Una “Filiera delle erbe officinali” non solo per l’Amaro Lucano (come quella già realizzata) ma che coinvolga l’industria farmaceutica, l’alimentare, la cosmetica, l’erboristica e che nel rafforzamento della multifunzionalità in agricoltura diventi punto di riferimento per l’agriturismo e il turismo rurale. E’ l’idea-progetto lanciata da Cia, Agia, Donne in Campo a Rotondella in un incontro con la partecipazione di titolari di aziende già impegnate nella coltivazione di piante officinali, esperti dell’Alsia, operatori di settore. L’idea di rafforzare la filiera produttiva di Evra (particolarmente attenta alle produzioni lucane), ottimizzare i costi di produzione attraverso l’aggregazione e affiancare attività di turismo esperienziale e ospitalità diffusa valorizzando paesaggio e biodiversità. La filiera produttiva completa che parte dal seme nel campo, utilizzando piante officinali coltivate secondo specifici dettami di qualità e monitorate passo dopo passo durante la loro crescita. Dove Evra riconosce ai produttori lucani una maggiorazione del 10% del valore e un ulteriore maggiorazione del 10% ai produttori che riescono a soddisfare un alto margine di qualità. Lo standard prevede l’applicazione di un disciplinare di filiera che si rifa a criteri di agricoltura integrata e consente di monitore e tracciare l’intero iter delle piante, per produrre estratti unici al mondo, senza paragoni per qualità ed esclusività. I metodi di coltivazione adottati dalle aziende agricole che forniscono e forniranno ad Evra devono essere rispettosi dell’ambiente e controllati nel contesto del progetto microfiliera, realizzato assieme ad Alsia. Grazie sempre al progetto microfiliera, ad ogni stagione le aziende agricole sanno prima ancora di iniziare la coltivazione i quantitativi di piante per ciascuna specie che potranno conferire ad Evra e il prezzo per quintale che verrà corrisposto, superiore al prezzo medio di mercato (con maggiorazioni per prodotto lucano e per l’alta qualità) Evra lavora in una logica di Economia Circolare, a partire dal recupero delle Materie prime seconde. Ove possibile si utilizzano per le estrazioni le parti delle piante non utilizzabili dall’industria alimentare, con l’obiettivo di utilizzare il 100% delle piante (foglie, bucce, bacelli, ecc). Le droghe esauste, infine, vengono inviate ad impianto di compostaggio e/o biomassa (Blue Economy) e trasformate in compost o in biogas
In Basilicata ci sono 437 specie di erbe officinali autoctone, pari al 25% del patrimonio complessivo, coltivate su un’area di circa 70 ettari da parte di oltre 200 aziende. Un patrimonio dunque importante da valorizzare. La coltivazione di piante aromatiche ed erbe officinali rappresenta sicuramente un investimento in grado di generare buoni redditi a fronte di superfici coltivate di estensione relativamente limitata.Negli ultimi anni il mercato è andato differenziandosi in due aree nettamente distinte in cui nuove prospettive si sono aperte per il coltivatore. Di qui la prima indicazione che viene dal “sistema Cia”: il coltivatore medio potrebbe puntare essenzialmente a quest’ultimo ambito, specializzandosi, allungando la filiera e professionalizzandosi. L’aspetto distributivo è importante perché con poca materia prima si raggiungono facilmente grandi numeri di pezzi; basti pensare che da un ettaro si ottengono fino a 2.000 kg di prodotto secco in taglio tisana e che una scatola di bustine filtro contiene circa 20 g di erbe. Ne consegue cha da una fase all’altra della trasformazione si generano imponenti margini di valore aggiunto. Un altro esempio è quello dell’origano: i grossisti l’acquistano dai produttori a 2/3 euro/kg di prodotto secco (infiorescenze e foglie sfioccate); nei successivi passaggi commerciali il prezzo aumenta a 8/10 euro/kg (prezzo pagato dagli erboristi), fino a più di 20 euro/kg (prezzo per l’acquisto del prodotto in sacchetti da 50 g, sui banconi dei supermercati). Questo enorme valore aggiunto non rimane quasi mai nelle mani del produttore, ma viene incassato dalle figure intermedie della filiera. Sarebbe perciò necessario includere nel processo produttivo anche le fasi di prima trasformazione e confezionamento e realizzare una filiera “dal campo alla tavola”.
C’è poi il comparto cosmesi. Un dato su tutti: il mercato italiano della cosmesi vale 10 miliardi di euro con le esportazioni in crescita a doppia cifra. Quindi per le imprenditrici della Cia un’ottima opportunità di diversificare le attività in azienda preparando prodotti da rivendere direttamente. Una dimostrazione della creatività femminile in agricoltura dove -sottolinea Lucrezia Di Gilio- le imprenditrici rappresentano la componente piu’ dinamica ed innovativa del settore. Questa ha, però, bisogno oltre che dei bandi specifici del Psr 2014-2020, di una formazione di base per quanti necessitano di scoprire il mondo delle piante officinali in termini di conoscenze teoriche e competenze tecniche, necessarie per una produzione di qualità e di ricevere informazioni in merito alle possibilità e modalità di commercializzazione dei preparati”.
Apr 06