Presentata in anteprima questa mattina ai giornalisti nel Museo di Palazzo Lanfranchi la mostra “Rinascimento visto da Sud. Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500”. La mostra è la seconda delle quattro in calendario nel 2019 prodotte dal Polo Museale della Basilicata e dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019. Sarà inaugurata al pubblico giovedì 18 aprile 2019 dalle ore 18 mentre da venerdì 19 aprile la mostra potrà essere visitata con il Passaporto di Matera 2019 durante gli orari di apertura del Museo di Palazzo Lanfranchi. Ricordiamo che da venerdì 19 aprile sarà in vendita il Passaporto giornaliero per Matera 2019 che consentirà a chi si trova a Matera per un solo giorno, di accedere a tutte le iniziative del calendario ufficiale della Capitale Europea della Cultura 2019 in programma nel corso della giornata. Il Passaporto giornaliero avrà un costo di 10 euro e potrà essere acquistato presso gli Info Point di Matera 2019 (Via Lucana 125-127 e Ipogei di Piazza San Francesco), presso la biglietteria di Palazzo Lanfranchi e prossimamente anche online. Potranno acquistare il Passaporto giornaliero tutti coloro che non accedono a riduzioni sul Passaporto per Matera 2019 valido per tutto l’anno. Questa iniziativa consentirà quindi di visitare la mostra a Palazzo Lanfranchi al costo di 10 euro anzichè 19 euro per i visitatori o di 12 euro per i residenti a Matera.
Alla conferenza stampa della presentazione della mostra “Rinascimento visto da Sud. Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500” hanno partecipato Marta Ragozzino, Direttore del Polo Museale della Basilicata e Salvatore Adduce, Presidente della Fondazione Matera-Basilicata 2019,
Sono intervenuti Giovanni Panebianco, Segretario Generale del MiBAC in rappresentanza del Ministro Alberto Bonisoli; Antonio Lampis, Direttore Generale Musei; Marta Ragozzino, Direttore del Polo Museale della Basilicata, il Soprintendente Belle Arti e Paesaggio della Basilicata, Francesco Canestrini, il Direttore della Fondazione Matera Basilicata 2019, Paolo Verri, e i tre co-curatori della mostra, Pierluigi Leone de Castris, Matteo Ceriana e Dora Catalano.
E’ un autentico scrigno di tesori che sino al 19 agosto 2019 attende il pubblico italiano ed internazionale a Palazzo Lanfranchi. A proporre una narrazione, densissima e meravigliosa, di un secolo di grande arte. Qui, la grande mostra “Il Rinascimento visto dal Sud. Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500”, esposizione cardine del programma culturale di Matera Capitale Europea della Cultura 2019, offre, nelle otto ricche sezioni, ben 215 opere: dipinti innanzitutto, ma anche sculture, incunaboli, cinquecentine, manoscritti, codici miniati, tessuti, bronzi, ceramiche, astrolabi e oreficerie.
Pezzi unici, concessi dai maggiori musei e dalle grandi istituzioni culturali di tutto il Mezzogiorno, delle Isole ma anche dal resto del Paese e dai grandi musei di Spagna, Francia, Germania e Portogallo. Capolavori celeberrimi accanto a opere di incredibile bellezza e fascino, molte mai uscite dalle istituzioni di appartenenza e, una parte di esse (più di una trentina), interessata da una apposita campagna di interventi conservativi che hanno restituito loro perfetta leggibilità.
Opere, talune mai prima esposte, altre – come alcuni grandi polittici – riavvicinate o ricomposte per l’occasione. Tutte riunite a documentare l’originalità della declinazione meridionale del Rinascimento. Un nuovo rivoluzionario linguaggio proveniente dalle Fiandre qui infatti si è intessuto con influenze molteplici arrivate sia da Oriente che da Occidente, attraverso le rotte dei commerci marittimi che solcavano il Mediterraneo. Creando così un Rinascimento diverso, per molti versi più ricco e certamente originale: il “Rinascimento visto da Sud”.
Giovanni Panebianco, segretario generale del Ministero per i Beni culturali: “Uno sforzo ciclopico, per una mostra unica, frutto di un intenso lavoro di rete che farà scoprire a studiosi e al pubblico che verranno a Matera, Capitale europea della cultura 2019, una pagina di storia, arte e relazione del Rinascimento italiano nel Sud e nel rapporto con l’area mediterranea”.
Marta Ragozzino, direttrice del Polo Museale della Basilicata, non nasconde la soddisfazione di poter offrire al pubblico una esposizione come non si è mai vista, ricca di suggestioni e di veri capolavori. A cominciare dalle opere di tre maestri assoluti: Antonello da Messina, Donatello e Raffaello «che siamo riusciti a ottenere – sottolinea la direttrice Ragozzino – per effetto della straordinaria condivisione dei direttori del Museo Civico di Como, del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e delle Gallerie degli Uffizi di Firenze. Grazie a queste collaborazioni istituzionali sono in mostra la Annunciata di Antonello, la meravigliosa Testa di cavallo di Donatello e il disegno preparatorio della Madonna del pesce di Raffaello. Saranno accanto ad opere non meno rilevanti provenienti dall’intero Mezzogiorno, tra le quali spiccano quelle importantissime concesse dal direttore del Museo di Capodimonte».
Tra le tante i curatori segnalano anche la raffinata Madonna del Maestro di Ladislao di Durazzo, proveniente dal Museo del Santuario di Montevergine, nell’Avellinese, le opere di Colantonio, la Madonna con Bambino del Maestro dei Santi Severino e Sossio o la elegantissima Madonna con Bambino di Francesco Laurana, concessa da Palazzolo Acreide, in Sicilia. E ancora la statua di medesimo soggetto di Domenico Gagini, dal Museo Civico di Castel Nuovo a Napoli, così come il San Felice in cattedra di Lorenzo Lotto dalla Chiesa di San Domenico a Giovinazzo e le opere di Andrea Sabatini da Salerno, il “Raffaello del Sud”. Grande pittura ma anche documenti preziosissimi, valga l’esempio del Codice di Santa Marta, manoscritto proveniente dall’Archivio di Stato di Napoli, e il Libro d’Ore di Alfonso d’Aragona della Biblioteca Nazionale di Napoli.
E tante altre ancora: un elenco delle meraviglie in mostra sarebbe troppo lungo. Non possiamo tuttavia non citare gli esempi dei grandi maestri veneti presenti nel territorio. Dalla Santa Eufemia di Mantegna alle pale, tavole e tele di Giovanni Bellini, Bartolomeo e Alvise Vivarini, Paris Bordon, Francesco Vecellio, Pordenone, tra i tanti. O dei maestri provenienti dall’Italia centrale, quali il Pinturicchio, Antoniazzo Romano o Pietro di Domenico da Montepulciano. Ma anche dai paesi nordici come il fiammingo Jan van Eyck o dalla Spagna come Jacomart o Guillermo Sagrera. A giungere invece da Lisbona è la Madonna con Bambino e San Giovannino di Cesare da Sesto, opera oggi tra le più ammirate del Museu Nacional de Arte Antigua e che torna a casa, almeno per lo spazio della mostra.
Notevolissima la presenza di opere di Polidoro da Caravaggio, con l’Andata al Calvario dai Musei Vaticani, le tavole della Pala della Pescheria dal Museo di Capodimonte e il maestoso Sant’Alberto della Galleria Sabauda di Torino.
Ma non meno importanti sono le meravigliose pergamene raffiguranti la Cosmographia di Tolomeo, grande codice dalla Nazionale di Napoli e il Portolano genovese della Nazionale di Firenze, ad indicare quelle rotte che univano il Mediterraneo e le terre da esso lambite e che avevano nel nostro Mezzogiorno il loro attivissimo fulcro.
Ai tesori così eccezionalmente riuniti si unisce la spettacolarità dell’allestimento, in una sede, Palazzo Lanfranchi, che di per se stessa merita un viaggio. Con Matera Capitale tutto intorno.
Salvatore Adduce, Presidente Fondazione Matera Basilicata 2019:Siamo orgogliosi di questa grande mostra perché è il risultato tangibile di un eccezionale lavoro di squadra. E perché è la dimostrazione che la scommessa di Matera-Basilicata 2019 è doppiamente vinta.
Una piccola città del Mezzogiorno che ha superato la retorica della vergogna nazionale e dello svantaggio meridionale, rovesciando il suo destino e investendo su un progetto culturale che può diventare strumento di sviluppo, ha saputo realizzare un percorso espositivo mai visto prima d’ora in Italia.
Un progetto scientifico ricchissimo che, in totale coerenza con questo principio di rovesciamento, affronta il Rinascimento guardandolo dalle nostre latitudini, per disegnare una storia diversa, non subalterna ma autonoma e piena di sorprese.
Un modo nuovo per guardare alla storia e alla produzione artistica, ma soprattutto alle vicende umane delle popolazioni affacciate sul nostro mare, il Mediterraneo, che è sempre stato attraversato dalle genti, crocevia di culture, spazio di scambio culturale ed economico.
Per quattro mesi Palazzo Lanfranchi cambia volto e si riempie di capolavori. Opere d’arte e oggetti preziosi che entrano in relazione con i nostri patrimoni, con le nostre tradizioni, con la nostra memoria. Un modo straordinario per far conoscere i luoghi, le bellezze, le specificità della nostra regione. Il modo giusto per valorizzare il metodo e le possibilità sperimentate in questi anni in un museo divenuto sempre di più punto di riferimento per una comunità intera.
Un progetto visionario e coraggioso, che dimostra che una piccola città del Sud può davvero essere una grande capitale.
Di seguito la fotogallery della mostra d’arte (foto www.SassiLive.it) e la scheda dedicata alle opere esposte.
Provenienza delle opere
Basilicata | 25 |
Calabria | 15 |
Campania | 72 |
Puglia | 19 |
Sardegna | 4 |
Sicilia | 6 |
TOT 141 | |
Abruzzo | 2 |
Emilia-Romagna | 6 |
Lazio | 11 |
Liguria | 1 |
Lombardia | 4 |
Marche | 1 |
Molise | 2 |
Piemonte | 3 |
Toscana | 28 |
Umbria | 1 |
Veneto | 10 |
TOT 69 | |
SCV | 1 |
Francia | 1 |
Germania | 1 |
Portogallo | 1 |
Spagna | 12 |
TOT 16 | |
TOTALE 226 |
Intorno alla mostra percorsi tra Basilicata e Puglia alla scoperta dei tesori del Rinascimento
La mostra, che prevede naturalmente un focus particolare su Matera e la Basilicata, è integrata e arricchita da speciali percorsi di conoscenza e valorizzazione delle opere d’arte tardogotiche e rinascimentali disseminate nel territorio regionale, inamovibili per tipologia o per dimensioni.
In tali percorsi vengono considerati i principali affreschi locali del tempo, ad esempio quelli di San Donato a Ripacandida, di San Pietro Caveoso, della chiesa rupestre di Santa Barbara e del Convicinio di sant’Antonio a Matera, dell’Abbazia di Montescaglioso, e quelli della Trinità di Miglionico.
Ma anche i grandi polittici come quello di Cima da Conegliano sempre a Miglionico, che testimonia, insieme alla straordinaria scultura raffigurante Sant’Eufemia del Duomo di Montepeloso oggi Irsina, l’attenzione locale alla cultura veneta.
Oppure le opere realizzate nei primi decenni del cinquecento da Giovanni Luce o Francesco da Tolentino a Pietrapertosa o, infine, i numerosi polittici eseguiti per i paesi lucani (Senise, San Chirico Raparo, Salandra, Stigliano etc), da Simone da Firenze, prolifico pittore-emigrante che nella Basilicata interna trovò una committenza pienamente soddisfatta del suo linguaggio “moderno”, che guardava ai maestri toscani della fine del secolo precedente.
Ma anche le sculture dei Persio e degli altri artisti che hanno lasciato le loro opere nei numerosi piccoli centri della regione
I percorsi di valorizzazione territoriale coinvolgeranno anche la vicina Puglia, dove non si potranno dimenticare, ad esempio, gli affreschi della chiesa di Santa Caterina a Galatina e quelli di Santo Stefano di Soleto.
RINASCIMENTO VISTO DA SUD. MATERA, L’ITALIA MERIDIONALE E IL MEDITERRANEO TRA 400 E 500.
Il grande progetto espositivo intitolato Rinascimento visto da sud: Matera, l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra ‘400 e ‘500, che si svolgerà dal 18 aprile al 19 agosto 2019 nel Museo di Palazzo Lanfranchi a Matera, intende ricostruire, attraverso un nuovo racconto visivo fatto di rare e preziose opere d’arte ma anche di oggetti e documenti storici di forte impatto, la fioritura artistica e culturale avvenuta nell’Italia meridionale nel secolo a cavallo tra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento in relazione con il più ampio contesto del Mediterraneo.
La mostra, che prevede naturalmente un focus particolare su Matera e la Basilicata, sarà integrata e arricchita da speciali percorsi di conoscenza e valorizzazione delle opere d’arte tardogotiche e rinascimentali disseminate nel territorio regionale, inamovibili per tipologia o per dimensioni.
In tali percorsi saranno considerati i principali affreschi locali del tempo, ad esempio quelli di San Donato a Ripacandida, quelli della chiesa rupestre di Santa Barbara a Matera e quelli della Trinità di Miglionico, ma anche i grandi polittici come quello di Cima da Conegliano sempre a Miglionico, che testimonia, insieme alla straordinaria scultura raffigurante Sant’Eufemia del Duomo di Montepeloso oggi Irsina, l’attenzione locale alla cultura veneta; oppure le opere realizzate nei primi decenni del cinquecento da Giovanni Luce o Francesco da Tolentino a Pietrapertosa o, infine, i numerosi polittici eseguiti per i paesi lucani (Senise, San Chirico Raparo, Salandra, Stigliano etc), da Simone da Firenze, prolifico pittore-emigrante che nella Basilicata interna trovò una committenza pienamente soddisfatta del suo linguaggio “moderno”, che guardava ai maestri toscani della fine del secolo precedente.
I percorsi di valorizzazione territoriale coinvolgeranno anche la vicina Puglia, dove non si potranno dimenticare, ad esempio, gli affreschi della chiesa di Santa Caterina a Galatina o quelli di Santo Stefano a Soleto.
L’idea innovativa che guida il progetto scientifico della mostra, che si vuole rivolgere a un pubblico internazionale e non specialista e che è realizzata grazie alla collaborazione dei più importanti studiosi dei linguaggi artistici, della storia e della cultura rinascimentali, è quella di rovesciare il punto di vista tradizionale su questo ampio e importante periodo della storia europea, nell’ambito di un’articolata rilettura interdisciplinare, attenta alla dialettica tra “centro e periferia”.
Una rilettura che avvicini in modo stimolante testimonianze culturali e scientifiche diverse (dipinti, sculture, miniature, medaglie, oreficerie, arazzi, tessuti, maioliche, libri e stampe ma anche oggetti preziosi, carte geografiche, portolani, strumenti di navigazione etc) mettendo a fuoco una storia diversa da quella sviluppata nelle grandi capitali del centro e del nord, come Firenze, Milano, Venezia, Roma, seppur continuamente interconnessa agli eventi e ai linguaggi che caratterizzarono queste capitali.
Una storia meridiana, fatta di contaminazioni culturali e scambi intensissimi avvenuti tra le sponde del mar Mediterraneo, in quel secolo speciale durante il quale si è ‘allargato’ il mondo, come si intende documentare visivamente grazie all’ausilio di grandi “mappa mundi” e atlanti del tempo, che accompagneranno il percorso della mostra, che sarà contraddistinta da un allestimento di forte impatto, in grado di far dialogare in modo sorprendente le opere d’arte con i molteplici e inconsueti ‘documenti’, che costituiranno il filo rosso della mostra.
Una storia che dia anche conto, oggi che il Mare Nostrum è tragicamente al centro dell’attenzione, della mutazione dell’idea di Mediterraneo nella mentalità dei popoli che vi si affacciavano, tra la caduta di Costantinopoli e il definitivo assetto della struttura geopolitica delle sue sponde.
Di come e quanto questo spazio equoreo sia stato percepito come esiguo, facilmente percorribile e passibile di continui rapporti, ma sia stato anche avvertito come vasto, irrelato e ostile.
La mostra intende rivelare e illuminare circolazioni culturali e scambi importantissimi che hanno permesso la fioritura di una vicenda artistica alternativa a quella ben nota e paradigmatica delle capitali del Rinascimento, frutto prezioso di una straordinaria koiné meridiana, della quale appare importante riconoscere e leggere dinamiche, protagonisti e comprimari e il cui centro gravitazionale presto divenne Napoli, già capitale culturale ‘internazionale’ nel XIV secolo sotto i più importanti re angioini, in particolare durante il regno di re Roberto.
La città partenopea, rifiorita dal punto di vista delle arti durante il breve regno di Renato d’Angiò (1438-1442), consolidò il suo ruolo di baricentro culturale del Mediterraneo nella lunga stagione aragonese aperta dall’arrivo a Napoli di Alfonso I il Magnanimo (1442-1458), a cui seguì il figlio Ferrante (1458-1494). Dal 1503, dopo la breve parentesi francese, negli anni spagnoli che si intende approfondire, dal 1503 al 1535, Napoli mantenne il suo ruolo di grande capitale del Viceregno e, caratterizzata da una forte crescita demografica, divenne ben presto la seconda florida metropoli del Mediterraneo dopo Istanbul. Qui Carlo V entrò trionfalmente dalla Porta Capuana il 25 novembre del 1535, arrivando dalla Sicilia dove si era fermato dopo la conquista di Tunisi e la sconfitta del Barbarossa, atteso da don Pedro de Toledo, vicerè da due anni, a cui si deve la grande trasformazione urbanistica della città ‘spagnola’ (il completamento delle mura aragonesi, la costruzione di Castel Sant’Elmo, palazzi, chiese e soprattutto strade, oltre alla bonifica di zone malsane).
L’articolato racconto che si dipana in quasi tutte le sale del museo copre circa un secolo di storia, dal 1438, data di inizio dell’ultimo regno angioino a Napoli, al 1535, anno in cui Carlo V riconquistò Tunisi e raggiunse poi le più importanti città del vicereame, Palermo, Messina, ed infine Napoli.
Una grande installazione multimediale e evocativa accoglierà i visitatori nella Chiesa del Carmine collegata a Palazzo Lanfranchi.
La mostra sarà aperta da una sezione sul Mediterraneo, le rotte, gli scambi, i commerci ma anche l’immagine del potere e le dinastie regnanti nel Quattrocento, con un successivo focus sul Mediterraneo nel Cinquecento, che accompagneranno come un filo rosso l’intero percorso espositivo e permetteranno di far emergere i grandi protagonisti del tempo.
Queste due ricche sezioni trasversali e interdisciplinari, nelle quali si alternano documenti e oggetti particolarmente significativi, sono illuminate anche dalla presenza di preziosi ritratti dei protagonisti della vicenda storica che si vuole ricostruire, chiesti in prestito ai più grandi musei italiani e stranieri (tra i quali il Ritratto di Alfonso di Aragona dal Museo Jacquemart André di Parigi, l’Incoronazione di Ferrante d’Aragona di Benedetto da Maiano dal Bargello di Firenze, il busto di Carlo V del Montorsoli dal napoletano museo di Capodimonte, il Ritratto del vicerè Pedro de Toledo dal Museo della Certosa di San Martino ma anche lo stemma di Renato d’Angiò dal prezioso Codice di Santa Marta, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli).
Alla notevole sezione introduttiva seguirà una ricca sezione dedicata alla lunga stagione del gotico internazionale nei due versanti occidentale e orientale, che permetterà di introdurre e descrivere il territorio, le corti, i feudi e le città (si potranno ammirare opere di Bernat Martorell, di Alvaro Pirez, del Maestro di Ladislao di Durazzo, di Giovanni di Francia, opere di orafi e scultori meridionali insieme a tavole del Maestro della Madonna di Atella e del Maestro di Santa Barbara, entrambi attivi in Basilicata).
Con la terza corposa sezione, nella quale si illustreranno Napoli, la Spagna, la Provenza e le Fiandre a confronto con Firenze e Roma ma anche con Venezia e l’Oriente, il progetto entrerà nel vivo del Rinascimento mediterraneo in rapporto al Rinascimento italiano, mettendo l’accento in particolare sul ruolo e i rapporti di dare e di avere degli artisti internazionali che hanno gravitato attorno alle corti di Renato, di Alfonso e di Ferrante, producendo opere per i più importanti committenti religiosi del tempo, tra i quali sono i principali ordini monastici. Saranno messi in relazione capolavori dei più importanti artisti catalani, spagnoli e fiamminghi accanto a opere degli artisti meridionali, attivi nel viceregno e poi anche in Spagna.
Anche per il grande pubblico sarà interessante verificare quanto queste idee artistiche abbiano progressivamente impregnato il territorio meridionale. E come si siano diffuse, seppure in maniera più limitata, in una regione interna come la Basilicata.
Artisti internazionali che hanno saputo fare propria, in tempi assai precoci e grazie a questi scambi, la lezione fiamminga e gli spunti nordici, mediati dalle presenze provenzali, borgognone e spagnole.
In questa sezione saranno messe a confronto, grazie a importanti prestiti internazionali, preziose opere dei principali protagonisti dell’arte e della cultura del tempo, tra i quali Colantonio, Antonello da Messina, Jacomart Baço, Roig de Corella, ma anche Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Bartolomeo Vivarini, Antoniazzo Romano, Pedro Befulco, Cristoforo Scacco, Cristoforo Faffeo, il Maestro di San Severino e Sossio, Francesco Pagano, Riccardo Quartararo per la pittura; Donatello, Domenico Gagini, Francesco Laurana, Guillermo Sagrera ma anche Pietro Alamanno per la scultura, senza dimenticare gli anonimi autori delle più importanti opere presenti nel territorio lucano o le preziose pagine miniate dai codici napoletani, come il Libro d’Ore di Alfonso d’Aragona o il Codice di Santa Marta.
Intenzione della mostra è quella di rileggere non solo quanto succedeva nella capitale partenopea e negli altri centri anche insulari del mediterraneo occidentale (ad esempio in Sardegna con i catalani Thomas e Figuera, il Mestro di Castelsardo e il Maestro di Sanluri ad esempio) ma anche quanto avveniva al contempo sulla dorsale adriatica dove, grazie ai porti della Capitanata, della Terra di Bari e di quella d’Otranto (Manfredonia, Molfetta, Bari, Otranto, Brindisi), si mantenevano più forti relazioni con la Serenissima, e attraverso Venezia con l’eredità dell’antico, ma anche con la cultura greco bizantina attestata dall’altra parte del mare. Anche perchè Matera, che in questi anni è ancora parte della Terra d’Otranto, appare permeata da una cultura più adriatica che tirrenica.
Oltre ai capolavori veneti che punteggiano soprattutto il versante est dello stivale meridionale, territorio murgiano-materano incluso (opere di Bellini, Vivarini, Cima da Conegliano anche a Matera, Genzano, Miglionico, oltre alle opere di scultura di ambito padovano che arrivano a Irsina), arrivano soprattutto in Puglia, pittori di ‘icone’, anche seguito delle migrazioni del secondo Quattrocento, che si attestano in diverse località dell’Italia meridionale, come ad esempio i fratelli Donato e Angelo Bizamano provenienti da Creta.
Oltre ai pittori, sulla sponda adriatica arrivano anche le icone (di cui è documentata l’importazione da parte dei mercanti veneziani) che avevano un buon mercato in gran parte del territorio. Non solo, scultori e lapicidi dalmati, che spediscono opere o transitano nelle terre meridionali, vero e proprio protettorato artistico della capitale adriatica.
Un successivo snodo del percorso, che riguarderà i rapporti e gli scambi della fase matura del periodo aragonese, durante i quali la capitale partenopea, che ha attratto i linguaggi mediterranei dei pittori spagnoli e provenzali, diventa centro di trasmissione della nuova cultura artistica, permetterà di entrare nella seconda parte della mostra, dedicata all’arrivo della ‘maniera moderna’ a Napoli e nelle province meridionali.
Nell’ultima grande sezione si tratteggeranno infatti i rapporti degli artisti e dei loro committenti del Viceregno con i modelli provenienti da Roma, Milano, Firenze, Venezia a partire dalle novità di Pinturicchio, Cesare Da Sesto, ma soprattutto Raffaello (nel 1517 arriva a Palermo nella chiesa di Santa Maria dello Spasimo, l’Andata al Calvario) mediate, tra gli altri, da Polidoro da Caravaggio. Fondamentale la scultura del tempo, Diego de Siloe e Bartolomé Ordóñez, Pietro Belverte e l’allievo Giovanni da Nola, di cui non potranno mancare opere in mostra e la sintesi di Andrea Sabatini da Salerno, il Raffaello del Sud, le cui opere saranno presenti in maniera rilevante insieme a quelle di altri pittori italiani e stranieri attivi anche nelle province interne (il già ricordato Simone da Firenze, Pedro da Aponte, Bartolomeo Guelfo da Pistoia, Pedro Fernandez e Pedro Machuca, ma anche i veneti Lorenzo Lotto, Paris Bordon, Francesco Vecellio e Pordenone, che realizzarono nei primi decenni del 500 diverse opere per le province meridionali). Per arrivare infine alle prime prove di Altobello Persio, tra i più importanti artisti murgiani del Cinquecento.
Una fitta trama di relazioni e influenze, che i documenti materiali disseminati nel territorio (anche in Basilicata) permettono di illuminare. Relazioni che legano Napoli agli altri importanti porti e mercati affacciati sul Mediterraneo occidentale e orientale, Valenza, Barcellona, Marsiglia, Genova, Pisa, Cagliari, Palermo, Tunisi, Alessandria, Cairo, Beirut, Atene, Istanbul, Ragusa, Venezia, come si cercherà di raccontare anche grazie ad una speciale installazione ‘immersiva’ nella Chiesa del Carmine.
Non solo storia dell’arte ma anche storia delle idee, delle culture e delle società, per ricostruire, attraverso un inedito racconto, illuminato dalle opere e dagli oggetti, (fondamentali vettori di significati, stratificazioni e contaminazioni culturali), i rapporti e gli scambi culturali e artistici, oltre che economici e politici, tra le sponde del Mediterraneo. E per comprendere meglio anche la vicenda culturale di una terra apparentemente defilata e periferica come la Basilicata, la cui dimensione artistica, più contenuta ma lo stesso interessante, verrà ricostruita e intrecciata in relazione alle prove internazionali, che si diffondono nel territorio a partire dal centro irradiante napoletano.
La vicenda artistica di Matera (e in generale della Basilicata) non è stata infatti sufficientemente riscostruita, sebbene le sue tracce -innestate sul substrato tardo antico- risalgano ai secoli dell’alto medioevo, anche per colpa di un pregiudizio storiografico, dovuto ad una tradizione di studi più attenta alle emergenze e ai capolavori, di cui per altro il territorio non è completamente privo, che alla comprensione dei contesti. In pochi si sono cimentati, fino agli anni più recenti, nell’impresa di ricostruire la storia artistica della regione mettendola in relazione agli ambiti vicini, ai grandi centri e alle rotte di comunicazione, seguite anche dagli artisti nei secoli più alti. Anche di questo si darà conto in mostra.
Il progetto espositivo, centrale nel programma culturale di Matera-Basilicata 2019, intende dunque affrontare il nodo del Rinascimento da un’altra prospettiva: guardando al mare e alle sue rotte, alle coste e soprattutto agli approdi (i porti, i mercati, le città) che nei secoli hanno avvicinato le culture e i popoli, come a una grande ricchezza e opportunità, non come una a una separazione o barriera.
Dai tempi più remoti le popolazioni hanno attraversato il mare Mediterraneo (il mare di ieri e il mare di oggi, mare che univa e che oggi separa), muovendosi da un capo all’altro, in un continuo scambio di dare e di avere. La Basilicata, terra interna, defilata e montuosa ma affacciata su due mari, è sempre stata, a dispetto della sua orografia complicata, terra di passaggio e accoglienza, regione d’intersezione, incontro e collegamento, via di transito di popoli e culture, cerniera e non barriera: porta tra occidente e oriente.
Per questa dialettica incessante tra periferie e centri (nella quale sta anche Matera con la sua storia speciale), per l’importanza degli scambi e delle contaminazioni, specie nell’attuale fase storica, pensando all’Europa e alla sua ricchezza fatta di molteplicità e diversità, abbiamo immaginato un racconto più largo e avvincente, che sappia mettere in relazione la ricostruzione della storia locale e dei suoi protagonisti (riletta attraverso un piccolo nucleo di puntuali presenze lucane in mostra e opportuni percorsi che invece permettano di valorizzare tutte le emergenze del territorio: affreschi, polittici e singole opere) con una storia più grande e differenziata, cornice o tessuto connettivo che restituisca la koinè mediterranea in tutte le sue declinazioni occidentali e orientali, senza dimenticare il lato meridionale del mare, la sponda islamica con le sue specifiche tradizioni e contaminazioni culturali, sempre più importante dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453.
Sono gli anni dei grandi viaggi, delle scoperte, delle esplorazioni, ma anche delle conquiste nel nuovo mondo (a partire dalla scoperta dell’America nel 1492).
Quello che si conosce del mondo nella seconda metà del Cinquecento è ben diverso da quel che si sapeva nella prima metà del secolo precedente: in pochi decenni lo sguardo si è allargato, ci sono nuovi luoghi e un altro spazio (vogliamo mettere in relazione lo spaesamento di allora con la “crisi della ragione cartografica” di oggi, come scrive Franco Farinelli).
E, di conseguenza, è cambiata la forma e la rappresentazione del mondo e le scoperte scientifiche hanno cominciato a ridisegnare anche il cielo.
La mostra, che vuole raccontare attraverso le immagini materiali e immateriali (oggetti ma anche fotografie, supporti audiovisivi e piccoli inserti di realtà aumentata) la storia e i luoghi, ma soprattutto gli uomini e le loro idee, seguirà un andamento cronologico che intreccerà la scansione tematica.
Le Sezioni della grande Mostra
La mostra viene aperta da una sezione sul Mediterraneo, le rotte, gli scambi, i commerci ma anche l’immagine del potere e le dinastie regnanti nel Quattrocento, con un successivo focus sul Mediterraneo nel Cinquecento, che accompagneranno come un filo rosso l’intero percorso espositivo e permetteranno di far emergere i grandi protagonisti del tempo.
Queste due ricche sezioni trasversali e interdisciplinari, nelle quali si alterneranno documenti e oggetti particolarmente significativi, sono illuminate anche dalla presenza di preziosi ritratti dei protagonisti della vicenda storica che si vuole ricostruire, chiesti in prestito ai più grandi musei italiani e stranieri (tra i quali il Ritratto di Alfonso di Aragona dal Museo Jacquemart André di Parigi, l’Incoronazione di Ferrante d’Aragona di Benedetto da Maiano dal Bargello di Firenze, il busto di Carlo V del Montorsoli dal napoletano museo di Capodimonte, il Ritratto del vicerè Pedro de Toledo dal Museo della Certosa di San Martino ma anche lo stemma di Renato d’Angiò dal prezioso Codice di Santa Marta, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli).
Alla notevole sezione introduttiva segue una ricca sezione dedicata alla lunga stagione del gotico internazionale nei due versanti occidentale e orientale, che permette di introdurre e descrivere il territorio, le corti, i feudi e le città (vi si possono ammirare opere di Bernat Martorell, di Alvaro Pirez, del Maestro di Ladislao di Durazzo, di Giovanni di Francia, opere di orafi e scultori meridionali insieme a tavole del Maestro della Madonna di Atella e del Maestro di Santa Barbara, entrambi attivi in Basilicata).
Con la terza corposa sezione, nella quale si illustrano Napoli, la Spagna, la Provenza e le Fiandre a confronto con Firenze e Roma ma anche con Venezia e l’Oriente, il progetto entrerà nel vivo del Rinascimento mediterraneo in rapporto al Rinascimento italiano, mettendo l’accento in particolare sul ruolo e i rapporti di dare e di avere degli artisti internazionali che hanno gravitato attorno alle corti di Renato, di Alfonso e di Ferrante, producendo opere per i più importanti committenti religiosi del tempo, tra i quali sono i principali ordini monastici. Vi vengono messi in relazione capolavori dei più importanti artisti catalani, spagnoli, provenzali e fiamminghi accanto a opere degli artisti meridionali, attivi nel viceregno e poi anche in Spagna.
Anche per il grande pubblico risulta interessante verificare quanto queste idee artistiche abbiano progressivamente impregnato il territorio meridionale. E come si siano diffuse, seppure in maniera più limitata, in una regione interna come la Basilicata.
Artisti internazionali che hanno saputo fare propria, in tempi assai precoci e grazie a questi scambi (ricostruiti nel corso degli ultimi anni a partire dal pionieristico studio di Ferdinando Bologna e dalla mostra curata da Mauro Natale del 2001 ai quali si fa riferimento), la lezione fiamminga e gli spunti nordici, mediati dalle presenze provenzali, borgognone e spagnole.
In questa sezione vengono messe a confronto, grazie a importanti prestiti internazionali, preziose opere dei principali protagonisti dell’arte e della cultura del tempo, tra i quali Colantonio, Antonello da Messina, Jacomart Baço, Barthelemy D’Eyck, Roig de Corella, Bartolomé Bermejo, Riccardo Quartararo ma anche Andrea Mantegna, Giovanni Bellini, Bartolomeo Vivarini, Antoniazzo Romano, Pedro Befulco, Cristoforo Scacco, Cristoforo Faffeo, il Maestro di San Severino e Sossio, Francesco Pagano, Riccardo Quartararo per la pittura; Donatello, Domenico Gagini, Francesco Laurana, Guillermo Sagrera ma anche Pietro Alamanno per la scultura, senza dimenticare gli anonimi autori delle più importanti opere presenti nel territorio lucano o le preziose pagine miniate dai codici napoletani, come il Libro d’Ore di Alfonso d’Aragona o il Codice di Santa Marta.
Intenzione della mostra è quella di rileggere non solo quanto succedeva nella capitale partenopea e negli altri centri anche insulari del mediterraneo occidentale (ad esempio in Sardegna con i catalani Tomas e Fuguera e il Maestro di Sanluri ad esempio) ma anche quanto avveniva al contempo sulla dorsale adriatica dove, grazie ai porti della Capitanata, della Terra di Bari e di quella d’Otranto (Manfredonia, Molfetta, Bari, Otranto, Brindisi), si mantenevano più forti relazioni con la Serenissima, e attraverso Venezia con l’eredità dell’antico, ma anche con la cultura greco bizantina attestata dall’altra parte del mare. Anche perchè Matera, che in questi anni è ancora parte della Terra d’Otranto, appare permeata da una cultura più adriatica che tirrenica.
Oltre ai capolavori veneti che punteggiano soprattutto il versante est dello stivale meridionale, territorio murgiano-materano incluso (opere di Bellini, Vivarini, Cima da Conegliano anche a Matera, Genzano, Miglionico, oltre alle opere di scultura di ambito padovano che arrivano a Irsina), arrivano soprattutto in Puglia, pittori di ‘icone’, anche seguito delle migrazioni del secondo Quattrocento, che si attestano in diverse località dell’Italia meridionale, come ad esempio i fratelli Donato e Angelo Bizamano provenienti da Creta.
Oltre ai pittori, sulla sponda adriatica arrivano anche le icone (di cui è documentata l’importazione da parte dei mercanti veneziani) che avevano un buon mercato in gran parte del territorio. Non solo, scultori e lapicidi dalmati, che spediscono opere o transitano nelle terre meridionali, vero e proprio protettorato artistico della capitale adriatica.
Un successivo snodo del percorso, che riguarda i rapporti e gli scambi della fase matura del periodo aragonese, durante i quali la capitale partenopea, che ha attratto i linguaggi mediterranei dei pittori spagnoli e provenzali, diventa centro di trasmissione della nuova cultura artistica, permetterà di entrare nella seconda parte della mostra, dedicata all’arrivo della ‘maniera moderna’ a Napoli e nelle province meridionali.
Nell’ultima grande sezione si tratteggeranno infatti i rapporti degli artisti e dei loro committenti del Viceregno con i modelli provenienti da Roma, Milano, Firenze, Venezia. A partire dalle novità di Pinturicchio, Cesare Da Sesto, ma soprattutto Raffaello (nel 1517 arriva a Palermo nella chiesa di Santa Maria dello Spasimo, l’Andata al Calvario) mediate, tra gli altri, da Polidoro da Caravaggio.
Fondamentale la scultura del tempo, Diego de Siloe e Bartolomé Ordóñez, Pietro Belverte e l’allievo Giovanni da Nola, di cui non potranno mancare opere in mostra e la sintesi di Andrea Sabatini da Salerno, il Raffaello del Sud, le cui opere saranno presenti in maniera rilevante insieme a quelle di altri pittori italiani e stranieri attivi anche nelle province interne (il già ricordato Simone da Firenze, Pedro da Aponte, Bartolomeo Guelfo da Pistoia, Pedro Fernandez e Pedro Machuca.
E i veneti Lorenzo Lotto, Paris Bordon, Francesco Vecellio e Pordenone, che realizzarono nei primi decenni del 500 diverse opere per le province meridionali). Per arrivare infine alle prime prove di Altobello Persio, tra i più importanti artisti murgiani del Cinquecento.
Una fitta trama di relazioni e influenze, che i documenti materiali disseminati nel territorio (anche in Basilicata) permettono di illuminare. Relazioni che legano Napoli agli altri importanti porti e mercati affacciati sul Mediterraneo occidentale e orientale, Valenza, Barcellona, Marsiglia, Genova, Pisa, Cagliari, Palermo, Tunisi, Alessandria, Cairo, Beirut, Atene, Istanbul, Ragusa, Venezia, come si cercherà di raccontare anche grazie ad una speciale installazione ‘immersiva’ nella Chiesa del Carmine.
Non solo storia dell’arte ma anche storia delle idee, delle culture e delle società, per ricostruire, attraverso un inedito racconto, illuminato dalle opere e dagli oggetti, (fondamentali vettori di significati, stratificazioni e contaminazioni culturali), i rapporti e gli scambi culturali e artistici, oltre che economici e politici, tra le sponde del Mediterraneo. E per comprendere meglio anche la vicenda culturale di una terra apparentemente defilata e periferica come la Basilicata, la cui dimensione artistica, più contenuta ma lo stesso interessante, verrà ricostruita e intrecciata in relazione alle prove internazionali, che si diffondono nel territorio a partire dal centro irradiante napoletano.
La vicenda artistica di Matera (e in generale della Basilicata) non è stata infatti sufficientemente riscostruita, sebbene le sue tracce -innestate sul substrato tardo antico- risalgano ai secoli dell’alto medioevo, anche per colpa di un pregiudizio storiografico, dovuto ad una tradizione di studi più attenta alle emergenze e ai capolavori, di cui per altro il territorio non è completamente privo, che alla comprensione dei contesti. In pochi si sono cimentati, fino agli anni più recenti, nell’impresa di ricostruire la storia artistica della regione mettendola in relazione agli ambiti vicini, ai grandi centri e alle rotte di comunicazione, seguite anche dagli artisti nei secoli più alti. Anche di questo si da conto in mostra.
Intorno alla mostra percorsi tra Basilicata e Puglia alla scoperta dei tesori del Rinascimento
La mostra, che prevede naturalmente un focus particolare su Matera e la Basilicata, è integrata e arricchita da speciali percorsi di conoscenza e valorizzazione delle opere d’arte tardogotiche e rinascimentali disseminate nel territorio regionale, inamovibili per tipologia o per dimensioni.
In tali percorsi vengono considerati i principali affreschi locali del tempo, ad esempio quelli di San Donato a Ripacandida, di San Pietro Caveoso, della chiesa rupestre di Santa Barbara e del Convicinio di sant’Antonio a Matera, dell’Abbazia di Montescaglioso, e quelli della Trinità di Miglionico.
Ma anche i grandi polittici come quello di Cima da Conegliano sempre a Miglionico, che testimonia, insieme alla straordinaria scultura raffigurante Sant’Eufemia del Duomo di Montepeloso oggi Irsina, l’attenzione locale alla cultura veneta.
Oppure le opere realizzate nei primi decenni del cinquecento da Giovanni Luce o Francesco da Tolentino a Pietrapertosa o, infine, i numerosi polittici eseguiti per i paesi lucani (Senise, San Chirico Raparo, Salandra, Stigliano etc), da Simone da Firenze, prolifico pittore-emigrante che nella Basilicata interna trovò una committenza pienamente soddisfatta del suo linguaggio “moderno”, che guardava ai maestri toscani della fine del secolo precedente.
Ma anche le sculture dei Persio e degli altri artisti che hanno lasciato le loro opere nei numerosi piccoli centri della regione
I percorsi di valorizzazione territoriale coinvolgeranno anche la vicina Puglia, dove non si potranno dimenticare, ad esempio, gli affreschi della chiesa di Santa Caterina a Galatina e quelli di Santo Stefano di Soleto.
Testi dei pannelli della mostra “Rinascimento visto da Sud. Matera l’Italia meridionale e il Mediterraneo tra 400 e 500”
Questa mostra vuole offrire un punto di vista diverso sul Rinascimento, che ci permetta di guardare a questo periodo decisivo della storia e della cultura europea attraverso l’ottica del “pensiero meridiano” e sperimentando una visione che collochi l’Italia meridionale all’interno di una dimensione mediterranea.
Quella del Rinascimento meridionale è, infatti, una storia di navigazioni e di approdi, di rumori dei porti e di odori dei mercati, di incontri e di racconti, di memorie e di oggetti, di leggende e di suoni, di uomini e di opere d’arte che dura quasi un secolo, dal 1438 al 1535, nel corso del quale le città del regno – a partire da Napoli capitale sino ai centri della sponda adriatica – si pongono in un sistema di relazioni con i luoghi dell’intero Mediterraneo: dai porti provenzali ed iberici sino a quelli del settore orientale di cultura islamica, sino a Venezia, altra grande capitale e potenza marittima.
La mostra considera, inoltre, il Rinascimento meridionale in una prospettiva strettamente complementare alla tradizione artistica dei grandi centri del centro nord italiano: Roma, Firenze, Venezia, Milano, senza escludere realtà signorili come quella di Ferrara o Mantova.
Le opere qui raccolte illustrano la fioritura artistica e culturale avvenuta al Sud in questo secolo cruciale in relazione con il più ampio contesto italiano ed europeo, ma anche all’interno di una incessante dialettica interna ai confini del regno: dialettica tra centri e periferie, tra luoghi avvantaggiati dalla geografia ed aree interne, defilate, montuose, nella quale sta anche Matera con la sua storia speciale ed il suo destino rovesciato, da vergogna nazionale a capitale culturale.
Si è dato forma a questa narrazione con rare e preziose testimonianze culturali, più di duecento tra dipinti, sculture, miniature, reperti antichi, medaglie, oreficerie, tessuti, maioliche, libri e stampe, ma anche carte geografiche, portolani, strumenti di navigazione, documenti d’archivio che permettono, tutti insieme e nei loro eccezionali o inattesi dialoghi, di mettere a fuoco una storia naturalmente diversa da quella sviluppata nelle grandi capitali del centro e del nord, seppure ad essa continuamente interconnessa.
[Una storia meridiana dunque, messa a fuoco con un impagabile lavoro collettivo, e fatta di incroci culturali e rapporti intensissimi avvenuti tra le sponde mai precluse all’attracco del mare “nostro”, in quel secolo speciale durante il quale si è ‘allargato’ il mondo. ]
“Sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa ”( Matvejevic)
I Il Mediterraneo. Il mare, le rotte, i commerci, il potere, le dinastie (1438-1503)
Dalla fine del XIV secolo il Mediterraneo fu teatro dell’ininterrotto scontro tra i diversi regni affacciati sul quel mare. Solo allo scadere del Cinquecento si consolidò l’assetto definitivo di quest’area, determinando una geografia politica, religiosa, culturale che sarebbe poi rimasta pressoché inalterata fino ai nostri giorni.
Se nella sezione occidentale del vasto mare europeo si assistette al conflitto inesausto tra la dinastia francese degli Angioini e quella spagnola degli Aragonesi, nel settore orientale, per tutto il Quattrocento, la Repubblica di Venezia dovette arginare la forza territoriale e numerica dello stato ottomano. Le politiche di queste potenze si intrecciarono, favorendosi o contrastandosi secondo un mutevole gioco delle parti nel quale l’unico valore universalmente condiviso fu quello dell’agibilità degli scambi commerciali tra tutte le sponde del grande mare.
Per tutto il Quattrocento le grandi metropoli del Mediterraneo, Costantinopoli e Venezia, Il Cairo e Barcellona, Napoli e Genova, furono le maggiori e le più ricche in Europa, ossia del mondo allora conosciuto. In parallelo, naturalmente, la necessità di spostarsi, produsse un progressivo, straordinario sviluppo delle conoscenze tecniche e geografiche, favorendo l’estensione delle rotte e, presto, le grandi scoperte.
Gli atlanti, le mappe, i portolani, gli strumenti di navigazione sono il risultato tangibile di questo sviluppo. I rapporti commerciali, gli scambi continui delle merci furono possibili grazie alla mobilità delle persone e con loro delle culture che crebbero e si arricchirono, mescolandosi in uno spazio sempre largamente e profondamente permeabile.
II La lunga stagione del gotico internazionale
All’aprirsi del Quattrocento il linguaggio gotico elaborato nell’Europa centroccidentale a partire dal XII secolo era l’espressione più avanzata di modernità in architettura – dal punto di vista formale e tecnico -, nelle arti figurative e nella scrittura corsiva adottata, per la praticità di esecuzione, nelle cancellerie europee e nelle Università. La diffusione del gotico fu un fortissimo elemento di unificazione culturale e, fatte salve le singole declinazioni del fenomeno, fu in grado di tenere insieme tutta l’Europa dalla Scandinavia fino alla Sicilia in un sistema culturale moderno e cristiano. Nel Meridione d’Italia, e fin nella parte orientale del Mediterraneo (Cipro), la corte angioina fece di questo stile figurativo, aggiornato sull’esempio della patria francese, un segno identitario capace di imporsi stabilmente a mano a mano che la dinastia si radicava nel Sud, alleandosi, anche, con le grandi famiglie baronali. A Napoli come a Genova, a Venezia e a Ragusa come a Barcellona o a Valencia l’inedita capacità di rappresentare fedelmente, per la prima volta dopo secoli, l’aspetto naturale del mondo si univa a nuove capacità tecniche e a una studiata volontà ornamentale. L’immediatezza narrativa del Maestro di Ladislao di Durazzo o le opere ornate dei pittori catalani e veneziani, i crocifissi dolorosi di impressionante verismo o le sontuose oreficerie illustrano bene questa congiuntura. Del tutto naturalmente questa lingua, funzionale alle pretese signorili dei feudatari locali ma anche duttile strumento per la devozione popolare, durò più a lungo nelle regioni adriatiche e nelle isole, anche dopo che la dinastia aragonese promosse scelte diverse. Come dimostra anche l’ostinata sopravvivenza di un linguaggio figurativo tardogotico in Basilicata.
III Un altro Rinascimento. Colantonio, Antonello e l’arte dei “ponentini”
Con la morte di Giovanna II d’Angiò-Durazzo (1435) e l’arrivo a Napoli dei nuovi sovrani suoi “eredi” – dapprima Renato d’Angiò (1438) e poi il rivale Alfonso d’Aragona (1442) – nella cultura artistica meridionale si produsse un grande cambiamento.
Giunse infatti a Napoli, e conseguentemente nel resto del regno, un gusto aggiornato orientato verso l’“arte nuova” nata a inizio secolo nelle Fiandre e diffusasi poi con crescente successo in Francia, in Spagna, in Germania. Ne furono promotori sia Renato, per alcuni anni prigioniero in Borgogna presso la corte di Filippo il Buono dove era attivo il pittore Barthélemy d’Eyck, che Alfonso, appassionatosi già in patria agli arazzi del Nord e ai dipinti di Jan van Eyck.
Durante e dopo gli anni di Alfonso (fino al 1458), i principali modelli di riferimento, specie nell’ambito della pittura, divennero ben più delle esperienze del Rinascimento italiano, quelle del “Rinascimento” fiammingo. L’arrivo in città di artisti valenzani, catalani e maiorchini, il pittore Jacomart o lo scultore e architetto Sagrera, il probabilmente il francese Jean Fouquet, ma anche la documentata presenza di opere di van Eyck, Petrus Christus o Roger van der Weyden nella collezione di Alfonso e oggi perdute, influenzò iprofondamente il contesto napoletano, spingendo i pittori locali – Colantonio, il suo giovane allievo Antonello da Messina e tanti altri di cui ignoriamo il nome – ad adottare un linguaggio di schietta imitazione della realtà, analitico, descrittivo, attento alla resa del paesaggio e della natura e ai diversi effetti della luce sui corpi tridimensionali e sulla materia cose.
IV Il rapporto con Firenze e con l’Antico
Alfonso d’Aragona inaugurò il suo regno rappresentando la realtà della nuova monarchia aragonese e il proprio ruolo sovrano attraverso immagini tratte fedelmente dall’antico. In tutto il meridione d’Italia tanto la cultura greca quanto quella romana avevano lasciato una messe grandiosa di testimonianze monumentali che raccontavano con impressionante forza un passato glorioso. Ritratto nel marmo sull’arco di Castelnuovo, costruito a partire dalla metà del secolo prendendo a modello l’arco dei Sergi a Pola in Istria, Alfonso entra trionfante a Napoli nel 1443 come un Cesare antico. Le coeve medaglie bronzee del re, per eseguire le quali il Pisanello venne a corte, recano, come nelle monete degli imperatori romani, i ritratti dei sovrani e furono utilissime per diffondere universalmente il volto del re. Da allora, le immagini tratte dal passato romano furono una caratteristica della dinastia, ma, a poco a poco e con coloriture diverse, anche di alcune grandi famiglie baronali e di maggiorenti del regno come nel caso di Diomede Carafa.
Gli Aragonesi si impegnarono, inoltre, a sviluppare la cultura umanistica, promuovendo la presenza di letterati e costituendo una grande biblioteca moderna a sostegno degli studi sulla tradizione classica. La ricostruzione topografica della Nola antica è un esempio straordinario e precoce di questo lavorio. Verso la fine del secolo XV e l’inizio del successivo il linguaggio all’antica e fondato su modelli classici era ormai divenuto lingua comune nell’architettura, nell’arte figurativa e in generale norma nella cultura letteraria e filosofica.
Il versante adriatico
Nel 1453, con la caduta di Costantinopoli nelle mani di Maometto II, si avviò la diaspora di artisti ed intellettuali attivi sino ad allora nella capitale degli ultimi imperatori paleologi. Tale migrazione verso i possedimenti veneziani nell’Egeo, soprattutto verso l’isola di Creta, generò una nuova fase dell’arte bizantina: sul sostrato tecnico e formale orientale si innestarono motivi iconografici e formule provenienti dall’Occidente tramite le stampe e le illustrazioni librarie e soprattutto tramite le opere d’arte importate da Venezia. Questa pittura “ibrida”, che serbava il carattere iconico e la tradizione devozionale delle antiche immagini bizantine pur mostrandosi aggiornata sugli sviluppi del Rinascimento italiano, riscosse un notevole successo nel pubblico europeo ed ebbe una vasta diffusione nelle regioni del Sud d’Italia e lungo entrambe le sponde dell’Adriatico.
Le icone ed i polittici provenienti dalle botteghe dei maestri candioti del XV e del XVI secolo, quali Andreas Ritzos, Nikoalos Tzafouris, Andrea Pavias, trasportati sulle navi dei mercanti, furono accolti nelle chiese cattoliche delle città meridionali ed entrarono nei luoghi di culto italiani degli antichi ordini cavallereschi di Terrasanta ed in quelli delle comunità albanesi e greche qui migrate sotto la pressione ottomana; insieme alle opere viaggiarono gli artisti, i quali nel loro itinerare lungo le rotte mediterranee ed adriatiche raccolsero e composero suggestioni diverse, spesso producendo una eccentrica mescolanza figurativa di ‘greco’ e ‘latino’.
VI Artisti e opere tra la Spagna e l’Italia a fine secolo
Durante i regni di Ferrante (1458-94) e Alfonso II d’Aragona (1494-95) il rapporto tra Napoli, la Spagna e Fiandre rimase ancora forte: artisti iberici continuarono a raggiungere la capitale meridionale o a mandare loro opere al Sud – è il caso di Bermejo, degli Osona, di Pedro Berruguete e di tanti di cui conosciamo solo il nome –, mentre la corte, al contrario, mostrò un interesse crescente per l’arte centro – e nord-italiana, nel quadro d’una politica di nuove alleanze coi Medici a Firenze, i Montefeltro a Urbino, gli Sforza a Milano e gli Este a Ferrara.
Rovesciando i rapporti di dare e di avere, nel 1472 lavorarono a Valencia, giungendo da Roma inviati dal cardinal Rodrigo Borgia, un pittore emiliano, Paolo da San Leocadio, uno napoletano, Francesco Pagano insieme, forse, ad un artista siciliano, Riccardo Quartararo. Eco di questi intrecci risuonerà a Napoli grazie al rientro in patria degli ultimi due.
Già negli anni ’70 e poi fra il 1488 e il 1492 fu attivo a Napoli, talora in società con Quartararo, il pittore veneto-ferrarese Costanzo de Moysis: la decorazione perduta delle ville aragonesi di Poggioreale e della Duchesca da parte di Costanzo, di Calvano da Padova e dei fiorentini Donzello dovette segnare una svolta per l’arte a Napoli verso il linguaggio rinascimentale di Mantegna e di Ghirlandaio.
La cultura prospettica, il richiamo all’Antico e il senso italiano della forma penetrarono in questi anni al Sud anche grazie all’invio, nei feudi di Fondi e di Capua, di opere di Antoniazzo Romano ma anche al tirocinio di artisti meridionali come Cicino o Faffeo nella Roma di Melozzo, Antoniazzo, Perugino e Pinturicchio. Da considerare anche la svolta in chiave romana e fiorentina dello scultore siciliano Antonello Gagini e l’attività meridionale dell’emiliano Rimpatta, del mantegnesco veronese Cristoforo Scacco, fra il 1483 e il 1500 circa.
V Venezia, la Puglia e l’Oriente
Per Venezia, città sull’acqua, il mare Adriatico era la naturale estensione del proprio spazio vitale. Lo stretto controllo esercitato in quella sorta di enorme golfo favorì lo spostamento di persone e di merci di ogni sorta da Nord a Sud e viceversa. Gruppi di cittadini della Serenissima si stabilirono lungo le coste pugliesi – a Trani c’era un consolato generale veneziano -, mentre le rotte adriatiche furono a lungo il modo più facile di viaggiare verso Nord. I beni importati da Venezia furono sostanzialmente alimentari, del tutto necessari a una città senza contado: frumento, latticini, sale e specialmente l’olio per uso alimentare e illuminante. L’esportazione, al contrario, riguardò materie prime ma specialmente manufatti di lusso, tra i quali le opere d’arte furono una parte importante. Le maggiori botteghe artistiche veneziane, dai Vivarini, ai Bellini, a Cima da Conegliano, e più tardi da Paris Bordon, a Pordenone, a Lorenzo Lotto, ai Santacroce, fornirono dipinti sacri per gli altari di chiese e confraternite delle città lungo la costa e in generale nel meridione d’Italia, oltre a manufatti lignei e sculture. I committenti di tali opere furono gli ordini religiosi, per loro natura diffusi in tutta Europa, o cittadini di origini veneziane, o ancora maggiorenti locali che frequentavano la Dominante, la città lagunare per i commerci o Padova per studiarvi all’Università.
Gli abiti
Nel codice visivo delle corti tardomedievali e rinascimentali gli abiti ebbero un’importanza che oggi è difficile mettere a fuoco completamente. L’immagine del signore – il sovrano, poi il Vicerè, il grande feudatario – dipendeva dal vestito con il quale si mostrava in pubblico mentre nell’universo ristretto delle corti il colore e i motivi decorativi comunicavano lo stato araldico e sociale del personaggio oltre a specifici messaggi “in cifra”.
Fu dunque importante, per le corti sostenere, o addiritura impiantare ex novo produzioni tessili nel proprio dominio onde non dovere dipendere integralmente dai maggiori centri produttivi esteri come Firenze, Lucca e Venezia. Tali tessuti preziosi servirono indistintamente per i paramenti ecclesiastici quanto per gli abiti secolari.
Significativo, inoltre, il fatto che – condividendo una severità propugnata a partire dal Cinquecento dagli ambienti umanistici napoletani dal Pontano al Sannazzaro – in epoca vicereale gli esponenti delle classi dominanti, come il marchese di Pescara, Francesco Ferdinando di Avalos, prediligessero abiti di costosi tessuti completamente neri in spregio dell’albagia del più recente abbigliamento cortigiano.
VII Il Mediterraneo. Il mare, le rotte, i commerci, il potere, le dinastie (1503 – 1535)
La conquista e l’annessione alla corona di Spagna del Meridione d’Italia sino ad allora sotto il dominio degli Aragonesi (1503), il regno dei primi sovrani Ferdinando il Cattolico (1503-1516) e Carlo V (1516-1555) e quello dei loro viceré a Napoli e in Sicilia – da Consalvo de Cordoba a Ferrante Gonzaga e a Pedro de Toledo – comportarono grandi cambiamenti dell’assetto politico, economico e amministrativo di questi territori: dall’incremento della pressione fiscale alla dipendenza da una monarchia ormai lontana, dallo sviluppo tumultuoso di Napoli rispetto alle province all’incremento della componente castigliana nell’amministrazione del Regno, dalla questione sempre più centrale della riforma della giustizia al delicato rapporto tra viceré, parlamento e potere baronale e alla progressiva decrescita dell’importanza dei catalani – sostituiti dai fiorentini e dai genovesi – nel commercio e nella finanza.
Il Meridione, e specie Napoli, mantenne tuttavia per tutto il Cinquecento il suo ruolo di grande scalo di traffici mediterranei, in particolare con la Spagna: traffici economici, di merci, di uomini, ma anche militari, di flotte e di eserciti.
La conquista di Tunisi da parte di Carlo V, nel 1535, e il suo percorso trionfale, sull’esempio degli antichi imperatori, dalla Sicilia a Napoli e a Roma sanciscono in modo visibile questo ruolo del Regno come “porta” tra Spagna e Italia, e insieme anche il ruolo degli umanisti, del modello della Classicità e del rapporto con la Roma dei papi.
Basilicata
In Basilicata, crocevia di molteplici influenze nei primi decenni del Cinquecento, accanto all’ininterrotta importazione di opere di fattura adriatica di matrice latamente tardogotica cominciò ad affermarsi il gusto per immagini più moderne che arrivarono dall’Italia centrale attraverso lo snodo della capitale del Regno, come ad esempio quelle di Bartolomeo Guelfo da Pistoia o Francesco da Tolentino. I documenti accertano che, dal 1513 Giovanni da Nola, scultore ormai pienamente moderno, intrattenne rapporti con il territorio lucano. In questo contesto si afferma anche l’attività di Simone da Firenze, senza dubbio la punta più alta del Rinascimento in Basilicata insieme ai pittori regnicoli Andrea da Salerno e Giovanni da Eboli, che introdusse già dal terzo decennio una cultura raffaellesca ormai di casa nella capitale partenope. In rapporto con lui fu probabilmente lo scultore di cultura nordica, autore della sant’Anna Metterza di Stigliano.
Accanto alla scultura lignea, si diffuse anche a Matera, allora compresa nella Terra d’Otranto, un altro filone della scultura, proveniente dalla Puglia e dedito prevalentemente alla lavorazione della locale pietra tenera da rifinire poi con una vivace policromia. Salentino, formatosi su modelli veneziani, fu infatti Stefano da Putignano a cui guardò Altobello Persio, lo scultore nato a Montescaglioso nel 1507 che, stabilitosi a Matera, fu prolifico capostipite di una genia di umanisti, artisti ed architetti e partigiano di uno stile moderatamente classicheggiante, parlato più correntemente dal fratello minore Aurelio.
VIII La “maniera moderna” nel Viceregno
La conquista nel 1503 e la successiva annessione del Regno di Napoli alla corona di Spagna, produssero, prima con Ferdinando il Cattolico e poi con Carlo V, cambiamenti significativi sotto il profilo politico, economico ed amministrativo: il Meridione divenne un Vicereame dipendente da una monarchia lontana. La produzione artistica fu sempre più caratterizzata dalla concentrazione, a Napoli, del mercato delle commesse e degli stessi artisti, provenienti anche dalle ‘province’ del Regno. Non solo, nella capitale crebbe anche la tradizionale dialettica tra presenze forestiere ed energie locali, secondo una triangolazione nella quale Napoli svolse il ruolo di “porta d’ingresso” in Italia degli artisti spagnoli diretti verso Roma, che allora era laboratorio massimo della cultura antiquaria e della “maniera moderna” impersonata da Raffaello e Michelangelo.
Dipinti del pittore di Urbino giunsero a Napoli (la Madonna del pesce nel 1513) ma anche a Palermo e L’Aquila. Nella capitale giunsero opere scolpite dal toscano Andrea Ferrucci; al Sud scesero da Roma pittori come il leonardesco e raffaellesco Cesare da Sesto (1513-1518) o come il “manierista” Polidoro da Caravaggio (1523-1543).
A tali presenze si aggiunse il ruolo fecondo di mediazione – sull’asse fra Napoli, Roma, talvolta Firenze e talora Milano – di pittori e scultori spagnoli come Pedro de Aponte, Pedro Fernández, Pedro Machuca, Diego de Siloe, Bartolomé Ordóñez e forse Alonso Berruguete.
Artisti locali come i pittori Andrea da Salerno e Marco Cardisco o gli scultori Giovanni da Nola e Girolamo Santacroce ne derivarono spunto per visitare Roma e per elaborare a loro volta un linguaggio “moderno”, classicista o talora, invece, espressivo e drammatico.