo trova compimento del ‘sì’ con cui il credente risponde ogni giorno con la fede nella parola di verità, con la speranza della definitiva sconfitta del male e della morte, con l’amore nei confronti della vita, di ogni persona, del mondo plasmato dalle mani di Dio”. E’ a partire da qui che dobbiamo chiederci che Chiesa vogliamo!
Infatti “il popolo era in attesa” di questo nuovo tempo: l’imminente venuta del Messia. Viene dissipata ogni ombra di dubbio: Giovanni Battista non è il Cristo! Colui che deve portare la pace, meglio ancora che è la pace, che instaura la giustizia e soddisfa relazioni umane che hanno il sapore della riconciliazione è l’atteso. Dice Giovanni, “viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali”. E infatti, Gesù, da quel momento “viene”, entrando nella storia di Israele come “il più forte”: “Sei tanto grande, Signore, mio Dio! Sei rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto, tu che distendi i cieli come una tenda”. Lo abbiamo sentito nella proclamazione del Salmo.
Non a caso dire Cristo significa dire Messia, riportandoci al senso dell’unzione, della consacrazione. L’unto di Dio è colui che riceve una missione da parte di Dio stesso: restaurare Israele. Il Profeta Isaia, nella prima lettura, ce lo presenta così annunciato: “Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede».
La Chiesa in quanto Sposa di Gesù Cristo entra con lui in comunione di amore e di vita (cfr. Ef 5,25ss.). Si stabilisce un dialogo: Cristo “parla” alla sua Sposa, mostrandole il volto del Padre, ma nello stesso tempo il suo volto di Sposo. La Chiesa, in questo dialogo d’amore, “risponde” allo Sposo (cfr. SC, 7). Così nasce e cresce la “fede”.
Nella Dei verbum troviamo scritto: “Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce del Vangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo (cf. Col. 3,16)” (n. 8). Il Sinodo deve aiutarci a scoprire la nostra vera identità come Chiesa, Sposa di Cristo.
La missione del Battista è stata quella di preparare la strada al Signore che è già in mezzo al popolo. Dopo aver indicato il Messia al popolo, si mette da parte: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Cristo porta lo Spirito Santo nella sua pienezza all’accoglienza di quanti sono ben disposti.
Chiediamoci: quale rapporto esiste tra lo Spirito Santo e il fuoco? Negli Atti degli Apostoli, il giorno di Pentecoste “lo Spirito Santo è sceso sugli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco” (At 2, 3). Per l’evangelista Luca, Spirito Santo e fuoco non sono due cose diverse, sono lo stesso dono di Dio a quanti riceveranno il Battesimo. Il Messia darà quello Spirito che trasforma e che rende i credenti uomini nuovi. Il fuoco mette sicuramente in evidenza la purificazione che avviene attraverso il Battesimo.
Ognuno di noi vive nel mondo con la missione di essere “sale” e “luce”. Dove? Sono tanti gli ambiti di vita umana. Riferendomi ancora una volta al Convegno di Verona, sono: la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione, la cittadinanza. Come? Sono le cinque vie individuate a Firenze: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare, per un umanesimo in ascolto, un umanesimo concreto, un umanesimo plurale e integrale, un umanesimo d’interiorità e trascendenza.
Un’ultima immagine prendo da questo brano evangelico: “il cielo si aprì”. E’ un’immagine che viene presentata quale frutto della preghiera di Gesù e che annuncia la volontà dell’incarnazione per cui Gesù da Dio si è fatto uomo. Il cielo si aprì come una porta. E’ Dio che ha aperto i cieli per comunicare con gli uomini. E’ la discesa dello Spirito Santo. Dio, ancora una volta, va incontro all’uomo perché questi s’innalzi verso di lui. Ci ricorda l’immagine della creazione dell’uomo quando Dio soffiò nelle narici del primo uomo, Adamo, impastato di terra e questi prende vita. Lo Spirito è Santo, cioè di Dio. Non è forse questo il dono che ogni battezzato, quindi ognuno di noi, ha ricevuto? Se viviamo è perché siamo abitati da Dio, quindi nati per vivere e non per morire.
Ma l’evangelista continua dicendo che lo Spirito Santo discese come “Colomba in forma corporea”. La colomba, secondo alcune espressioni del Profeta Osea e del Salmo 69, rappresenta il popolo d’Israele: “…accorreranno i suoi figli dall’occidente, accorreranno come uccelli dall’Egitto, come colombe dall’Assiria e li farò abitare nelle loro case” (Os 11,11); “Splendono d’argento le ali della colomba, di riflessi d’oro le sue piume” (Sl 69,14). In quel momento attorno a Gesù si sta formando il nuovo popolo di Dio, quello che sarà la Chiesa.
Il Sinodo è la porta che si apre per noi nei cieli, che squarcia il silenzio che ci separa da Dio. E’ Gesù, il Vino nuovo, che viene versato, attraverso la potenza dello Spirito Santo, in forma corporea, in tutti noi pronti ad essere otri nuovi.
La voce che viene dal cielo indica la presenza di Dio Padre che manifesta la sua autorevolezza ma che nello stesso tempo indica che al centro di tutta la scena c’è Gesù, il Figlio, che è una cosa sola con il Padre perché in lui c’è il medesimo Spirito di Dio: Trinità Amore!
Alla Madonna della Bruna, Madre che ci ha donato Gesù, nostro Salvatore, affidiamo la nostra Chiesa, questo cammino sinodale. Sia lei, insieme a S. Eufemia, S. Eustachio e S. Giovanni da Matera, a guidarci, a sostenerci con la sua preghiera, come gli Apostoli nel Cenacolo, a proteggerci. Così sia!
PROLUSIONE PER INIZIO PRIMO SINODO DIOCESANO DI MATERA IRSINA
Solennità del Battesimo di Gesù
Carissimi,
la nostra Chiesa di Matera – Irsina si ritrova unita in questa Basilica Cattedrale nel vespro della solennità del Battesimo di Gesù per dare inizio alla celebrazione del Primo Sinodo Diocesano.
Note storiche
Le due Diocesi di Matera e Irsina, dopo una prima unione “aeque principaliter”, sancita il 30 settembre 1976, sono state fuse il 30 settembre 1986, con la denominazione dell’Arcidiocesi di Matera – Irsina. Questo è il Primo Sinodo della nostra Arcidiocesi, che segue quello dell’Arcidiocesi di Acerenza – Matera del 1932.
Matera, riconosciuta “capitale della civiltà contadina”, inserita già nel 1993 nel patrimonio mondiale dell’UNESCO, quest’anno alza la bandiera di Capitale Europea della Cultura. Per la presenza delle case-grotta e delle centinaia di chiese rupestri, decorate di affreschi-icone bizantine, è stata anche definita “nuova Cappadocia”. Anche Irsina, antica Montepeloso, è considerata tra i borghi più belli d’Italia, divenendo sempre più frequentemente meta turistica a livello mondiale.
Annoveriamo tra gli Arcivescovi, succedutisi dopo l’unione con Acerenza (4 maggio 1204), Bartolomeo Prignano, napoletano, che resse le due diocesi dal 1363 al 1377. Trasferito a Bari, nel 1378 fu eletto Papa col nome di Urbano VI. Fu lui ad istituire la festa della Madonna della Bruna con il titolo di Madonna della Visitazione della Beata vergine Maria (la Bolla fu resa pubblica dal suo successore Bonifacio IX), fissandola al 02 luglio. Questa data resterà per sempre giorno solenne per Matera, che la festeggia come protettrice della Città. A ricordo di questo evento storico, S. E. Mons. Antonio Ciliberti ottenne dalla Custodia di Terra Santa il privilegio di edificare, negli spazi antistanti la chiesa della Visitazione, ad Ain Karem, un’edicola dedicata alla Madonna della Bruna. S. Giovanni Paolo II, in visita a Matera, il 27 aprile 1991, ne ha incoronata l’icona bizantina del sec. XIII e ha definito la nostra “Diocesi della Visitazione e del Magnificat”.
Tra Matera e Irsina, passando per la Val Basento e arrivando sul litorale del Mar Ionio, è scritta la storia degli altri 11 comuni che compongono l’intera Arcidiocesi: Montescaglioso (Dal 5 agosto 1910 l’Arcivescovo detiene il titolo di Abate di S. Michele Arcangelo), Bernalda (con frazione di Metaponto e Serra Marina), Miglionico, Pomarico, Grottole, Salandra, Ferrandina (con frazione di Macchia di Ferrandina), Craco, Pisticci (con annesse frazioni di Pisticci Scalo, di Marconia e Tinchi) Scanzano (con frazione di Terzo Cavone), Montalbano Jonico.
Saluti e ringraziamenti
Saluto e ringrazio per la loro presenza, i confratelli vescovi della Basilicata. E’ un bel segno di comunione: ci sosteniamo a vicenda perché lavoriamo nell’unica Vigna del Signore, la Chiesa, dove Egli ci ha posto, con l’unico intento di pascere il gregge che ci è stato affidato. L’episcopato lucano è espressione di una sinodalità in atto che guarda con lo stesso amore e la stessa determinazione l’intera terra di Basilicata che siamo stati chiamati a servire, annunciando il Vangelo di Gesù, la Bella Notizia.
Saluto con particolare affetto l’intero presbiterio (un ricordo particolare ai confratelli sacerdoti ammalati o anziani: Mons. Antonio Tortorelli, Don Mimì Morelli, Don Nicola Tommasini, Don Nicola Colagrande, Don Giovanni Punzo, Don Leonardo Selvaggi, Don Damianino Fontanarosa), i diaconi, i religiosi e le religiose.
Saluto le autorità, civili e militari, presenti e quanti hanno inviato un pensiero perché impossibilitati a partecipare. Grazie per la vostra presenza.
Saluto le comunità parrocchiali, in particolare i consigli pastorali che durante il percorso sinodale hanno lavorato seriamente e con determinazione, così come i gruppi, i movimenti ecclesiali, i cammini di fede, le associazioni.
Un particolare saluto permettetemi che io faccia ai “padri sinodali”: laici, consacrati e presbiteri che si sono adoperati con impegno, abnegazione, seguendo il coordinamento sapiente e puntuale di Mons. Filippo Lombardi e della Segreteria che ha lavorato alacremente.
Perché celebrare il Sinodo
Con l’impegno di tutti siamo giunti a questo momento, incominciando dall’operato del mio confratello predecessore, Mons. Salvatore Ligorio, di cui conserviamo i verbali della visita pastorale. Sono contributi essenziali poiché elevano una voce comune, quella di una Chiesa consapevole della sua storia, protesa al futuro con stile missionario, perchè guidata dallo Spirito Santo.
Celebrare il Sinodo significa lasciarsi interpellare dalla Parola di Gesù, credendo in quello che lui ci dice: “Se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore” (Gv 12,26).
Rivisitiamo l’Evangelii Gaudium
Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, che ci ha guidato nel nostro percorso sinodale, Papa Francesco ricorda come deve essere la missione della Chiesa oggi. Le sue indicazioni ci mostrano le strade da percorrere nella quotidianità, nelle nostre parrocchie, nelle esperienze di gruppi, associazioni, cammini di fede. Papa Francesco ci invita caldamente a guardare la realtà così com’è, non per lamentarci, seminare malumore, discredito, piuttosto, se pur con sofferenza, a vivere con spirito di sapienza e discernimento la nostra Chiesa locale.
Riporto alcuni brevissimi brani che mi sembra sintetizzino quanto vogliamo vivere celebrando il nostro Sinodo:
- “Bisogna non perdere la tensione per l’annuncio a coloro che stanno lontani da Cristo, perché questo è il compito primo della Chiesa. L’attività missionaria rappresenta, ancora oggi, la massima sfida per la Chiesa e la causa missionaria deve essere la prima… È necessario passare da una pastorale di conservazione a una pastorale decisamente missionaria” (n. 15).
Papa Francesco ci invita ad un cambiamento che non è teso a una missionarietà programmatica ma paradigmatica. Nel discorso di Natale fatto alla Curia Romana nel Dicembre del 2016 dice che il “cambiamento delle strutture” non può derivare da un’analisi asettica dalla quale trarre metodi per far funzionare la Chiesa o una singola parrocchia. La missione non è staticità rinnovata. Il cambiamento è una conseguenza della dinamica della missione: nuovi modelli mentali, nuovi pensieri capaci di attuare un rinnovamento che non avviene attraverso il cambio di persone, di tradizioni, di liturgie tradizionaliste o progressiste: “E’ un processo di crescita e soprattutto di conversione”. Uomini nuovi significa, rinnovati, cambiati dall’incontro con Cristo e la sua Parola.
E’ il senso del “Vino nuovo in otri nuovi”, di cui parla Gesù. E’ Lui, Gesù, il Vino nuovo, la Parola che si fa carne, nella nostra carne, in otri nuovi.
Il cambiamento paradigmatico, al quale ci richiama Papa Francesco, non ci chiede di fare cose nuove, ma di fare nuove le cose! Ritornare a mettere Cristo al centro della vita del cristiano e della Chiesa. E’ l’incontro con lui che cambia la storia personale, che dà gioia nell’esperienza di un Dio misericordioso pronto a raccogliere ogni uomo caduto e ricoperto dal fango dei suoi errori. E’ la missione della “Chiesa che non è una ONG”: annuncia Cristo con coraggio e determinazione. La bellezza del Vangelo, della buona notizia che da millenni attraversa le strade del mondo intero, entra nelle case e penetra i cuori dei suoi abitanti. «Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e, allo stesso tempo, più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa» (EG 35).
Una pastorale, dunque, non arroccata e chiusa in schemi dettati dal suono delle campane che chiamano, ma in cammino, per le strade, che suona i campanelli dei singoli che, chiusi nel loro mondo, aspettano una parola che li incoraggi ad uscire, incontrare Cristo, ritornare a scoprire la bellezza dell’essere Chiesa.
- “È vitale che oggi la chiesa esca ad annunciare il vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura. La gioia del vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno” (n. 23).
Nelle nostre comunità parrocchiali c’è tanta vitalità per la presenza di gruppi che lo Spirito Santo ha suscitato. Dobbiamo uscire dalla mentalità di una pastorale di conservazione, viceversa si corre il rischio di rimanere intrappolati nel seguire e stare solo con chi frequenta le nostre assemblee o le strutture parrocchiali. La maggioranza dei fedeli ha bisogno di essere raggiunta nelle situazioni di sofferenza, che non sono solo quelle fisiche o di povertà materiali.
La preoccupazione principale di Papa Francesco è rivolta soprattutto a quel “primo annuncio”, che certamente non esaurisce la missione della Chiesa, però le apre la strada sulla quale camminare insieme. “Ogni rinnovamento della Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale” (n. 27). Ritornano in mente le parole che Gesù rivolge agli operai: “Andate anche voi nella vigna e vi darò quello che è giusto…Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?”
Il Sinodo, dunque, vuole scuoterci, invitarci ad uscire da quella situazione di comodo che trova la sua sintesi nell’affermazione: “Si è sempre fatto così”.
“La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore, e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi” (EG 24).
Un Sinodo che volesse solo norme da rispettare e da imporre è fallito in partenza. Le normative nella Chiesa ci sono già. Conversione significa uscire dal proprio modo di intendere la pastorale, la parrocchia e ascoltare di più quanto la Chiesa, in quanto Madre e Maestra, ci ha sempre insegnato. Non abbiamo bisogno di un Sinodo per riscrivere le norme liturgiche, il percorso catechistico, l’azione caritativa, e così via
- “La gioia del vangelo giunga sino ai confini della terra, e nessuna periferia sia priva della sua luce” (n. 228).
Quando parliamo di periferie esistenziali c’è il rischio di dare un’interpretazione che ha più un sapore sociologico che evangelico, più politico che di annuncio di liberazione. In realtà le periferie esistenziali corrispondono a quella umanità che è diventata così povera e misera da essere incapace di considerare l’altro come fratello. A difesa della propria religione e delle proprie tradizioni, c’è il rischio di diventare uomini dal cuore indurito che non si commuove di fronte a uomini, donne e bambini costretti a rimanere per settimane sulle navi in balia delle onde, perché nessuno, né in Italia, né in Europa vuole aprire i porti e farli scendere.
“Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” ( n.49). La gioia del Vangelo è anima essenziale di ogni ministero: vescovo, prete, religioso, religiosa, laico impegnato. Da innamorati di Cristo e della Chiesa il servizio diventa una gioia che fa superare la tristezza del limite personale e di quello dei fratelli.
Un serio cammino di fede ci fa vincere la tentazione di voler difendere il proprio posto in quella determinata parrocchia, in quel gruppo, in quel ministero. Nessuna porzione di Chiesa è personale e nessun servizio è per sempre. Nello spirito della Chiesa Comunione si lavora sempre e comunque per il bene dell’intera Chiesa di Matera – Irsina. Chiesa da amare, perché così ognuno cercherà solo il bene della Madre e Sposa e non l’interesse personale o il ruolo di prestigio. Chiesa da rispettare, e non da ferire, con una vita santa, vissuta nella grazia di Dio e nutrita della Parola.
Avere una Chiesa che rinuncia a seguire il suo Signore, significa avere una Chiesa malata. Ritornano attuali le parole di Dietriech Bonhoeffer, quando diceva: «Dio, inteso come ipotesi di lavoro morale, politica, scientifica, è eliminato, superato (..) E non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo».
Bonhoeffer (1906-1945), teologo non cattolico, venne arrestato il 5 aprile del 1943, quando aveva 37 anni, con l’accusa di aver cospirato contro Hitler. Venne ucciso nel campo di concentramento di Flossenburg il 9 aprile del 1945. Il suo pensiero è illuminante anche oggi. Oggi, più di ieri, viviamo in un mondo dove tutto è apparentemente spiegabile. Gli uomini si ritengono già tutti “adulti” perché si sentono tanto maturi da non avere bisogno di Dio. Si ritiene la scienza l’unica risposta ai tanti dubbi e quesiti. La tecnologia moderna ci fa sentire tutti “onnipotenti”, perché pensiamo di essere in grado di creare qualsiasi cosa, per cui non abbiamo bisogno del trascendente. Siamo bravi ad usare i simboli cristiani, ma ce ne serviamo per ottenere consensi populisti.
Bonheffer diceva che il nostro era un mondo non – religioso. Noi oggi cosa diremmo? Abbiamo ancora la visione di Dio che, come un Deus ex machina, interviene a risolvere tutti i problemi senza che l’uomo avverta la sua azione e la sua presenza? Infatti ci sono forme di debolezze e drammaticità nelle quali l’uomo ritorna a cercare il rapporto con Dio. Basti pensare alla condizione della morte, di fronte alla quale ogni uomo, anche ateo, cerca soccorso e risposte, cerca di nuovo Dio.
Tutte le parrocchie, con annesse aggregazioni laicali, hanno bisogno di ricevere una rinnovata spinta all’evangelizzazione, vincendo quell’esacerbato individualismo (EG 78), che rischia di appiattire le comunità in una sorta di sterile autoreferenzialità.
Di qui nasce l’urgenza della presenza costante di uomini e donne innamorati di Cristo, pronti ad evangelizzare le comunità parrocchiali, perchè mostrino sempre di più il volto della fede attraverso il servizio della carità inteso come attenzione ad ogni tipo di sofferenza e malessere.
Alla luce di quanto ci dice l’Evangelii gaudium, il Sinodo diventa un’occasione unica, una testimonianza viva per riaccendere la passione missionaria della nostra Chiesa di Matera – Irsina, in capite et in membris… “Vino nuovo in otri nuovi” per una conversione del cuore che desidera uscire dalla tentazione di lasciare le cose come stanno.
Una fede, la nostra, non avulsa dalla vita, una fede che, come lievito, fermenti la pasta perché produca un pane buono da gustare e dia spinta vitale per una storia nuova, capace di liberarsi da vecchie e nuove schiavitù. Solo così, avendo come vessillo la “Croce”, si diventerà protagonisti di una “rivoluzione” dove il “noi” sostituirà l’”io” imperante, ogni forma di egoismo, facendo così prevalere la giustizia.
Diceva Don Tonino Bello: “La pace senza la giustizia è peggio della guerra”. Si avverte l’urgenza di una politica che esca da schemi ideologici con steccati e paletti che mortificano la dignità dell’uomo, quindi una politica redenta. In questo modo si potrà costruire un avvenire di speranza soprattutto per le nuove generazioni, i nostri giovani, costretti a lasciare la nostra amata terra, i propri affetti per cercare, lontano da ogni sguardo amico, quanto non viene trovato a casa propria. C’è bisogno di cristiani capaci di dialogare con l’intera comunità umana.
Abbiamo tanto da imparare anche da chi è fuori dallo steccato delle nostre comunità. Nell’anno in cui Matera è chiamata ad essere la Capitale Europea della Cultura, noi celebriamo il Sinodo. Cultura è anche Sinodo, camminare insieme. E’ possibile se sappiamo dialogare: ascoltare ma anche proporre. Si apre davanti a noi una strada nuova per un cammino nuovo, pieno di speranza, soprattutto perché fatto insieme. E’ quanto stiamo già attuando attraverso “Terre di Luce” e “I Cammini”.
«La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (EG 24). Tutto si fa insieme: ognuno ha bisogno dell’altro. Il Sinodo ci invita a camminare insieme perché non ci siano nella Chiesa tante “chiese” modellate su esperienze personali, di gruppi o di pastori.
Nascerà una nuova cultura ecologica, vera, autentica, che significa attenzione alla terra, casa comune, che ci appartiene, perché ci ha accolti e ci sta nutrendo. Una casa di tutti nella quale tutti dobbiamo contribuire a renderla sempre più bella. A nessuno dobbiamo permettere di sporcarla, facendoci respirare tossicità e mangiare frutti intrisi di veleni. Fare Sinodo è anche tutto questo. Sono la forza della Parola e la guida dello Spirito Santo che ci impongono di essere protagonisti propositivi: la forza della denuncia porti ad una vera conversione che diventa profezia, annuncio di salvezza, buona notizia, cioè Vangelo.
Con Papa Francesco e insieme a voi tutti, “Invoco ancora una volta lo Spirito Santo, lo prego che venga a rinnovare, a scuotere, a dare impulso alla chiesa in un’audace uscita di sé per evangelizzare tutti i popoli” (n. 261).
†Don Pino
La fotogallery dell’apertura del Sinodo diocesano nella Cattedrale di Matera (foto www.SassiLive.it)