Giovedì 18 aprile 2019 alle ore 18 all’interno di Palazzo Lanfranchi a Matera è in programma l’inaugurazione della mostra d’arte “Rinascimento visto da sud. Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500” a cura di Marta Ragozzino, Pierluigi Leone de Castris, Matteo Ceriana e Dora Catalano. La mostra resterà aperta fino al 19 luglio 2019.
Da periferia a centro.
Non unico ma affatto secondario, del Rinascimento italiano.
E’ il cambio di prospettiva che, rispetto ad una storiografia imperante, propone la grande mostra Rinascimento visto da Sud. Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500 che si può ammirare dal 19 aprile al 19 agosto 2019 al Museo nazionale di arte medievale e moderna della Basilicata in Palazzo Lanfranchi, naturalmente a Matera, quest’anno Capitale Europea della Cultura. Ed è la Fondazione Matera-Basilicata 2019 insieme al Polo Museale della Basilicata che propongono e coproducono questa fondamentale rassegna, affidata alla cura di Marta Ragozzino, Pierluigi Leone de Castris, Matteo Ceriana e Dora Catalano.
200 selezionatissime opere, con prestiti dai più importanti musei europei, documentano la fioritura artistica e culturale avvenuta nell’Italia meridionale nel secolo a cavallo tra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento. Allargando la visuale al più ampio contesto del Mediterraneo. In una mostra che rovescia il punto di vista tradizionale su uno dei più importanti periodi storico artistici e offre una nuova lettura del Rinascimento, mettendo in luce la centralità delle rotte mediterranee, gli scambi e i rapporti tra le culture, i viaggi degli artisti e delle loro opere.
Una storia meridiana, fatta di contaminazioni culturali e scambi intensissimi tra le sponde del Grande Mare, in quel secolo speciale durante il quale, con la scoperta dell’America, si è ‘allargato’ il mondo.
Che mostra come e quanto questo spazio equoreo sia stato percepito come esiguo, facilmente percorribile e passibile di continui rapporti e, allo stesso tempo, avvertito come vasto, irrelato e ostile.
La grande esposizione materana “rivela – afferma Marta Ragozzino – la rete potente di circolazioni culturali e scambi, tra nord e sud ma anche tra est ed ovest, che hanno visto la Basilicata e il Sud farsi naturale epicentro di idee, innovazioni, culture. Dalle Fiandre alla Spagna, da Costantinopoli a Venezia, Firenze e Roma. Ad alimentare la fioritura di una vicenda artistica alternativa a quella ben nota e paradigmatica delle capitali del Rinascimento, frutto prezioso di una straordinaria koiné meridiana. Della quale appare importante riconoscere e leggere dinamiche, protagonisti e comprimari e il cui centro gravitazionale presto divenne Napoli, già capitale culturale ‘internazionale’ nel XIV secolo sotto i più importanti re angioini, in particolare durante il regno di re Roberto. Proponendo una rilettura interdisciplinare, attenta alla dialettica tra “centro e periferia”.
In Palazzo Lanfranchi e nella attigua Chiesa del Carmine ad essere proposta, in un percorso arricchito da grandi immagini e postazioni multimediali di approfondimento, è una stimolante rilettura di testimonianze culturali e scientifiche le più diverse: dipinti, sculture, miniature, medaglie, oreficerie, arazzi, tessuti, maioliche, libri e stampe ma anche oggetti preziosi, carte geografiche, portolani, strumenti di navigazione… Con l’obiettivo di mettere a fuoco una storia originale, diversa da quella sviluppata nelle grandi capitali del centro e del nord, come Firenze, Milano, Venezia, Roma, seppur continuamente interconnessa agli eventi e ai linguaggi che caratterizzarono queste capitali.
“Tra le principali opere esposte – anticipano i curatori – la quattrocentesca Carta del navegar di Albino da Canepa, insieme a molte altre Carte, Mappamondi, Portolani e strumenti di navigazione. La grande Pianta prospettica di Venezia di Jacopo de Barbari a confronto con la Veduta di Napoli del Museo di San Martino, medaglie e fogli miniati che raccontano dei protagonisti della vicenda storica che la mostra illustra, accompagnate dalla maestosa Incoronazione di Ferrante I D’Aragona dal Bargello.
Il Martirio di Santa Lucia di Martorell da Barcellona con la Santa Lucia di Alvaro Pirez di Nola recentemente restaurata. L’Adorazione dei magi tratta da Van Eyck accanto all’Uomo con anello del maestro fiammingo proveniente da Sibiu, preziose opere di Colantonio e Antonello da Messina, tra le quali le tavolette di Reggio Calabria. Due opere di Jacomart Baço accanto a opere di pittori spagnoli attivi in Sardegna come Thomas e Figuera. E poi Francesco Laurana, Domenico Gagini, Andrea Guardi e la superba Testa di cavallo di Donatello, dal MAN di Napoli. L’Annunciazione di Bartolomeo Vivarini da Modugno, il San Girolamo di Lazzaro Bastiani da Monopoli, il polittico di Michele da Valona da Guglionesi, per illustrare i rapporti di dare e avere sulla sponda adriatica. E poi tessuti, libri, codici, uno dei busti di Carlo V del Montorsoli, il Ritratto del Sultano Solimano di Hieronymus Hopfer, ma soprattutto lo Studio preparatorio per la Madonna del Pesce di Raffaello e le opere ad essa collegate di Cesare da Sesto, Girolamo da Salerno, Giovan Francesco Penni, Giovan Filippo Criscuolo e del notevole Andrea Sabatini. Grandi polittici dalla Basilicata interna e opere venete giunte sulla sponda pugliese, tra cui dipinti di Lotto, Pordenone, Paris Bordon e altre opere che sorprenderanno i visitatori per finire con capolavori di Polidoro da Caravaggio e Pedro Machuca”. A comporre una spettacolare, intensa mostra affresco.
“La grande mostra sul Rinascimento visto da Sud – dichiara Salvatore Adduce, presidente della Fondazione Matera Basilicata 2019 – ci offre la testimonianza di come, anche in una delle fasi più elevate della civiltà europea, il Mezzogiorno abbia avuto un ruolo da protagonista, a partire dal suo ruolo di hub tra il Mediterraneo e il continente. E’, in tutta evidenza, un tema di strettissima attualità che declina una delle principali direttrici di sviluppo della capitale europea della cultura. Nel 2019 da un piccolo centro del sud, Matera, si diffonderà il meglio delle produzioni artistiche e culturali europee. E tra queste c’è sicuramente la mostra che abbiamo coprodotto con il Polo Museale della Basilicata”.
RINASCIMENTO VISTO DA SUD. MATERA, L’ITALIA MERIDIONALE E IL MEDITERRANEO TRA 400 E 500.
Il grande progetto espositivo intitolato Rinascimento visto da sud: Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500, che si svolgerà dal 18 aprile al 19 agosto 2019 nel Museo di Palazzo Lanfranchi a Matera, intende ricostruire, attraverso un nuovo racconto visivo fatto di rare e preziose opere d’arte ma anche di oggetti e documenti storici di forte impatto, la fioritura artistica e culturale avvenuta nell’Italia meridionale nel secolo a cavallo tra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento in relazione con il più ampio contesto del Mediterraneo.
La mostra, che prevede naturalmente un focus particolare su Matera e la Basilicata, sarà integrata e arricchita da speciali percorsi di conoscenza e valorizzazione delle opere d’arte tardogotiche e rinascimentali disseminate nel territorio regionale, inamovibili per tipologia o per dimensioni.
In tali percorsi saranno considerati i principali affreschi locali del tempo, ad esempio quelli di San Donato a Ripacandida, quelli della chiesa rupestre di Santa Barbara a Matera e quelli della Trinità di Miglionico, ma anche i grandi polittici come quello di Cima da Conegliano sempre a Miglionico, che testimonia, insieme alla straordinaria scultura raffigurante Sant’Eufemia del Duomo di Montepeloso oggi Irsina, l’attenzione locale alla cultura veneta; oppure le opere realizzate nei primi decenni del cinquecento da Giovanni Luce o Francesco da Tolentino a Pietrapertosa o, infine, i numerosi polittici eseguiti per i paesi lucani (Senise, San Chirico Raparo, Salandra, Stigliano etc), da Simone da Firenze, prolifico pittore-emigrante che nella Basilicata interna trovò una committenza pienamente soddisfatta del suo linguaggio “moderno”, che guardava ai maestri toscani della fine del secolo precedente.
I percorsi di valorizzazione territoriale coinvolgeranno anche la vicina Puglia, dove non si potranno dimenticare, ad esempio, gli affreschi della chiesa di Santa Caterina a Galatina o quelli di Santo Stefano a Soleto.
L’idea innovativa che guida il progetto scientifico della mostra, che si vuole rivolgere a un pubblico internazionale e non specialista e che è realizzata grazie alla collaborazione dei più importanti studiosi dei linguaggi artistici, della storia e della cultura rinascimentali, è quella di rovesciare il punto di vista tradizionale su questo ampio e importante periodo della storia europea, nell’ambito di un’articolata rilettura interdisciplinare, attenta alla dialettica tra “centro e periferia”.
Una rilettura che avvicini in modo stimolante testimonianze culturali e scientifiche diverse (dipinti, sculture, miniature, medaglie, oreficerie, arazzi, tessuti, maioliche, libri e stampe ma anche oggetti preziosi, carte geografiche, portolani, strumenti di navigazione etc) mettendo a fuoco una storia diversa da quella sviluppata nelle grandi capitali del centro e del nord, come Firenze, Milano, Venezia, Roma, seppur continuamente interconnessa agli eventi e ai linguaggi che caratterizzarono queste capitali.
Una storia meridiana, fatta di contaminazioni culturali e scambi intensissimi avvenuti tra le sponde del mar Mediterraneo, in quel secolo speciale durante il quale si è ‘allargato’ il mondo, come si intende documentare visivamente grazie all’ausilio di grandi “mappa mundi” e atlanti del tempo, che accompagneranno il percorso della mostra, che sarà contraddistinta da un allestimento di forte impatto, in grado di far dialogare in modo sorprendente le opere d’arte con i molteplici e inconsueti ‘documenti’, che costituiranno il filo rosso della mostra.
Una storia che dia anche conto, oggi che il Mare Nostrum è tragicamente al centro dell’attenzione, della mutazione dell’idea di Mediterraneo nella mentalità dei popoli che vi si affacciavano, tra la caduta di Costantinopoli e il definitivo assetto della struttura geopolitica delle sue sponde.
Di come e quanto questo spazio equoreo sia stato percepito come esiguo, facilmente percorribile e passibile di continui rapporti, ma sia stato anche avvertito come vasto, irrelato e ostile.
La mostra intende rivelare e illuminare circolazioni culturali e scambi importantissimi che hanno permesso la fioritura di una vicenda artistica alternativa a quella ben nota e paradigmatica delle capitali del Rinascimento, frutto prezioso di una straordinaria koiné meridiana, della quale appare importante riconoscere e leggere dinamiche, protagonisti e comprimari e il cui centro gravitazionale presto divenne Napoli, già capitale culturale ‘internazionale’ nel XIV secolo sotto i più importanti re angioini, in particolare durante il regno di re Roberto.
La città partenopea, rifiorita dal punto di vista delle arti durante il breve regno di Renato d’Angiò (1438-1442), consolidò il suo ruolo di baricentro culturale del Mediterraneo nella lunga stagione aragonese aperta dall’arrivo a Napoli di Alfonso I il Magnanimo (1442-1458), a cui seguì il figlio Ferrante (1458-1494). Dal 1503, dopo la breve parentesi francese, negli anni spagnoli che si intende approfondire, dal 1503 al 1535, Napoli mantenne il suo ruolo di grande capitale del Viceregno e, caratterizzata da una forte crescita demografica, divenne ben presto la seconda florida metropoli del Mediterraneo dopo Istanbul. Qui Carlo V entrò trionfalmente dalla Porta Capuana il 25 novembre del 1535, arrivando dalla Sicilia dove si era fermato dopo la conquista di Tunisi e la sconfitta del Barbarossa, atteso da don Pedro de Toledo, vicerè da due anni, a cui si deve la grande trasformazione urbanistica della città ‘spagnola’ (il completamento delle mura aragonesi, la costruzione di Castel Sant’Elmo, palazzi, chiese e soprattutto strade, oltre alla bonifica di zone malsane).
L’articolato racconto che si dipana in quasi tutte le sale del museo copre circa un secolo di storia, dal 1438, data di inizio dell’ultimo regno angioino a Napoli, al 1535, anno in cui Carlo V riconquistò Tunisi e raggiunse poi le più importanti città del vicereame, Palermo, Messina, ed infine Napoli.
Una grande installazione multimediale e evocativa accoglierà i visitatori nella Chiesa del Carmine collegata a Palazzo Lanfranchi.
La mostra sarà aperta da una sezione sul Mediterraneo, le rotte, gli scambi, i commerci ma anche l’immagine del potere e le dinastie regnanti nel Quattrocento, con un successivo focus sul Mediterraneo nel Cinquecento, che accompagneranno come un filo rosso l’intero percorso espositivo e permetteranno di far emergere i grandi protagonisti del tempo.
Queste due ricche sezioni trasversali e interdisciplinari, nelle quali si alternano documenti e oggetti particolarmente significativi, sono illuminate anche dalla presenza di preziosi ritratti dei protagonisti della vicenda storica che si vuole ricostruire, chiesti in prestito ai più grandi musei italiani e stranieri (tra i quali il Ritratto di Alfonso di Aragona dal Museo Jacquemart André di Parigi, l’Incoronazione di Ferrante d’Aragona di Benedetto da Maiano dal Bargello di Firenze, il busto di Carlo V del Montorsoli dal napoletano museo di Capodimonte, il Ritratto del vicerè Pedro de Toledo dal Museo della Certosa di San Martino ma anche lo stemma di Renato d’Angiò dal prezioso Codice di Santa Marta, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli).
Alla notevole sezione introduttiva seguirà una ricca sezione dedicata alla lunga stagione del gotico internazionale nei due versanti occidentale e orientale, che permetterà di introdurre e descrivere il territorio, le corti, i feudi e le città (si potranno ammirare opere di Bernat Martorell, di Alvaro Pirez, del Maestro di Ladislao di Durazzo, di Giovanni di Francia, opere di orafi e scultori meridionali insieme a tavole del Maestro della Madonna di Atella e del Maestro di Santa Barbara, entrambi attivi in Basilicata).
Con la terza corposa sezione, nella quale si illustreranno Napoli, la Spagna, la Provenza e le Fiandre a confronto con Firenze e Roma ma anche con Venezia e l’Oriente, il progetto entrerà nel vivo del Rinascimento mediterraneo in rapporto al Rinascimento italiano, mettendo l’accento in particolare sul ruolo e i rapporti di dare e di avere degli artisti internazionali che hanno gravitato attorno alle corti di Renato, di Alfonso e di Ferrante, producendo opere per i più importanti committenti religiosi del tempo, tra i quali sono i principali ordini monastici. Saranno messi in relazione capolavori dei più importanti artisti catalani, spagnoli e fiamminghi accanto a opere degli artisti meridionali, attivi nel viceregno e poi anche in Spagna.
Anche per il grande pubblico sarà interessante verificare quanto queste idee artistiche abbiano progressivamente impregnato il territorio meridionale. E come si siano diffuse, seppure in maniera più limitata, in una regione interna come la Basilicata.
Artisti internazionali che hanno saputo fare propria, in tempi assai precoci e grazie a questi scambi, la lezione fiamminga e gli spunti nordici, mediati dalle presenze provenzali, borgognone e spagnole.
In questa sezione saranno messe a confronto, grazie a importanti prestiti internazionali, preziose opere dei principali protagonisti dell’arte e della cultura del tempo, tra i quali Colantonio, Antonello da Messina, Jacomart Baço, Roig de Corella, ma anche Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Bartolomeo Vivarini, Antoniazzo Romano, Pedro Befulco, Cristoforo Scacco, Cristoforo Faffeo, il Maestro di San Severino e Sossio, Francesco Pagano, Riccardo Quartararo per la pittura; Donatello, Domenico Gagini, Francesco Laurana, Guillermo Sagrera ma anche Pietro Alamanno per la scultura, senza dimenticare gli anonimi autori delle più importanti opere presenti nel territorio lucano o le preziose pagine miniate dai codici napoletani, come il Libro d’Ore di Alfonso d’Aragona o il Codice di Santa Marta.
Intenzione della mostra è quella di rileggere non solo quanto succedeva nella capitale partenopea e negli altri centri anche insulari del mediterraneo occidentale (ad esempio in Sardegna con i catalani Thomas e Figuera, il Mestro di Castelsardo e il Maestro di Sanluri ad esempio) ma anche quanto avveniva al contempo sulla dorsale adriatica dove, grazie ai porti della Capitanata, della Terra di Bari e di quella d’Otranto (Manfredonia, Molfetta, Bari, Otranto, Brindisi), si mantenevano più forti relazioni con la Serenissima, e attraverso Venezia con l’eredità dell’antico, ma anche con la cultura greco bizantina attestata dall’altra parte del mare. Anche perchè Matera, che in questi anni è ancora parte della Terra d’Otranto, appare permeata da una cultura più adriatica che tirrenica.
Oltre ai capolavori veneti che punteggiano soprattutto il versante est dello stivale meridionale, territorio murgiano-materano incluso (opere di Bellini, Vivarini, Cima da Conegliano anche a Matera, Genzano, Miglionico, oltre alle opere di scultura di ambito padovano che arrivano a Irsina), arrivano soprattutto in Puglia, pittori di ‘icone’, anche seguito delle migrazioni del secondo Quattrocento, che si attestano in diverse località dell’Italia meridionale, come ad esempio i fratelli Donato e Angelo Bizamano provenienti da Creta.
Oltre ai pittori, sulla sponda adriatica arrivano anche le icone (di cui è documentata l’importazione da parte dei mercanti veneziani) che avevano un buon mercato in gran parte del territorio. Non solo, scultori e lapicidi dalmati, che spediscono opere o transitano nelle terre meridionali, vero e proprio protettorato artistico della capitale adriatica.
Un successivo snodo del percorso, che riguarderà i rapporti e gli scambi della fase matura del periodo aragonese, durante i quali la capitale partenopea, che ha attratto i linguaggi mediterranei dei pittori spagnoli e provenzali, diventa centro di trasmissione della nuova cultura artistica, permetterà di entrare nella seconda parte della mostra, dedicata all’arrivo della ‘maniera moderna’ a Napoli e nelle province meridionali.
Nell’ultima grande sezione si tratteggeranno infatti i rapporti degli artisti e dei loro committenti del Viceregno con i modelli provenienti da Roma, Milano, Firenze, Venezia a partire dalle novità di Pinturicchio, Cesare Da Sesto, ma soprattutto Raffaello (nel 1517 arriva a Palermo nella chiesa di Santa Maria dello Spasimo, l’Andata al Calvario) mediate, tra gli altri, da Polidoro da Caravaggio. Fondamentale la scultura del tempo, Diego de Siloe e Bartolomé Ordóñez, Pietro Belverte e l’allievo Giovanni da Nola, di cui non potranno mancare opere in mostra e la sintesi di Andrea Sabatini da Salerno, il Raffaello del Sud, le cui opere saranno presenti in maniera rilevante insieme a quelle di altri pittori italiani e stranieri attivi anche nelle province interne (il già ricordato Simone da Firenze, Pedro da Aponte, Bartolomeo Guelfo da Pistoia, Pedro Fernandez e Pedro Machuca, ma anche i veneti Lorenzo Lotto, Paris Bordon, Francesco Vecellio e Pordenone, che realizzarono nei primi decenni del 500 diverse opere per le province meridionali). Per arrivare infine alle prime prove di Altobello Persio, tra i più importanti artisti murgiani del Cinquecento.
Una fitta trama di relazioni e influenze, che i documenti materiali disseminati nel territorio (anche in Basilicata) permettono di illuminare. Relazioni che legano Napoli agli altri importanti porti e mercati affacciati sul Mediterraneo occidentale e orientale, Valenza, Barcellona, Marsiglia, Genova, Pisa, Cagliari, Palermo, Tunisi, Alessandria, Cairo, Beirut, Atene, Istanbul, Ragusa, Venezia, come si cercherà di raccontare anche grazie ad una speciale installazione ‘immersiva’ nella Chiesa del Carmine.
Non solo storia dell’arte ma anche storia delle idee, delle culture e delle società, per ricostruire, attraverso un inedito racconto, illuminato dalle opere e dagli oggetti, (fondamentali vettori di significati, stratificazioni e contaminazioni culturali), i rapporti e gli scambi culturali e artistici, oltre che economici e politici, tra le sponde del Mediterraneo. E per comprendere meglio anche la vicenda culturale di una terra apparentemente defilata e periferica come la Basilicata, la cui dimensione artistica, più contenuta ma lo stesso interessante, verrà ricostruita e intrecciata in relazione alle prove internazionali, che si diffondono nel territorio a partire dal centro irradiante napoletano.
La vicenda artistica di Matera (e in generale della Basilicata) non è stata infatti sufficientemente riscostruita, sebbene le sue tracce -innestate sul substrato tardo antico- risalgano ai secoli dell’alto medioevo, anche per colpa di un pregiudizio storiografico, dovuto ad una tradizione di studi più attenta alle emergenze e ai capolavori, di cui per altro il territorio non è completamente privo, che alla comprensione dei contesti. In pochi si sono cimentati, fino agli anni più recenti, nell’impresa di ricostruire la storia artistica della regione mettendola in relazione agli ambiti vicini, ai grandi centri e alle rotte di comunicazione, seguite anche dagli artisti nei secoli più alti. Anche di questo si darà conto in mostra.
Il progetto espositivo, centrale nel programma culturale di Matera-Basilicata 2019, intende dunque affrontare il nodo del Rinascimento da un’altra prospettiva: guardando al mare e alle sue rotte, alle coste e soprattutto agli approdi (i porti, i mercati, le città) che nei secoli hanno avvicinato le culture e i popoli, come a una grande ricchezza e opportunità, non come una a una separazione o barriera.
Dai tempi più remoti le popolazioni hanno attraversato il mare Mediterraneo (il mare di ieri e il mare di oggi, mare che univa e che oggi separa), muovendosi da un capo all’altro, in un continuo scambio di dare e di avere. La Basilicata, terra interna, defilata e montuosa ma affacciata su due mari, è sempre stata, a dispetto della sua orografia complicata, terra di passaggio e accoglienza, regione d’intersezione, incontro e collegamento, via di transito di popoli e culture, cerniera e non barriera: porta tra occidente e oriente.
Per questa dialettica incessante tra periferie e centri (nella quale sta anche Matera con la sua storia speciale), per l’importanza degli scambi e delle contaminazioni, specie nell’attuale fase storica, pensando all’Europa e alla sua ricchezza fatta di molteplicità e diversità, abbiamo immaginato un racconto più largo e avvincente, che sappia mettere in relazione la ricostruzione della storia locale e dei suoi protagonisti (riletta attraverso un piccolo nucleo di puntuali presenze lucane in mostra e opportuni percorsi che invece permettano di valorizzare tutte le emergenze del territorio: affreschi, polittici e singole opere) con una storia più grande e differenziata, cornice o tessuto connettivo che restituisca la koinè mediterranea in tutte le sue declinazioni occidentali e orientali, senza dimenticare il lato meridionale del mare, la sponda islamica con le sue specifiche tradizioni e contaminazioni culturali, sempre più importante dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453.
Sono gli anni dei grandi viaggi, delle scoperte, delle esplorazioni, ma anche delle conquiste nel nuovo mondo (a partire dalla scoperta dell’America nel 1492).
Quello che si conosce del mondo nella seconda metà del Cinquecento è ben diverso da quel che si sapeva nella prima metà del secolo precedente: in pochi decenni lo sguardo si è allargato, ci sono nuovi luoghi e un altro spazio (vogliamo mettere in relazione lo spaesamento di allora con la “crisi della ragione cartografica” di oggi, come scrive Franco Farinelli).
E, di conseguenza, è cambiata la forma e la rappresentazione del mondo e le scoperte scientifiche hanno cominciato a ridisegnare anche il cielo.
La mostra, che vuole raccontare attraverso le immagini materiali e immateriali (oggetti ma anche fotografie, supporti audiovisivi e piccoli inserti di realtà aumentata) la storia e i luoghi, ma soprattutto gli uomini e le loro idee, seguirà un andamento cronologico che intreccerà la scansione tematica.
Le Sezioni della grande Mostra
La mostra viene aperta da una sezione sul Mediterraneo, le rotte, gli scambi, i commerci ma anche l’immagine del potere e le dinastie regnanti nel Quattrocento, con un successivo focus sul Mediterraneo nel Cinquecento, che accompagneranno come un filo rosso l’intero percorso espositivo e permetteranno di far emergere i grandi protagonisti del tempo.
Queste due ricche sezioni trasversali e interdisciplinari, nelle quali si alterneranno documenti e oggetti particolarmente significativi, sono illuminate anche dalla presenza di preziosi ritratti dei protagonisti della vicenda storica che si vuole ricostruire, chiesti in prestito ai più grandi musei italiani e stranieri (tra i quali il Ritratto di Alfonso di Aragona dal Museo Jacquemart André di Parigi, l’Incoronazione di Ferrante d’Aragona di Benedetto da Maiano dal Bargello di Firenze, il busto di Carlo V del Montorsoli dal napoletano museo di Capodimonte, il Ritratto del vicerè Pedro de Toledo dal Museo della Certosa di San Martino ma anche lo stemma di Renato d’Angiò dal prezioso Codice di Santa Marta, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli).
Alla notevole sezione introduttiva segue una ricca sezione dedicata alla lunga stagione del gotico internazionale nei due versanti occidentale e orientale, che permette di introdurre e descrivere il territorio, le corti, i feudi e le città (vi si possono ammirare opere di Bernat Martorell, di Alvaro Pirez, del Maestro di Ladislao di Durazzo, di Giovanni di Francia, opere di orafi e scultori meridionali insieme a tavole del Maestro della Madonna di Atella e del Maestro di Santa Barbara, entrambi attivi in Basilicata).
Con la terza corposa sezione, nella quale si illustrano Napoli, la Spagna, la Provenza e le Fiandre a confronto con Firenze e Roma ma anche con Venezia e l’Oriente, il progetto entrerà nel vivo del Rinascimento mediterraneo in rapporto al Rinascimento italiano, mettendo l’accento in particolare sul ruolo e i rapporti di dare e di avere degli artisti internazionali che hanno gravitato attorno alle corti di Renato, di Alfonso e di Ferrante, producendo opere per i più importanti committenti religiosi del tempo, tra i quali sono i principali ordini monastici. Vi vengono messi in relazione capolavori dei più importanti artisti catalani, spagnoli, provenzali e fiamminghi accanto a opere degli artisti meridionali, attivi nel viceregno e poi anche in Spagna.
Anche per il grande pubblico risulta interessante verificare quanto queste idee artistiche abbiano progressivamente impregnato il territorio meridionale. E come si siano diffuse, seppure in maniera più limitata, in una regione interna come la Basilicata.
Artisti internazionali che hanno saputo fare propria, in tempi assai precoci e grazie a questi scambi (ricostruiti nel corso degli ultimi anni a partire dal pionieristico studio di Ferdinando Bologna e dalla mostra curata da Mauro Natale del 2001 ai quali si fa riferimento), la lezione fiamminga e gli spunti nordici, mediati dalle presenze provenzali, borgognone e spagnole.
In questa sezione vengono messe a confronto, grazie a importanti prestiti internazionali, preziose opere dei principali protagonisti dell’arte e della cultura del tempo, tra i quali Colantonio, Antonello da Messina, Jacomart Baço, Barthelemy D’Eyck, Roig de Corella, Bartolomé Bermejo, Riccardo Quartararo ma anche Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Bartolomeo Vivarini, Antoniazzo Romano, Pedro Befulco, Cristoforo Scacco, Cristoforo Faffeo, il Maestro di San Severino e Sossio, Francesco Pagano, Riccardo Quartararo per la pittura; Donatello, Domenico Gagini, Francesco Laurana, Guillermo Sagrera ma anche Pietro Alamanno per la scultura, senza dimenticare gli anonimi autori delle più importanti opere presenti nel territorio lucano o le preziose pagine miniate dai codici napoletani, come il Libro d’Ore di Alfonso d’Aragona o il Codice di Santa Marta.
Intenzione della mostra è quella di rileggere non solo quanto succedeva nella capitale partenopea e negli altri centri anche insulari del mediterraneo occidentale (ad esempio in Sardegna con i catalani Tomas e Fuguera e il Maestro di Sanluri ad esempio) ma anche quanto avveniva al contempo sulla dorsale adriatica dove, grazie ai porti della Capitanata, della Terra di Bari e di quella d’Otranto (Manfredonia, Molfetta, Bari, Otranto, Brindisi), si mantenevano più forti relazioni con la Serenissima, e attraverso Venezia con l’eredità dell’antico, ma anche con la cultura greco bizantina attestata dall’altra parte del mare. Anche perchè Matera, che in questi anni è ancora parte della Terra d’Otranto, appare permeata da una cultura più adriatica che tirrenica.
Oltre ai capolavori veneti che punteggiano soprattutto il versante est dello stivale meridionale, territorio murgiano-materano incluso (opere di Bellini, Vivarini, Cima da Conegliano anche a Matera, Genzano, Miglionico, oltre alle opere di scultura di ambito padovano che arrivano a Irsina), arrivano soprattutto in Puglia, pittori di ‘icone’, anche seguito delle migrazioni del secondo Quattrocento, che si attestano in diverse località dell’Italia meridionale, come ad esempio i fratelli Donato e Angelo Bizamano provenienti da Creta.
Oltre ai pittori, sulla sponda adriatica arrivano anche le icone (di cui è documentata l’importazione da parte dei mercanti veneziani) che avevano un buon mercato in gran parte del territorio. Non solo, scultori e lapicidi dalmati, che spediscono opere o transitano nelle terre meridionali, vero e proprio protettorato artistico della capitale adriatica.
Un successivo snodo del percorso, che riguarda i rapporti e gli scambi della fase matura del periodo aragonese, durante i quali la capitale partenopea, che ha attratto i linguaggi mediterranei dei pittori spagnoli e provenzali, diventa centro di trasmissione della nuova cultura artistica, permetterà di entrare nella seconda parte della mostra, dedicata all’arrivo della ‘maniera moderna’ a Napoli e nelle province meridionali.
Nell’ultima grande sezione si tratteggeranno infatti i rapporti degli artisti e dei loro committenti del Viceregno con i modelli provenienti da Roma, Milano, Firenze, Venezia. A partire dalle novità di Pinturicchio, Cesare Da Sesto, ma soprattutto Raffaello (nel 1517 arriva a Palermo nella chiesa di Santa Maria dello Spasimo, l’Andata al Calvario) mediate, tra gli altri, da Polidoro da Caravaggio.
Fondamentale la scultura del tempo, Diego de Siloe e Bartolomé Ordóñez, Pietro Belverte e l’allievo Giovanni da Nola, di cui non potranno mancare opere in mostra e la sintesi di Andrea Sabatini da Salerno, il Raffaello del Sud, le cui opere saranno presenti in maniera rilevante insieme a quelle di altri pittori italiani e stranieri attivi anche nelle province interne (il già ricordato Simone da Firenze, Pedro da Aponte, Bartolomeo Guelfo da Pistoia, Pedro Fernandez e Pedro Machuca.
E i veneti Lorenzo Lotto, Paris Bordon, Francesco Vecellio e Pordenone, che realizzarono nei primi decenni del 500 diverse opere per le province meridionali). Per arrivare infine alle prime prove di Altobello Persio, tra i più importanti artisti murgiani del Cinquecento.
Una fitta trama di relazioni e influenze, che i documenti materiali disseminati nel territorio (anche in Basilicata) permettono di illuminare. Relazioni che legano Napoli agli altri importanti porti e mercati affacciati sul Mediterraneo occidentale e orientale, Valenza, Barcellona, Marsiglia, Genova, Pisa, Cagliari, Palermo, Tunisi, Alessandria, Cairo, Beirut, Atene, Istanbul, Ragusa, Venezia, come si cercherà di raccontare anche grazie ad una speciale installazione ‘immersiva’ nella Chiesa del Carmine.
Non solo storia dell’arte ma anche storia delle idee, delle culture e delle società, per ricostruire, attraverso un inedito racconto, illuminato dalle opere e dagli oggetti, (fondamentali vettori di significati, stratificazioni e contaminazioni culturali), i rapporti e gli scambi culturali e artistici, oltre che economici e politici, tra le sponde del Mediterraneo. E per comprendere meglio anche la vicenda culturale di una terra apparentemente defilata e periferica come la Basilicata, la cui dimensione artistica, più contenuta ma lo stesso interessante, verrà ricostruita e intrecciata in relazione alle prove internazionali, che si diffondono nel territorio a partire dal centro irradiante napoletano.
La vicenda artistica di Matera (e in generale della Basilicata) non è stata infatti sufficientemente riscostruita, sebbene le sue tracce -innestate sul substrato tardo antico- risalgano ai secoli dell’alto medioevo, anche per colpa di un pregiudizio storiografico, dovuto ad una tradizione di studi più attenta alle emergenze e ai capolavori, di cui per altro il territorio non è completamente privo, che alla comprensione dei contesti. In pochi si sono cimentati, fino agli anni più recenti, nell’impresa di ricostruire la storia artistica della regione mettendola in relazione agli ambiti vicini, ai grandi centri e alle rotte di comunicazione, seguite anche dagli artisti nei secoli più alti. Anche di questo si da conto in mostra.
Intorno alla mostra percorsi tra Basilicata e Puglia alla scoperta dei tesori del Rinascimento
La mostra, che prevede naturalmente un focus particolare su Matera e la Basilicata, è integrata e arricchita da speciali percorsi di conoscenza e valorizzazione delle opere d’arte tardogotiche e rinascimentali disseminate nel territorio regionale, inamovibili per tipologia o per dimensioni.
In tali percorsi vengono considerati i principali affreschi locali del tempo, ad esempio quelli di San Donato a Ripacandida, di San Pietro Caveoso, della chiesa rupestre di Santa Barbara e del Convicinio di sant’Antonio a Matera, dell’Abbazia di Montescaglioso, e quelli della Trinità di Miglionico.
Ma anche i grandi polittici come quello di Cima da Conegliano sempre a Miglionico, che testimonia, insieme alla straordinaria scultura raffigurante Sant’Eufemia del Duomo di Montepeloso oggi Irsina, l’attenzione locale alla cultura veneta.
Oppure le opere realizzate nei primi decenni del cinquecento da Giovanni Luce o Francesco da Tolentino a Pietrapertosa o, infine, i numerosi polittici eseguiti per i paesi lucani (Senise, San Chirico Raparo, Salandra, Stigliano etc), da Simone da Firenze, prolifico pittore-emigrante che nella Basilicata interna trovò una committenza pienamente soddisfatta del suo linguaggio “moderno”, che guardava ai maestri toscani della fine del secolo precedente.
Ma anche le sculture dei Persio e degli altri artisti che hanno lasciato le loro opere nei numerosi piccoli centri della regione
I percorsi di valorizzazione territoriale coinvolgeranno anche la vicina Puglia, dove non si potranno dimenticare, ad esempio, gli affreschi della chiesa di Santa Caterina a Galatina e quelli di Santo Stefano di Soleto.