Pierluigi Diso ha inviato una nota per esprimere alcune riflessioni a distanza di cento anni dall’appello di Don Luigi Sturzo. Di seguito la nota integrale.
Cento anni fa il prete di Caltagirone scrisse l’Appello ai liberi e forti,che divenne poi il manifesto del Partito Popolare Italiano al momento della sua fondazione. Don Luigi Sturzo fu prete, ma anche maestro di vita, di verità, di giustizie e di verità. Fu maestro nell’insegnare ai cattolici il dovere di interessarsi della cosa pubblica, il dovere di impegnarsi di persona, il dovere di testimoniare i principi cristiani anche nella politica, il dovere di servire e mai di dominare, di unire e non dividere. L’appello è una pietra miliare della storia del Cristianesimo democratico italiano, è una pietra miliare come visione strategica dello Stato in una concezione laica, come casa di tutti. Ecco che il popolarismo sturziano non è solo attuale ma anche attuabile, partendo proprio dalla funzione pedagogica della buona politica. L’appello enuncia l’esigenza di uno “Stato veramente popolare…….., ove le riforme avvengano dal basso, non sulla base di contrattazioni estenuanti tra gruppi di potere, ma sulla base di una vera cultura politica di valori morali e sociali.Eppure fino ad allora, a seguito del non expedit, ai cattolici italiani era vietata qualsiasi forma di partecipazione alla vita pubblica del neonato Regno: “né eletti, né elettori”. L’appello contiene i caratteri fondamentali di quello che sarà poi definito popolarismo, una sorta di trasposizione in politica dei caratteri sociali ed etici della dottrina sociale della Chiesa cattolica, assorbendo anche alcuni principi propri del conservatorismo, del liberalismo, e addirittura del socialismo. L’appello chiamava a raccolta tutti i “liberi e forti”, senza distinzione di confessione o credenza, disegnando i caratteri di un partito centrista e moderato, pronto ad alleanze con i liberali. L’Appello poneva particolare attenzione a riforme democratiche come l’ampliamento del suffragio elettorale, compreso il voto alle donne, si esaltava il ruolo del decentramento amministrativo e della piccola proprietà rurale contro il latifondismo. Bisogna rammentare che molte di queste posizioni non erano del tutto accettate dalla società di inizio ‘900. Il ruolo delle donne nella società, come quello dei sindacati o dei comuni non era patrimonio comune della nazione. Soprattutto da parte della gerarchia il ruolo dei sindacati, nonostante l’enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII, continuava ad essere poco gradito. L’attualità dell’Appello ai liberi e forti, oggi, riguarda l’aspetto tormentato della vicenda democratica italiana. La sfida che abbiamo di fronte richiede un analisi attenta e approfondita.Siamo di fronte a un cambiamento vero, più profondo di quanto immaginiamo, che non va letto con superficialità. Gli italiani hanno compiuto scelte che portano alla ribalta posizioni e atteggiamenti nuovi. Con le ultime elezioni politiche è tornato in auge l’appello ai valori, o meglio ai valori gridati, che nella storia del nostro paese ha sempre rappresentato, all’apparire del declino della politica, un ancoraggio solido.C’è una Chiesa che vive una stagione di ripiegamento, un po’ per nostalgia del tempo di Ruini, un po’ per mancanza di fiducia nel laicato. La mancanza di un partito di tipo degasperiano non aiuta la Chiesa, né tanto meno l’Italia. Occorre riprendere l’attività di mediazione o quel lavoro di filtro tra fede e politica che ha permesso ai cattolici di esercitare in cinquant’anni di vita repubblicana un decisivo ruolo di guida politica. Ecco, intanto che maturi l’interrogativo sul presente e sul futuro del cattolicesimo italiano, insieme alla valutazione più serena del giudizio sulla irrepetibilità di determinate esperienze storiche, si perde e si degrada un pezzo della nostra democrazia.Ignorare il panorama della “questione cattolica”, cancellando la memoria storica, ci porta fuori strada. Occorre riconoscere errori e fallimenti, prendere atto di un progetto che per nostri limiti non è riuscito a dispiegarsi e a radicarsi durevolmente, generando identità e senso di appartenenza. Occorre perciò ripartire dal basso, dai territori e dalle comunità, dalla pluralità e diversità delle storie e delle culture, per dar vita ad una larga rete di sostegno e di coesione ad una alleanza, politica e sociale, capace di promuovere un’alternativa seria. Ed ecco che viene in soccorso l’esempio di cento anni fa, in un analogo contesto di crisi e sofferenza per l’Italia, in cui Don Luigi Sturzo lanciò l’appello ai “liberi ed ai forti” con l’obiettivo unire le forze per la salvezza dell’Italia, proponendo di “attingere dall’anima popolare gli elementi di conservazione e di progresso”. Certo, l’appello del 1919 è consegnato alla storia, ma lo spirito che lo animò rappresenta tuttora un monito per noi, un punto luminoso per il nostro presente.Accettiamo dunque la sfida, guardiamo oltre con lungimiranza. Il Buon governo esige buona cultura e Sturzo aveva un sogno: trasformare il pensiero e l’atteggiamento dei cattolici verso la vita moderna e i problemi sociali e per realizzarlo fondò il Partito Popolare, che definì acattolico perché disse: ”il cattolicesimo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione”, per questo il prete siciliano si rivolse solo agli uomini liberi e forti, perché si unissero in una battaglia politica che mettesse al centro la persona, la famiglia, che lottasse contro il clientelismo, la corruzione, la mafia.L’appello sturziano è oggi più che mai attuale e necessario; solo un simile appello a uomini liberi e forti potrebbe scuotere le coscienze di molti che vogliono dedicarsi alla società civile con sacrificio, dedizione e professionalità.Dare vita oggi al pensiero di Don Luigi Sturzo, al di là delle contingenze storiche, significa evidenziare ed esaltare la testimonianza di un sognatore; significa disporre di uno strumento prezioso, fatto di idealità, utopia e pratica quotidiana, che però aiuta a riflettere sulle condizioni necessarie perché ogni giocatore in campo faccia la propria parte per conseguire il bene comune, in base all’apporto di ciascun individuo che vuole prodigarsi per la società in cui vive, nell’assunzione di responsabilità verso la cosa pubblica.