Riportiamo di seguito il testo dell’omelia di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo pronunciata durante la Messa crismale tenuta nella serata di mercoledì 17 aprile nella cattedrale di Matera in presenza di tutto il presbiterio diocesano.
Santa Messa Crismale nella Cattedrale di Matera, l’omelia di Monsignor Pino Caiazzo
“Lo Spirito del Signore è su di me”
per inebriare del profumo sinodale la nostra Chiesa
1. Saluto
Carissimo Mons. Scandiffio, carissimi confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrati e consacrate, Rettore del Seminario Teologico di Potenza, seminaristi, popolo santo di Dio e autorità tutte, la liturgia di questa sera è una delle più significative, anzi la più significativa che celebriamo come corpo sacerdotale ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli.
Ogni sacerdote, unito al proprio vescovo, in tutte le cattedrali del mondo, vive, nella “messa crismale”, l’esperienza di comunione con l’unica Parola e intorno all’unico altare.
Oggi, come Gesù nella sinagoga di Nazareth, anche noi siamo entrati in questo Tempio consacrato, pieni dello stesso Spirito Santo che aveva condotto Gesù prima nel deserto e poi nella sua città natale.
La cattedrale è la chiesa madre nella Diocesi. E’ il cuore della Chiesa locale, la casa comune dove i figli si ritrovano per nutrirsi del pane di vita eterna, l’Eucaristia. Nella Cattedrale c’è il presbiterio che noi preti occupiamo, ad indicare la comunione che siamo chiamati a vivere in un’intima vicinanza intorno alla mensa.
In questo momento il nostro pensiero va verso la Cattedrale di Parigi, Notre Dame, diventata improvvisamente triste spettacolo nel mondo intero e ferendo il cuore di tutti, anche dei più distratti o non credenti. La nostra vicinanza e preghiera alla Chiesa sorella di Parigi, al suo Arcivescovo, ai suoi sacerdoti che celebreranno la Messa Crismale in un’altra chiesa. Al termine di questo rogo c’è un’immagine che ha impressionato anche i giornalisti, che ha, a detta loro, del miracoloso: la Croce, l’altare e la statua della Madonna, sono rimasti intatti. Per noi la croce da simbolo di morte è diventato simbolo di salvezza; l’altare la mensa per ricevere il cibo di vita eterna: Gesù! E’ lui il vittorioso; la Madonna, Notre Dame, la Mamma di Gesù e Mamma nostra. Da questi simboli liturgici la Chiesa è sempre ripartita e riparte anche questa volta. Chiamati non solo a ricostruire la struttura della Chiesa nella sua bellezza architettonica ma soprattutto quella delle anime.
Questo è un giorno che non ha eguali: è la giornata sacerdotale! Se volessimo usare un’immagine esaustiva dell’atto liturgico, dovremmo dire che in questo giorno tutti noi sacerdoti siamo nati nell’Eucaristia come i discepoli nel Cenacolo di Gerusalemme.
2. Ricordando la nostra ordinazione
Ognuno di noi oggi ricorda il giorno della sua ordinazione presbiterale. Chi da circa un anno, chi da dieci, chi da venticinque, cinquanta o più. Di certo tutti possiamo dire che il nostro “Si” alla chiamata del Signore è stato e rimane una risposta per servire il Vangelo di Gesù Cristo. Quante difficoltà, quante sofferenze, quante incomprensioni e mortificazioni, ma quante gioie e soddisfazioni! Di una cosa siamo certi, per dirla con S. Paolo: “Il nostro zelo non vien meno in quel momento che, per la misericordia di Dio, ci è stato affidato” (2 Cor 4,1). E se qualcuno di noi vive momenti di confusione o sconcerto, rabbia, disinteresse, paura, la nostra comune preghiera in questo giorno possa riaccendere in lui lo stesso zelo alimentato, come lampada, dalla fiamma accesa del Vangelo.
Sentiamo particolarmente vicini i confratelli ammalati o impossibilitati ad essere presenti per l’età avanzata: Don Mimì Morelli, Don Leonardo Selvaggi, Don Nicola Colagrande, Don Giovanni Punzi, Don Nicola Tommasini, Mons. Antonio Tortorelli.
3. Il profumo del Crisma e il profumo del Sinodo
Fra poco sentiremo il profumo delle essenze di bergamotto, inviato a tutte le Diocesi d’Italia dalla Chiesa di Locri – Gerace, e di altri profumi che cambieranno completamente quello dell’olio nel quale saranno versati: è l’olio del Crisma. «Un unguento composto secondo l’arte del profumiere», (Es 30, 25), e attraverso la preghiera di consacrazione fatta esclusivamente dal vescovo. Un olio speciale la cui confezione viene ricordata nell’Antico Testamento: serviva per consacrare i re (cf. 1Sam 10,1), i sacerdoti (cf. Lv 8,30), i profeti (cf. Is 61,1), e il tabernacolo (Es 30, 22-33), e addirittura gli scudi per la difesa del popolo santo di Dio (cf. Is 21,5). Gesù Cristo è anche detto l’«Un¬to»: «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret» (Atti 10,38).
Godiamo oggi del profumo esultante di questo olio che, gradualmente, riempirà di sé la nostra Basilica Cattedrale. Profumo inebriante che richiama il cammino del nostro Sinodo. Più si va avanti e più impariamo. Sessione dopo sessione, nella parresia e alla scuola dello Spirito Santo, lo viviamo come una vera e propria benedizione per l’intera Arcidiocesi. E’ il profumo della storia della nostra Chiesa locale, fatta di volti, di strade, di mestieri, di arte, di cultura, di ricchezza, di santi. E’ il profumo che ci rimanda alle ferite provocate dalla miseria e dalle ingiustizie, dai disastri ambientali vecchi e nuovi, dal lassismo dei costumi dentro e fuori la Chiesa e che diventano feritoie attraverso le quali lo Spirito opera. E’ il profumo che ricorda, soprattutto a noi sacerdoti, che il Signore «ci ha consacrati con l’unzione e ci ha mandati a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore».
E’ la stessa fragranza che sprigiona dal vino nuovo che bisogna versare in otri nuovi. Non è certamente trincerandosi nelle proprie certezze, nelle critiche disfattiste, nel seminare discredito e disorientamento che si rinnova una Chiesa, ma nella partecipazione che significa scendere dai piedistalli sui quali a volte si sale, dagli arroccamenti tradizionali che non comunicano vita e non fanno sentire la freschezza e il profumo del vangelo. E’ il profumo dello Spirito Santo, il gusto della Parola, l’armonia da costruire nella Chiesa. E’ il vino nuovo, Gesù Cristo, che va versato negli otri nuovi della nostra vita, oggi, senza ostinarci a riproporre modelli di un passato che non parla, non incide, non scuote le coscienze. Camminare insieme, respirando il profumo di Dio che inebria tutti i membri della Chiesa: laici, religiose, diaconi, presbiteri, religiosi, vescovo.
4. Stare alla presenza del Signore per adorarlo
Nella preghiera eucaristica II, la più antica che sia stata scritta (probabilmente fine II secolo), dopo il memoriale diciamo:
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio,
ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza,
e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza
a compiere il servizio sacerdotale.
Ti preghiamo umilmente:
per la comunione al corpo e al sangue di Cristo
lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Il riferimento chiaro è a Dt 18,5-7. In questi versetti viene descritto qual è realmente il compito del sacerdozio levitico: “…farà il servizio nel nome del Signore, tuo Dio, come tutti i suoi fratelli leviti che stanno là davanti al Signore”.
Compito principale per svolgere il servizio sacerdotale è quello di “stare davanti al Signore”. Compito che si esprime nel creare relazione, comunione, ascolto della sua voce, rivestendosi della sua grazia per comunicarla agli altri. Bisogno e anelito di guardare a Lui.
Ogni sacerdote mostra realmente il volto dell’amore di Dio, della misericordia, del fare nuove tutte le cose, del servire i fratelli con disinteresse personale, perché trova il tempo indispensabile per sostare davanti al Signore.
Il sacerdote non celebra la messa per gli altri, non organizza l’adorazione eucaristica per i fedeli. Il sacerdote celebra prima di tutto perché ha bisogno di sentirsi offerta e offerente, come Cristo, e vive l’esperienza dell’adorazione che letteralmente significa: bocca a bocca con il Signore, con l’Amato.
L’etimologia del termine “adorare” deriva dalle parole latine AD e OS che significa bocca. Adorare, quindi, vuol dire portare alla bocca, di conseguenza mangiare e ingerire, per cui si viene a creare un rapporto così intimo tra l’uomo e Dio che questi si fonde con noi. La contemplazione diventa così profonda da fonderci con Lui.
5. Fecondità del ministero sacerdotale
La fecondità del ministero sacerdotale nasce proprio da questa intimità: noi con i nostri limiti e fragilità, Lui, in tutto come noi tranne che nel peccato, che agisce in noi e attraverso di noi. Questo sarà possibile se noi glielo permettiamo. Ecco perché durante l’adorazione il sacerdote si unisce al cielo insieme agli Angeli e ai Santi, e nell’eucaristia che presiede, invita i fedeli a cantare ad una sola voce: “Santo, Santo, Santo”.
Da questo capiamo che un ministero sarà fecondo non per le tante cose che si fanno e si organizzano ma per l’intima unione che si vive con Gesù quotidianamente. Il male è subdolo e si intrufola nei pensieri, nel cuore. Noi, chiamati ad aiutare gli altri per liberarli dal male, rischiamo di rimanere prigionieri del male. Non sono forse queste le parole che per tutta la Quaresima abbiamo ripetuto per quaranta giorni nell’inno dell’Ufficio delle letture? “Forti nella fede vigiliamo contro le insidie del nemico: ai servi fedeli è promessa la corona di gloria”.
Chi è colui che vigila se non colui che sta in piedi? Il sacerdote, allora, è colui che ancor prima di vigilare sugli altri, vigila su se stesso. Legge i segni dei tempi senza chiudersi in una sua personale interpretazione che lo porterebbe ad ergersi a giudice dei confratelli.
Benedetto XVI, parlando del sacerdote, dice: “Deve tener sveglio il mondo per Dio. Deve essere uno che sta in piedi: dritto di fronte alle correnti del tempo. Dritto nella verità. Dritto nell’impegno per il bene. Lo stare davanti al Signore deve essere sempre, nel più profondo, anche un farsi carico degli uomini presso il Signore che, a sua volta, si fa carico di tutti noi presso il Padre. E deve essere un farsi carico di Lui, di Cristo, della sua parola, della sua verità, del suo amore. Retto deve essere il sacerdote, impavido e disposto ad incassare per il Signore anche oltraggi, come riferiscono gli Atti degli Apostoli: essi erano “lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù” (5, 41).
Da questo stare dritto davanti al Signore, vigilante, scaturisce il servizio che trova nell’Eucaristia il culmine e la fonte di tutta l’azione della Chiesa, quindi del ministero sacerdotale. Non si servono Dio e i fratelli perché si celebra arbitrariamente un numero illimitato di messe, ma dal modo in cui si vive e si celebra l’eucaristia. Anche in questo la Madre Chiesa, nella sua maternità e saggezza, ci richiama da sempre.
6. Il sacerdote Eucaristia
Come Cristo ha reso culto al Padre attraverso il suo donarsi agli uomini, fino all’effusione del sangue, così il sacerdote, quotidianamente, nel ripetere le parole del memoriale, non fa altro che ripetere a se stesso il suo amore per Cristo e la sua Chiesa: “Prendete e mangiate…, Prendete e bevete…Questo è il mio corpo…, questo è il mio sangue”. La vita di ognuno di noi è una continua eucaristia donata per nutrire e dissetare cuori desiderosi di vita, storie tribolate e contorte, unioni fragili e spezzate, infanzia tradita e violata, amori malati che sfociano nel sangue, giovani delusi e mortificati.
Il sacerdote Eucaristia esce dalle sacrestie, cammina per le strade delle nostre comunità parrocchiali, entra nei luoghi di tristezza e sofferenza, sempre pronto a piegarsi per lavare i piedi dei suoi fedeli, proprio come Gesù nell’ultima cena. Non teme, soprattutto in questo cammino sinodale, di essere criticato o corretto dai fedeli laici, che invece desiderano il suo bene e la sua santificazione. E’ l’unto di Dio, pieno di profumo divino che riempie i luoghi dove entra e pervade le persone che incontra.
Il sacerdote Eucaristia è cosciente di essere uomo di pace, di comunione, di fraternità, desideroso di stare con i suoi confratelli. La tentazione di lasciarsi prendere dal “fare” non gli impedisca di vivere momenti di comunione come il ritiro mensile, l’incontro di vicaria, gli esercizi spirituali, l’aggiornamento, la partecipazione alle sessioni sinodali. Il profumo del sacerdote è indispensabile e fondamentale perché, attraverso di lui, il profumo di Cristo riempia la sua Chiesa di Matera – Irsina
Sono tutte cose che voi avete sottolineato negli incontri di vicaria. In voi c’è un forte desiderio di stare insieme, pregare, meditare, comunicare. Quanta ricchezza spirituale sta venendo fuori dalle meditazioni che con molta libertà e profondità ci si scambia mensilmente! Quanta grazia! E’ come se ognuno ispirasse una nuova meditazione per l’altro.
Il sacerdote Eucaristia comprende ogni giorno di più che la liturgia non è rito, esteriorità, legalismo, ma vita donata, vissuta: la liturgia è il mistero celebrato nell’azione per la vita. La familiarità con essa segna l’anima del vivere quotidiano sacerdotale che cerca intimità con Cristo, parla e agisce da Cristo. Con S. Paolo si ripeterà ogni giorno: “Sono stato crocifisso con Cristo. Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”.
Spinto da questo desiderio di servire il Signore, il sacerdote ama sempre di più il Signore attraverso l’ascolto e la meditazione della Parola: lampada ai suoi passi, luce sul suo cammino. Non si abitua mai al dolore degli altri, alle loro sofferenze, ai loro desideri e apprensioni. Ogni dolore e morte è una storia a sé, come lo è ogni nascita, ogni vagito che entra a far parte del coro stupendo dell’umanità.
Allora stare davanti al Signore per servirlo, proprio come Gesù, significa risentire le parole di Isaia: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione”.
Accolgo voi, giovani seminaristi, Quinto Benedetto, Casamassima Stefano e Petrocelli Antonello, che oggi chiederete di essere ammessi all’ordine sacro, primo passo verso il sacerdozio, invitandovi a curare fin da ora l’intimità con Cristo per servire lui e la sua Chiesa. Siete chiamati ad essere servi della Parola e dei fratelli e non a farvi servire. Coltivate la bellezza interiore e non quella esteriore. Lasciatevi riempire del profumo di Cristo, il resto è vanità e non ci appartiene. La gente coglie subito se emaniamo il crisma divino o il culto della persona. Vi ripeto ancora: Siate il profumo di Cristo!
Ognuno di noi, insieme a Maria, sarà capace di sostare ai piedi della croce e sentire il profumo della vita che esce dal cuore squarciato di Cristo. Profumo di cui vogliamo inebriarci perchè diventi profumo per noi e per le nostre comunità.
Chiediamo a Maria, la “Madonna della Bruna”, di donarci il suo profumo di Madre, affinchè ognuno sperimenti quella “maternità” responsabile per accogliere sotto il manto della misericordia quanti si sono smarriti. Nessuno per causa nostra resti scandalizzato. Tutti possano sentirsi attratti da questo profumo divino. Ogni comunità sperimenti che Dio, per mezzo nostro, è sempre con loro.
Rinnoviamo allora le nostre promesse sacerdotali ed esultiamo insieme a tutta la Chiesa per le meraviglie che compie in noi e attraverso noi. Amen.
Don Pino
La bianca Pasqua è messaggera di redenzione, ossia di riscatto dell’uomo dal peccato. Invitiamo pertanto a non nominare il nome di Dio invano (“Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano”, secondo comandamento) per mera azione di marketing utilizzando peraltro bambini con disabilità e frasi del Santo Padre. Grazie.