La Filctem in Coopobox è il primo sindacato per rappresentanza per numeri di iscritti con il 50% sulla formazione lavori ed insieme alla UILTEC in modo responsabile tre anni fa hanno firmarono al MISE l accordo che ha permesso il salvataggio dello stabilimento di Ferrandina e nuove assunzioni.
La situazione era critica e la cura è stata da cavallo. Coopbox è tornata a galla ma per farlo la casa madre di Bibbiano – controllata dalla cooperazione reggiana – ha chiuso tre stabilimenti all’estero, i due più grandi in Spagna e l’altro in Francia, lasciando a casa qualcosa come 280 dipendenti. «Un’esperienza complicata» si limita a dire chi ha lavorato ai margini della riorganizzazione, accolta all’estero da forti proteste sindacali ma chiusa definitivamente a dicembre, con svalutazioni degli asset relativi per 5-6 milioni di euro nel bilancio 2018, al quale segue però un ritorno all’utile per 450mila euro nel primo trimestre del 2019. Ed è qui che sta la chiave di volta per i vertici dell’azienda, guidata dall’amministratore delegato Antonio Terzoni e dal presidente Moris Ferretti (a capo anche del Ccpl che detiene il 100% delle quote di Coopbox). La cooperazione ha fatto calare ancora una volta la scure sull’azienda di Bibbiano, specializzata nella produzione del packaging per alimenti per risanarla una volta per tutte. La produzione riguarda al 60% confezioni carni e pesce, poi c’è il fresco, l’ortofrutta e la gelateria, con la gastronomia che è ormai il comparto che guiderà il futuro del settore. Parte della produzione estera quindi è tornata in Italia.
Il risultato numericamente positivo della trimestrale è l’esito quindi di un lungo percorso di risanamento, sia industriale che societario, avviato nel 2017. Il piano di ristrutturazione aveva due direttrici: la chiusura degli stabilimenti spagnoli di Lorca ed Alcalà che contavano 220 addetti, e quello francese di Auneau, che contava 40 addetti, 30 licenziati e 10 salvati perché confluiti in una società commerciale. Gli stabilimenti esteri incidevano pesantemente sul conto economico e sulla posizione finanziaria netta del gruppo. La razionalizzazione organizzativa della struttura e dei costi ha toccato anche le sedi italiane. A Bibbiano – dove lavorano 200 persone – i sacrifici erano già stati poderosi. La disdetta del contratto integrativo aveva portato a un risparmio di 1 milione di euro e a scioperi in “casa”. Ora sono stati tagliati anche lì 30 impiegati tra quadri e dirigenti. È stato però stipulato un nuovo accordo che prevede le redistribuzione della metà di eventuali utili ai dipendenti. Tutti i costi di ristrutturazione del piano concluso a dicembre sono in capo al bilancio 2018, per i quali non sono stati utilizzati contributi esterni o ammortizzatori sociali.
Nonostante la ridefinizione del perimetro di affari, il gruppo mantiene tuttavia inalterato il suo profilo internazionale con vendite su estero pari al 38% del fatturato. Il piano 2018-2020 vede il consolidamento dei siti di Nove Mesto in Slovacchia e Ferrandina (Matera) e Bibbiano, dove sono riprese le assunzioni in ambito produttivo.
Come detto, i primi tre mesi del 2019 si sono chiusi per Coopbox con un utile e ricavi per 17 milioni (con un Ebitda dell’8% sul fatturato). Una svolta dopo anni all’insegna delle perdite, deflagrate con il tracollo della controllante Ccpl – che nel 2013 chiuse in rosso per 101 milioni di euro – e con la spada di Damocle della maxi multa da 33 milioni comminata dall’Unione Europea. Una multa per un cartello sulla concorrenza che si è presa in carico il Ccpl, alleggerendo Coopbox dalla pratica ancora pendente. La posizione finanziaria netta di Coopbox al termine dei primi tre mesi del 2019 si è ridotta da 32 milioni a 13 milioni, a conferma del buon andamento che aumenta le aspettative di centrare il budget 2019 che vede un miglioramento dell’Ebitda da 2,1 milioni nel 2018 a 4,1 milioni nel 2019.
Nella foto il segretario di Filctem Cgil, Maurizio Girasole