Il senatore lucano Cillis (M5s) presenta interrogazione per stato dell’arte eventuale esistenza del segreto industriale su sostanze chimiche utilizzate nelle trivellazioni petrolifere”. Di seguito la nota integrale.
Ho interpellato il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, per valutare lo stato dell’arte riguardo l’eventuale esistenza del “segreto industriale” sulle sostanze chimiche utilizzate nelle trivellazioni.
Nei video integrali pubblicati sulla mia pagina facebook, le premesse su cui si è basata la mia interpellanza così come la risposta del sottosegretario on. Micillo che ha colto compiutamente le nostre ragioni rispetto alla delicata questione delle sostanze chimiche usate nelle estrazioni petrolifere.
Interpreto la risposta come un segnale di grande attenzione alla problematica ed apprezzo particolarmente la parte della risposta che mette una volta per tutte la parola fine alla questione del segreto industriale che era diventato l’ostacolo insormontabile per i cittadini e le associazioni ogni volta che venivano richieste spiegazioni in merito alle sostanze chimiche utilizzate. Inoltre è apprezzabile che siano diversi i soggetti pubblici a cui la compagnia petrolifera deve comunicare entro 30 giorni dal rilascio del provvedimento autorizzativo e successivamente con cadenza annuale, i dati relativi ai prodotti chimici usati.
Nel merito della questione da me posta e fortemente “sentita” dai cittadini lucani, il sottosegretario on. Micillo ha così risposto <<… tenuto conto che non risulta che la normativa vigente preveda l’utilizzo di sostanze chimiche coperte da “segreto industriale” per le attività di trivellazione ed estrazione petrolifera, qualora nei siti interessati da tali attività siano utilizzate sostanze classificate come pericolose, le relative schede di sicurezza devono essere conservate dai datori di lavoro ed essere rese accessibili ai lavoratori operanti negli impianti, oltre che alle Autorità responsabili dei controlli ufficiali, effettuati, nel caso specifico, in base all’Accordo adottato in sede di Conferenza Stato-Regioni il 29 ottobre 2009.
Si richiama, infine, la disciplina sanzionatoria, stabilita dal D.lgs. n. 133/2009, per la mancata osservanza delle disposizioni previste dal REACH in materia di informazioni lungo la catena di approvvigionamento. Da ultimo si segnala che gli impianti di estrazione siti nella Regione Basilicata sono soggetti ad AIA e a VIA regionale.
A tal proposito, la Regione ha fatto presente che la documentazione tecnica presentata ai fini istruttori in tali procedure reca riferimenti alla composizione dei fanghi e alle modalità di gestione e smaltimento. Più nello specifico, l’Amministrazione regionale ha segnalato che le sole acque di processo derivanti dalla trattazione dell’olio sono, in parte, destinate alla reiniezione in unità geologiche profonde mediante il pozzo “Costa Molina 2”, mentre i fanghi prodotti dall’impianto di trattamento acqua di strato devono essere smaltiti, a norma di legge, come rifiuto in discariche autorizzate. L’impianto di trattamento delle acque di processo è stato allestito in funzione della reiniezione, in unità geologica profonda, delle acque di strato (associate al greggio e da esso separate).
Nel provvedimento di ratifica di modifica non sostanziale dell’AIA di cui alla D.G.R. n. 627/2011 è stato autorizzato il prosieguo dell’attività di scarico in unità geologiche profonde delle acque di strato mediante il pozzo “Costa Molina 2” con prescrizioni poste in capo alla società Eni. In particolare, la prescrizione 7 prevede che, ai fini della caratterizzazione delle sostanze additive impiegate, il gestore deve trasmettere, entro 30 giorni dal rilascio del predetto provvedimento, e successivamente con periodicità annuale, alla Regione Basilicata, alla Provincia di Potenza, all’ARPAB, all’Azienda Sanitaria di Potenza (ASP), ai Comune interessati e all’Osservatorio Ambientale Val d’Agri una dettagliata relazione tecnica dalla quale risulti:
l’elenco delle sostanze additive utilizzate (formula e denominazione secondo la nomenclatura chimica, specificazione del principio attivo) accompagnate dalle schede tecniche di sicurezza;
la concentrazione delle sostanze utilizzate nelle acque di strato, valutata su un numero significativo e rappresentativo di determinazioni analitiche;
le informazioni dei corrispondenti prodotti commerciali, che potranno anche essere modificati nell’arco di validità dell’autorizzazione purché rimangano inalterate le sostanze additive e i principi attivi …>>
Il Ministero dell’Ambiente ha già provveduto, e provvederà per il futuro, a svolgere le attività e le valutazioni di competenza in materia, con il massimo grado di attenzione, e svolgerà un’attività di monitoraggio, tenendosi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
Aula Camera, 22 marzo 2019
Interpellanza urgente n. 2-00300 presentata dall’On. Cillis ed altri.
(Problematiche connesse alle sostanze chimiche utilizzate nelle trivellazioni petrolifere)
Con riferimento alle questioni poste si segnala, innanzitutto, che le stesse richiamano in parte una complessa problematica ambientale relativa al Centro Oli Val D’Agri di Viggiano, già seguita dal Ministero dell’ambiente dopo gli eventi del 2016 che portarono al sequestro preventivo da parte dell’Autorità giudiziaria di una parte degli impianti del COVA e del pozzo di reiniezione Costa Molina 2. In quella stessa occasione, il Ministero aveva segnalato ad ARPAB l’esigenza di mettere in atto un monitoraggio mirato a rilevare l’eventuale presenza nelle acque anche di composti chimici connessi con il processo di separazione trifasica del greggio.
Per quanto concerne, più in particolare, gliadditivi utilizzati nel corso delle perforazioni petrolifere in Basilicata, si ritiene opportuno evidenziare, innanzitutto, il quadro normativo di riferimento. Ai sensi della direttiva 2008/98/CE, come recepita dal d.lgs. 152/2006 nell’articolo 185, i rifiuti provenienti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento e dall’ammasso delle risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave non rientrano nel campo di applicazione della normativa ambientale, poiché regolati da altre disposizioni normative. Per tali tipologie di rifiuti occorre, infatti, fare rifermento alla direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive, come recepita dal D.lgs. 30 maggio 2008, n. 117.
Tale decreto stabilisce, in merito alle tipologie di rifiuti in questione, precise indicazioni riguardo il divieto di abbandono, di scarico e di deposito e smaltimento incontrollati sul suolo, nel suolo e nelle acque superficiali e sotterranee. Viene, inoltre, stabilito che il deposito dei rifiuti avvenga in strutture opportunamente predisposte e a specifiche condizioni, che sono oggetto di autorizzazione rilasciata dall’Autorità competente mediante lo svolgimento delle medesime procedure previste per il titolo di legittimazione mineraria. Il medesimo decreto n. 117/2008 prevede, altresì, l’obbligo per il gestore di predisporre, oltre ad un piano di sicurezza, anche un piano di gestione che contenga tra l’altro: la caratterizzazione dei rifiuti di estrazione e una stima del quantitativo totale di rifiuti di estrazione che verranno prodotti nella fase operativa; nonché la descrizione delle operazioni che producono tali rifiuti e degli eventuali trattamenti successivi a cui questi sono sottoposti. Ai sensi del predetto decreto spetta, infine, alle Agenzie regionali di protezione ambientale territorialmente competenti di verificare che l’operatore abbia adottato le misure necessarie per rispettare la normativa vigente in materia di ambiente.
Per quanto concerne gli adempimenti relativi alle schede di sicurezza previsti dall’art. 31 del regolamento REACH, i dettagli informativi e lo schema di tali schede sono indicati nell’allegato II al regolamento medesimo, recentemente aggiornato. Il predetto articolo stabilisce che i fornitori di sostanze o di miscele classificate come pericolose devono trasmettere gratuitamente al destinatario immediatamente a valle le relative schede di sicurezza contenenti una serie di informazioni sulle caratteristiche di pericolo delle sostanze o delle miscele e sulle misure atte a prevenire i rischi per la salute umana e per l’ambiente negli scenari d’uso previsti.
Ai sensi dell’art. 35 del regolamento REACH, i datori di lavoro sono tenuti, inoltre, a dare accesso ai lavoratori e ai loro rappresentanti alle informazioni contenute nelle schede di sicurezza. Ciascun fabbricante, importatore, utilizzatore a valle o distributore, ai sensi dell’art. 36, ha peraltro l’obbligo di conservare le informazioni relative alle schede di sicurezza per almeno 10 anni e di renderle disponibili, su richiesta, alle Autorità nazionali competenti e all’Agenzia europea per le sostanze chimiche.
Atteso quanto esposto, con riferimento al caso in esame, tenuto conto che non risulta che la normativa vigente preveda l’utilizzo di sostanze chimiche coperte da “segreto industriale” per le attività di trivellazione ed estrazione petrolifera,qualora nei siti interessati da tali attività siano utilizzate sostanze classificate come pericolose, le relative schede di sicurezza devono essere conservate dai datori di lavoro ed essere rese accessibili ai lavoratori operanti negli impianti, oltre che alle Autorità responsabili dei controlli ufficiali, effettuati, nel caso specifico, in base all’Accordo adottato in sede di Conferenza Stato-Regioni il 29 ottobre 2009. Si richiama, infine, la disciplina sanzionatoria, stabilita dal D.lgs. n. 133/2009, per la mancata osservanza delle disposizioni previste dal REACH in materia di informazioni lungo la catena di approvvigionamento. Da ultimo si segnala che gli impianti di estrazione siti nella Regione Basilicata sono soggetti ad AIA e a VIA regionale.
A tal proposito, la Regione ha fatto presente che la documentazione tecnica presentata ai fini istruttori in tali procedure reca riferimenti alla composizione dei fanghi e alle modalità di gestione e smaltimento. Più nello specifico, l’Amministrazione regionale ha segnalato che le sole acque di processo derivanti dalla trattazione dell’olio sono, in parte, destinate alla reiniezione in unità geologiche profonde mediante il pozzo “Costa Molina 2”, mentre i fanghi prodotti dall’impianto di trattamento acqua di strato devono essere smaltiti, a norma di legge, come rifiuto in discariche autorizzate. L’impianto di trattamento delle acque di processo è stato allestito in funzione della reiniezione, in unità geologica profonda, delle acque di strato (associate al greggio e da esso separate).
Nel provvedimento di ratifica di modifica non sostanziale dell’AIA di cui alla D.G.R. n. 627/2011 è stato autorizzato il prosieguo dell’attività di scarico in unità geologiche profonde delle acque di strato mediante il pozzo “Costa Molina 2” con prescrizioni poste in capo alla società Eni. In particolare, la prescrizione 7 prevede che, ai fini della caratterizzazione delle sostanze additive impiegate, il gestore deve trasmettere, entro 30 giorni dal rilascio del predetto provvedimento, e successivamente con periodicità annuale, alla Regione Basilicata, alla Provincia di Potenza, all’ARPAB, all’Azienda Sanitaria di Potenza (ASP), ai Comune interessati e all’Osservatorio Ambientale Val d’Agri una dettagliata relazione tecnica dalla quale risulti: a) l’elenco delle sostanze additive utilizzate (formula e denominazione secondo la nomenclatura chimica, specificazione del principio attivo) accompagnate dalle schede tecniche di sicurezza; b) la concentrazione delle sostanze utilizzate nelle acque di strato, valutata su un numero significativo e rappresentativo di determinazioni analitiche; c) le informazioni dei corrispondenti prodotti commerciali, che potranno anche essere modificati nell’arco di validità dell’autorizzazione purché rimangano inalterate le sostanze additive e i principi attivi.
Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura dunque che le problematiche rappresentate sono tenute in debita considerazione dal Ministero dell’ambiente, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un’attività di monitoraggio, tenendosi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.